Indice Interviste:
1- Da quanto tempo esiste il progetto 8mm Records in cui sei coinvolto?
8mm nasce nell’autunno 2002 con l’intento di organizzare concerti indipendenti nella mia zona, ovvero Treviso. Nell’estate 2003 esce il primo disco prodotto dall’etichetta, qualche mese dopo inizio a lavorare ai tour di Kid Commando e Sightings.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Mi occupo da solo di tutto, dalla scelta delle produzioni, alle varie fasi di lavorazione, all’assemblaggio dei dischi, alla loro diffusione/distribuzione e ai relativi tour promozionali. Luca Massolin, 23 anni, sesso maschile, diploma di Maturità Classica, laureando al Dams di Bologna.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
Purtroppo il giro economico dell’etichetta permette a malapena di rientrare nei costi delle spese di produzione dei dischi, le varie spese correlate (internet, telefono, spese postali,…) sono totalmente a carico del sottoscritto. Attualmente l’etichetta segna un bilancio in passivo di circa 500 euro, che spero di colmare dopo la promozione delle mie ultime due uscite. Generalmente cerco di far quadrare i bilanci con l’attività di booking e con l’organizzazione continua di eventi, conduco una vita a dir poco spartana e cerco di essere in viaggio il più possibile con i tour.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Tre uscite, ma conto di aumentarne la frequenza ad almeno 5/6 già dall’anno in corso.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Preferisco decisamente curare tutto da solo e con gli artisti che produco. Non per un discorso di “unicità del marchio” (8mm non ha nemmeno un logo), ma per una questione di controllo sulla lavorazione del prodotto passo dopo passo, accertandomi che tutto proceda per il meglio, e che siano innanzitutto gli artisti a controllare con me ogni fase di lavorazione. La coproduzione, come qualsiasi altro genere di collaborazione mi interessa solo nei seguenti casi:
1- quando non ho abbastanza soldi per produrre interamente un progetto in cui credo molto e che vorrei fare uscire con 8mm;
2- quando chi mi propone la coproduzione è un’etichetta affine per estetica e attitudine;
3- quando conosco ogni singola persona tra quelle coinvolte.
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Sì, ritengo la mia label un progetto DIY, indipendentemente dal fatto che gli artisti coinvolti facciano parte o meno di un pensiero, di un suono o di un look DIY. Interpreto in modo letterale la sigla in questione: investo il mio denaro e il mio tempo, taglio e incollo ogni singola copertina dei miei dischi, li faccio distribuire da amici, scelgo i canali dove andranno promossi. Instauro con gli artisti che produco rapporti che vanno oltre la musica, li invito a suonare qui in Italia, organizzando loro interi tour senza chiedere alcun compenso in cambio. Ci si aiuta a vicenda e si resta in contatto anche dopo la collaborazione.
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
Sicuramente. Iniziare un’etichetta “off”come 8mm significa fondamentalmente parlare di sé attraverso il lavoro degli altri, e questo fatto comporta tutta una serie di conseguenze affrontabili solo attraverso una componente etica di base che va di pari passo a quella estetica. 8mm si vuole porre ai margini della musica e ai margini del mercato. I miei interessi e le mie energie vanno alla ricerca di suoni nuovi, di personalità non allineate e di proposte difficilmente catalogabili in un semplice genere musicale. I prossimi progetti in cantiere saranno un passo ulteriore in questa direzione, cercherò di rendere il lavoro di produzione quasi totalmente artigianale, realizzando solo cdr e lathe cut vinili realizzati in casa, con artwork serigrafati manualmente, in tirature ultra limitate. Un evoluzione naturale verso la manualità e verso un’“umanità” del supporto fonografico: la mia personale risposta alla politica del downloading.
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Produrre dei ricordi. Documentare quello che non è ancora stato documentato. Creare delle relazioni tra la propria persona, il proprio senso estetico e il mondo circostante. Creare dei rapporti umani. Conoscere nuovi amici, viaggiare.
