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Archivio della categoria: Archivio

Da non perdere il libro “Il coraggio e l’amore” di Ilaria Cucchi e Fabio Anselmo

Giustizia per Stefano: la nostra battaglia per arrivare alla verità

Ci sono voluti dieci anni per scoprire la verità sulla morte di Stefano Cucchi, avvenuta il 22 ottobre 2009 mentre era in stato di arresto per detenzione di stupefacenti. Stefano aveva 31 anni, era un ragazzo sano e frequentava la palestra: nulla poteva far pensare che fosse in pericolo di vita.Il suo decesso fu comunicato alla madre con inqualificabile insensibilità chiedendole di firmare l’autorizzazione all’autopsia. Da quel momento, alla famiglia disperata che esigeva una spiegazione furono date risposte inaccettabili: una caduta dalle scale, la conseguenza di un precedente stato di malattia…La sorella Ilaria non si è mai rassegnata a queste versioni di comodo e, sempre affiancata dall’avvocato Fabio Anselmo, ha intrapreso una battaglia giudiziaria che è già Storia d’Italia. Il coraggio e l’amore documenta ufficialmente questa battaglia, ponendosi come una pietra miliare. Ilaria e Fabio, compagni di lotta e oggi anche di vita, raccontano con le loro vive voci ogni singolo momento del durissimo percorso in cui si sono dovuti districare tra menzogne e depistaggi, trappole e ingiurie. Giorno dopo giorno, ora dopo ora, rievocano i fatti con estrema lucidità e rigore, ma allo stesso tempo restituendo al lettore tutte le emozioni dirompenti che hanno vissuto nella formidabile prova di tenacia e coraggio affrontata in questi lunghi anni. Solo l’incrollabile amore per Stefano, e per la Verità, hanno dato loro la forza per arrivare fino in fondo, rendendo l’Italia un Paese migliore e dimostrando che la Giustizia è davvero uguale per tutti. Grazie a Ilaria Cucchi – vera eroina del nostro tempo, così come l’ha raffigurata Jorit nel murale in copertina, con il volto segnato dal dolore eppure luminoso e fiero – possiamo sentirci più sicuri, e anche orgogliosi del nostro Stato.

https://rizzoli.rizzolilibri.it/libri/il-coraggio-e-lamore/

Un ricordo per Mario

Apprendiamo della triste notizia che pochi giorni fa è morto in ospedale Mario Trudu, detenuto in ergastolo ostativo dal 1979, esclusa una “pausa per latitanza” di dieci mesi nel 1986. Lo abbiamo conosciuto grazie ai suoi libri che ci proiettano in un’esperienza di vita drammatica e al limite, e di una terra ruvida, l’Ogliastra, carica di odori, di suoni e di colori. Questo regime, il 41bis, non lo ha mai abbandonato e per 41 anni è stato il suo duro pane quotidiano, lo ha sepolto fino a Massama quando è finalmente riuscito ad ottenere il permesso di curarsi fuori dal carcere. Dopo pochi giorni si è spento nell’ospedale di Oristano. Ti abbiamo voluto bene, Mario, e continueremo a farlo tra le righe delle tue pagine.

…”Occorre prendere coscienza che l’ergastolano ha una vita uguale al nulla e che volendo spingere la fantasia verso previsioni future, resta tutto più cupo del nulla”….

Totu Liberos!!

 

Ragazza muore in ospedale a Bergamo

Orrore nel reparto psichiatrico di Bergamo dove una ragazza di soli 19 anni, Elena, è deceduta il 13 agosto in seguito le ustioni riportate in un incendio nella struttura. Era legata ad un letto di contenzione e non ha potuto trovare scampo dalle fiamme. Si riaccende così il dibattito sull’uso dei letti di contenzione, pratica violenta ancora troppo spesso utilizzata in ospedali, cliniche private e REIMS. Ben l’85% sembra che oggi ne faccia ancora uso. Intendiamo sicuramente approfondire questa terribile vicenda nelle prossime puntate.

Inasprito il reato di oltraggio a pubblico ufficiale

Il decreto sicurezza bis entrato in vigore il 10 di agosto contiene l’inasprimento delle pene per diversi reati tra cui l’oltraggio a pubblico ufficiale. il primo comma dell’art. 339 del codice penale nei reati di violenza o minaccia a pubblico ufficiale, resistenza a pubblico ufficiale e violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti, prevede l’aggravante qualora si commettano durante manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico.
Inasprito il reato di oltraggio a pubblico ufficiale: ora, chi in luogo pubblico o aperto al pubblico, e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni rischia la reclusione da 6 mesi a 3 anni.
E’ stata inoltre resa inapplicabile la causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto.
Inoltre la generalizzazione su quella che è la figura del funzionario nell’atto di svolgere pubbliche funzioni non è riferita solo agli appartenenti alle forze armate e dell’ordine, ma inserisce un’enorme quantità di persone che vanno dal vigile urbano al docente, dall’impiegato dell’agenzia delle entrate al controllore dei biglietti nelle aziende di trasporto comunali, dagli ufficiali giudiziari ai parlamentari, e così via, rischiando così di creare un caos infinito nei tribunali italiani.

