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L’assurda morte di Moussa

L’assurda morte di Moussa

Si chiamava Moussa Balde e veniva dalla Guinea. Moussa Balde aveva 23 anni e si è impiccato nel CPR di Torino il 23 maggio dopo due settimane di isolamento sanitario. 23 anni. Moussa è stato pestato da tre uomini a Ventimiglia mentre chiedeva l’elemosina. Il video del suo pestaggio ha fatto il giro della rete. I suoi aggressori sono stati identificati e si difendono parlando del tentativo di furto di un cellulare. Il giudice ha deciso di non indagarli con l’aggravante dell’odio razziale.

Fatto è che Moussa, già colpito da provvedimento di espulsione per alcuni piccoli precedenti per furto, da vittima di un’aggressione diviene colpevole di essere irregolare in Italia. Poco importa se hai delle fragilità psicologiche o delle debolezze che potrebbe avere qualunque 23’enne che affronti la traversata del Mediterraneo e approdi in una terra, quella italiana, che non lo vuole e fa di tutto per rendergli la vita un inferno. Quando si muove quella macchina, quella dell’espulsione, non si ferma davanti a niente: a corpi, fragilità, esistenze, esperienze, affetti e legami, speranze, inghiotte tutto e tritura, snocciola e tu diventi un numero da appuntare sulla medaglia di tutti quei razzisti che non si considerano razzisti. Così è stato anche per Moussa, un numero tra i tanti che ha conosciuto sulla sua pelle l’accoglienza degli italiani. Cosa ne può sapere un ragazzo di 23 anni dalla Guinea dei patti tra Roma e Tripoli, tra Roma e Tunisi, tra Roma e Bruxelles, lui sa solo che, se dovesse tornare nel suo paese, parole sue, sarebbe stato ammazzato dalle stesse persone che lo hanno costretto alla fuga.
Tutto è mancato al giovane Mousse, dall’assistenza psicologica alla comprensione della sua situazione, dalla fragilità di 23’enne fino alla minima pietà umana. Ora lo vediamo in uno scatto, sorridente in una manifestazione a Roma per i diritti dei migranti, con indosso una maglietta bianca. Scritto in rosso sul petto si legge: “Imperia Antirazzista”. Nulla di più amaro.
Ora tutti si stringono al suo feretro, dall’avvocato difensore ai Garanti per i detenuti nazionale e locale, dagli amici alle associazioni religiose e dei migranti. Una faccia della giustizia fatta di carteggi, di ricorsi, di colloqui, di udienze, di rinvii, di attese, una macchina che viaggia molto più lentamente di quello che divora la disperazione umana. Anche noi siamo tra loro a protestare per un morte così assurda, ma probabilmente il tempo cancellerà ciò che Moussa ha lasciato sulle nostre coscienze, un poco alla volta, come onde sul bagnasciuga, fino al prossimo lenzuolo annodato al collo dell’accoglienza italiana, nel silenzio mediatico, tra reti e cemento in un lontano lager per migranti.

Fermiamo questi omicidi di Stato! Basta frontiere!

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