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Di carcere si muore

Di carcere si muore

mani2Di carcere si muore, non è uno slogan, e questo lo abbiamo detto già altre volte nella primavera di Mezz’ora d’Aria. Quando, davanti all’evidenza abbiamo dovuto arrenderci, e dare ogni settimana la notizia del decesso di qualche detenuto.
Suicidi, la maggior parte. Morti « altre », apparentemente differenti, alcune altre.

In questi due mesi in cui non siamo andati in onda, questi numeri, che vorremmo almeno per qualche secondo far tornare ad essere Persone, con i loro nomi e le loro storie, non sono certo diminuiti. Qualche giorno fa l’ultimo decesso a Livorno, prima a Civitavecchia, a Spoleto, un morto a metà settembre anche alla Dozza, proprio qui a Bologna. Poco prima a Fuorni, a Sant’Angelo dei Lombardi, a Caltanissetta, a Taranto, a Prato, a Padova, al Bancali, ad Anversa, a Cremona, a Velletri… in questo non c’è differenza tra nord e sud, ma la morte riempie nello stesso modo le carceri di tutta la penisola.
Lacci delle scarpe, bombole a gas, imprevisti colpi di cuore, malesseri. Le ragioni dei decessi sono molteplici, e suscitano per la maggior parte lo stesso tipo di reazione : tra il 2011 e il 2012 in Italia sono morte oltre 300 persone, per suicidio o altre cause,  « Ma, come dice lo stesso segretario del Sappe,  nessuno, o quasi, ne ha mai parlato » .

Indignato il Sappe davanti ad ogni critica, si lamenta della carenza di organico, causa principale a suo dire, della mancata tutela della vita dei detenuti da parte della Polizia Penitenziaria. Si dimentica forse che il sovraffollamento non ha provocato un aumento dei decessi, che sono rimasti proporzionalmente la stessa quantità, anche rispetto a momenti, come il 2006 del post-indulto, in cui il numero delle guardie penitenziarie non era certo inferiore, come ora si lamenta. No, non è la scarsezza di occhi guardoni a produrre morte.
No, la P.P. Non è piena di angeli custodi pronti a salvare le vite dei poveri ristretti.
Ma davanti a questa evidente condanna a morte vivente che il carcere rappresenta, vogliamo anche ricordare altre storie, che succedono dentro e fuori le sbarre. Storie di solidarietà e di determinazione a non lasciarsi sopraffare dalla violenza dello Stato. Come quella avvenuta ad Agosto a Padova, dove il suicidio di un detenuto 21enne, impiccatosi il giorno dopo una brutta lite con una guardia, ha scatenato la furia dei compagni, che in più di 200 hanno rifiutato di cenare e di rientrare dall’ora d’aria, dalle 18 alle 21.30, per protestare contro l’accaduto.
inmateinsolitaryOppure vogliamo ricordare la storia di un’altra donna determinata a fare chiarezza sul decesso di suo figlio, pensiamo a Maria Ciuffi, madre di Marcello Lonzi,  il detenuto morto in carcere a Livorno 10 anni fa in circostanze mai chiarite fino in fondo, che ha lanciato una petizione online prorpio questo settembre per chiedere che una commissione della Corte europea riesamini il caso.
Ci ricorda  come « la morte di Marcello, un ragazzo in piena salute il quale é morto all’interno del carcere di Livorno dopo un infarto, “così porta il rapporto stillato dall’infermeria situata all’interno del Carcere”.
Ma il medico legale trova Marcello con otto costole rotte, due denti spezzati, due buchi in testa, mandibola, sterno e polso fratturati.
Vedete, come si potrebbe contraddire il rapporto stillato dall’infermeria del Carcere? – »
Si domanda la madre. E poi continua a chiedere giustizia, e far rumore perché quel decesso non resti sepolto dal silenzio.

Ecco, questo forse è il minimo che ci è consentito di fare. Parlarne, parlare, parlarne. Far tornare ad essere persone, quelle vite trasformate in cifre e annebbiate dal silenzio. Dall’omertà. Ridare corpo ai nomi, varietà alle storie. E non dimenticare che ogni giorno è un’altro giorno, e che ogni giorno, in carcere, ci sono migliaia di detenuti, e che la pena di morte oggi, è una tortuta quotidiana.

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