Lo sciopero della fame in cella è sanzionato

Si è pronunciata la Cassazione in merito a chi fa sciopero della fame all’interno del carcere. La vicenda riguarda una protesta avvenuta in un carcere calabrese nel 2015 quando alcuni prigionieri avevano manifestato pacificamente contro la cattiva qualità del vitto fornito da una ditta esterna e per ottenere almeno l’acqua calda per lavarsi. Da qui la decisione di intraprendere uno sciopero della fame. La risposta del tribunale di sorveglianza di Catanzaro fu dura contro due di loro che vennero individuati come i fomentatori: 9 giorni di carcere duro. I due detenuti non si sono arresi e hanno impugnato il provvedimento di fronte alla Cassazione, che ora ha confermato la linea del magistrato di sorveglianza: lo sciopero della fame era un’azione dimostrativa di scontro e di ostilità verso le istituzioni e, dunque, pericolosa e sediziosa, perché idonea in concreto a scuotere e porre in pericolo l’ordine interno all’istituto, a turbare il normale svolgimento della vita carceraria, con il pericolo concreto di degenerare anche in un ingestibile allarme sanitario per il numero delle persone coinvolte nello sciopero della fame.

Aggiornamento dei morti in carcere

In cella si continua a morire. Troppo lunga la lista dei decessi e dei suicidi avvenuti questa estate negli istituti di pena italiani.
17 suicidi da metà giugno a fine settembre, 6 morti per malattia e un caso ancora da accertare. Siamo a Bologna. Il 19 giugno si impicca in cella un detenuto di 59 anni accusato di aver commesso un omicidio nel 1999, delitto per molto tempo rimasto irrisolto seguito da indagini complesse ancora da definire. L’11 di luglio: stavolta è un detenuto del carcere di Ferrara a togliersi la vita impiccandosi. Il 16 settembre un detenuto di 20’anni si toglie la vita nell’ex ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Grotto. Il 14 muore annodandosi un lenzuolo al collo un detenuto 29’enne, nonostante i tentativi di rianimazione fatti dai suoi compagni di cella. Era da un mese in carcere per rapina impropria e stalking. I prigionieri dell’istituto ravennate decidono uno sciopero della fame in rispetto del ragazzo deceduto. Mistero invece sulla morte di un ragazzo iracheno di 21 anni il 15 sempre di settembre, trovato esanime da altri detenuti nel carcere del Coroneo a Trieste. Il ragazzo era in isolamento. I risultati delle prime indagini escludono una morte violenta. Si ipotizza un’overdose di farmaci, forse tranquillanti. A fine agosto un altro detenuto in isolamento si toglie la vita stavolta nel carcere di Perugia. Si tratta di un tunisino di 37 anni arrestato per tentata rapina, avrebbe visto la fine della pena nel 2020. In seguito a questo tragico fatto inizia la protesta di alcuni prigionieri che hanno appiccato il fuoco ai materassi e hanno fatto la battitura.

Torture nel carcere di San Gimignano (SI)

15 agenti di custodia indagati con l’accusa di tortura, è il primo caso in Italia contestato a personale in divisa dall’entrata in vigore nel 2017 della nuova legge. Siamo nel carcere senese di massima sicurezza di San Gimignano. I fatti risalgono all’11 ottobre 2018 quando un detenuto viene prelevato dalle guardie e, credendo di andare a fare la doccia, prende con sé accappatoio e ciabatte. La realtà è ahimè diversa. Una volta lì viene accerchiato da 15 agenti e pestato fino a perdere conoscenza. Il fatto è stato ripreso anche dalle telecamere dell’istituto, in parte schermate volutamente dai corpi degli stessi agenti. L’accaduto è emerso solo ora dopo che le varie testimonianze degli altri prigionieri sono arrivate alle orecchie, troppo frequentemente con gravi problemi di udito, della magistratura. Nessun arresto: in 4 sono sospesi dal servizio e in tutto 15 sono gli indagati per lesioni e minacce, falso ideologico e, appunto, tortura.

“Vogliono seppellirci vivi, impediamoglielo!”

 

25 aprile contro i CPR corteo a Modena

BASTA LAGER DI STATO

25 APRILE CONTRO IL RAZZISMO E CONTRO I FASCISTI

Se lo Stato avanza la libertà recede.

