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Il carcere manicomio di Salvatore Verde

Il carcere manicomio di Salvatore Verde

libri_Salvatore_verde_carcere_manicomioIl carcere manicomio di Salvatore Verde edito da Sensibili alle foglie nel 2011 è un libro che abbiamo trovato molto interessante perché fa un’analisi ad ampio raggio del dispositivo dell’incarcerazione in Italia, includendo in questo fenomeno in costante espansione ogni restrizione della libertà personale che avviene sul nostro territorio.           Alle 206 carceri bisogna infatti sommare i 44 istituti per minori, i 6 ospedali giudiziari psichiatrici e i circa 78 centri (tra cie, cara, mini cpt) di detenzione per stranieri, veri e propri campi di internamento che hanno anche una collocazione extraterritoriale se ad essi aggiungiamo le carceri libiche per stranieri istituite per limitare l’afflusso di migranti nel nostro paese. Il crescente dispositivo del controllo sociale attraverso questa superincarcerazione è andato di pari passo con la progressiva diminuzione dei fondi investiti per mantenere questa elefantiaca macchina detentiva. Il budget per gli psicologi, ad esempio, è stato negli anni ridotto del 70%. Questi tagli hanno portato ad una rivitalizzazione delle pratiche caritative di volontariato, che per quanto meritorie, servono solo però a tamponare a breve termine un’emergenza invece ormai cronica.

Ma il cuore dell’analisi di Salvatore Verde è quella che si concentra sul trattamento della sofferenza psichica all’interno delle prigioni: secondo le dichiarazioni dei dirigenti dell’amministrazione penitenziaria, circa l’80-90% dei detenuti assume psicofarmaci, dai più blandi ai più forti. Reperire dati sulla sofferenza psichica all’interno delle carceri è molto difficile ma basterebbe pensare all’alto numero di suicidi, tentati suicidi e agli atti di autolesionismo che si consumano quotidianamente nelle carceri per capire che siamo in presenza di un disagio profondo ed esteso. A questo disagio la struttura penitenziaria risponde in un unico modo: con l’intervento chimico, ovvero con la somministrazione di psicofarmaci. Quello che si chiede allo psichiatra che entra in carcere non è infatti l’instaurazione di un percorso terapeutico ma il reinserimento rapido del detenuto che soffre all’interno della routine detentiva. Ciò che la prigione sollecita alla psichiatria è di farsi dunque alleata del proprio sistema disciplinare e di intervenire unicamente er ristabilire l’ordine, per riadattare nel minor tempo possibile il prigioniero che soffre all’interno dei propri assetti regolamentari.

Per questo Salvatore Verde parla di manicomializzazione delle carceri proprio nella misura in cui in esse il disagio e la sofferenza vengono anestetizzati e soppressi solo farmacologicamente, lasciando nel sommerso le cause e le ragioni che provocano il disagio. Le sciagurate leggi contro le tossicodipendenze, l’immigrazione, nonché la progressiva erosione dello stato sociale che allarga le maglie della povertà e con essa quelle dei piccoli reati, sta riempiendo le nostre prigioni di soggetti di per sé fragili, diseredati: tossicodipendenti, stranieri, poveri. Sempre più i problemi di ordine sociale ed economico -e quindi politico- vengono trattati come problemi di ordine pubblico e di sicurezza.

Oggi vediamo quanto sia stata efficace quell’instaurazione dell’ideologia della paura che ha portato alla crescente criminalizzazione delle fasce più deboli della popolazione. Siamo pertanto d’accordo con Salvatore Verde nel ritenere che non possiamo buttare nelle carceri i problemi sociali e poi escogitare interventi giuridici per risolverli: gli indulti e le amnistie che si rendono necessari ogni 4-5 anni non sono certo la soluzione anzi ne ribadiscono il problema: esse funzionano come valvole di sfogo utili per sfollare prima e ricominciare a riempire poi, in un’ottusa dinamica volta a gestire, occultandoli, gli effetti rovinosi della crisi sociale contemporanea.

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