Lo Stato avanza chiudendo i porti, respingendo alla frontiera chi emigra e finanziando i lager libici, aumentando la ricattabilità degli sfruttati (stranieri o italiani che siano), inasprendo la repressione verso marginali e ribelli, rafforzando i poteri di polizia, allargando e diffondendo sul territorio galere e zone detentive d’eccezione. Lo Stato costruisce consenso intorno a un clima di rancore e paura, garantendo lauti profitti a chi finanzia e gestisce le strutture di controllo.

I CPR (Centri di Permanenza per il Rimpatrio), campi detentivi per emigranti, sono l’espressione più brutale di questo avanzamento: migliaia di persone considerate irregolari saranno internate nei lager di Stato in attesa della deportazione nei presunti luoghi d’origine. L’Europa li ha chiesti, il PD li ha creati e la Lega li riempirà: non c’è governo che si salvi.

Il CPR così come le deportazioni rimangono gli strumenti centrali di deterrenza per le persone emigranti. È l’ultimo anello di un sistema di controllo, sfruttamento e messa a valore degli individui che passa attraverso il costante ricatto dei documenti, le forme di disciplinamento del sistema d’accoglienza e le forme di lavoro gratuito, propagandato dietro false promesse.

A Modena l’ex CIE diverrà il CPR per l’Emilia-Romagna, una struttura già nota per la durezza dei trattamenti riservata agli internati, da questi ultimi definita “peggio della galera” e da essi stessi chiusa a suon di rivolte nel 2013.

È necessario contrastare questa ennesima espressione del razzismo di Stato e ricordare a chi governa che ancora una volta simili strutture troveranno opposizione. Se le nostre condizioni sono miserabili e le nostre libertà sempre più limitate è perché c’è chi, sotto di noi, subisce sfruttamento e privazione della libertà in modo ancora peggiore.

Ci opponiamo ai CPR perché:

SONO ESPRESSIONE DELLA SVOLTA AUTORITARIA

attuata dagli ultimi governi e tesa a colpire chi sta ai margini, chi non si adegua o chi si ribella, avvisaglie di un vero e proprio Stato di polizia.

RENDONO CHIUNQUE PIÙ RICATTABILE

La minaccia dell’espulsione porta ad accettare anche le peggiori condizioni pur di mantenere il lavoro necessario per il rilascio dei documenti, producendo un generale peggioramento delle condizioni lavorative e di vita di tutti.

DIFFONDONO XENOFOBIA E RAZZISMO

Se chi emigra è trattato da nemico, la solidarietà fra sfruttati va in pezzi a tutto vantaggio di chi ci sfrutta e su ciò l’attuale governo continuerà a guadagnare consensi.

E se paura e rancore dilagano il neofascismo prolifera.

A Modena esso gode di luoghi sicuri, come “Terra dei Padri”, dove i fascisti in camicia nera, l’altra faccia del razzismo di Stato, si preparano a venir fuori appena padroni e governanti lasceranno le briglie. Scendere in strada contro lo Stato di polizia significa scendere in strada anche contro i suoi fiancheggiatori.

Scendiamo in strada il 25 aprile contro tutto ciò.

Solidali con chi è prigioniero perché ha lottato e si è ribellato contro tutto ciò.

OPPORSI AI LAGER DI STATO!

OPPORSI AL RAZZISMO E ALLO STATO DI POLIZIA!

OPPORSI AI FASCISTI!

CONTINUARE A LOTTARE!

PIAZZA DELLA POMPOSA – MODENA – H. 15:00

Risarcimento ai familiari del detenuto suicida

La Corte di Cassazione con sentenza n.30985 del 30/11/2018, ha stabilito che ai familiari del detenuto suicida che aveva manifestato il proprio intento, qualora l’amministrazione penitenziaria non abbia posto in essere tutte le misure idonee a prevenire l’evento, spetta un risarcimento. E’ il caso di un uomo detenuto per presunta violenza sessuale che si è tolto la vita impiccandosi quando già aveva palesato l’intenzione del suo gesto e che, nonostante questo, non era stato sottoposto a regime di vigilanza più stretto. Ai suoi familiari, che si sono rivolti al Tribunale di Catanzaro, spetterebbero quasi 200.000 euro. La Corte di Cassazione, ribaltando l’esito dell’udienza d’appello, ha riconosciuto la responsabilità dell’amministrazione penitenziaria dal momento che non si era mossa per stabilire lo stato psichico del detenuto dal momento che, all’ingresso in carcere, non erano presenti né l’educatore, né lo psicologo. Inoltre l’isolamento in cella, contrario alle disposizioni del PM, ne avrebbe favorito il suicidio. La presenza di altri detenuti avrebbe certamente impedito o almeno reso più arduo il compimento di tale gesto.

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