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
La definizione di “scena” non mi è molto chiara, ma in linea di massima credo si possa parlare di una scena, o di alcune piccole scene in Italia. A conti fatti, come etichetta 8mm collabora attivamente con pochissime realtà della penisola, trovandosi più a suo agio con etichette estere, specie in America e Giappone. Sono convinto che sia il suono a fare la scena: viene naturale infatti collaborare con persone con cui condividi una simile attitudine musicale. C’è una buona collaborazione nel giro indie/hardcore, ci sono ancora persone che credono in quello che fanno e organizzano eventi di qualità. Trovo un buono spirito di collaborazione anche nel giro elettronico sperimentale. 8mm si muove con disinvoltura in diversi ambiti,e pur non essendo un’etichetta di genere, ha tuttavia quasi sempre trovato persone disponibili allo scambio e all’interazione. Il problema del nostro paese è che il seguito di pubblico è veramente ristretto, a volte si ha come la sensazione che manchi un ricircolo delle idee, anche a livello di ricambio generazionale, che le proposte fatichino a coinvolgere ed interessare nuove persone.
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Sì e no. Mi spiego: internet ti rende visibile in fretta ma allo stesso tempo ti spersonalizza. E’un ottimo mezzo per far parlare di sé, e questo favorisce più chi ha capacità manageriali che qualità umane. Sempre meno ragazzi hanno interesse ad organizzare dei concerti, o a tenere un piccolo banchetto di dischi, dato che internet ti permette di soddisfare immediatamente ogni prurito intellettuale, offrendoti immediatamente una riproduzione/ riduzione dell’oggetto che, a mio parere non può essere sufficiente per cogliere il vero significato delle cose. E’anche vero che organizzare un tour o avviare collaborazioni a distanza è possibile ormai esclusivamente grazie alla rete: internet per me è fondamentalmente uno strumento di lavoro, una realtà con cui bisogna confrontarsi serenamente, ma con tutto il distacco del caso. Credo mai come oggi sia necessario andare ai concerti, scambiare e produrre musica, vedere delle persone suonare dal vivo. 8mm in due anni di esistenza come etichetta non ha ancora avuto un sito internet per scelta, questo perché non ritenevo che essa avesse una consistenza degna di essere pubblicizzata tramite un’interfaccia. Ora, con 5 uscite all’attivo e circa 20 tour organizzati, ci sto pensando, constatando amaramente come sia impossibile fare e diffondere musica altrimenti. Nella rete il confronto e lo scambio sono virtuali, così come la fruizione musicale tramite downloading, che svuota il prodotto musicale di tutta la sua fisicità e consistenza: lo spirito che sta alla base di 8mm va esattamente nella direzione opposta.
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Le webzine sono un’esigenza dei tempi correnti. Sono dei mezzi di divulgazione molto economici, raramente hanno una periodicità e questo permette loro di informare in modo discontinuo ma praticamente istantaneo, essendo aggiornate anche quotidianamente, in ottimo tempismo con l’uscita dei dischi. Ho molti amici che collaborano e/o gestiscono webzine in Italia e all’estero, e devo dire che la maggior parte di essi preferirebbe avere una versione cartacea del loro magazine. Nell’immaginario collettivo, probabilmente, la carta stampata detiene ancora una “superiorità di fatto” sulla comunicazione via web, ma credo sia solo una questione di tempo.
12- Delle messageboard?
Non sono un grande fruitore di messageboard. Ne leggo frequentemente almeno 5/6 tra italiane e straniere, giusto per restare aggiornato sullo stato delle produzioni indipendenti, ma raramente partecipo alle discussioni se non per segnalare le date dei concerti, dei tour che organizzo, i dischi in uscita o qualche sporadica newsletter. Non sono molto portato per una comunicazione di quel tipo, ho bisogno di vedere il mio interlocutore quando parlo.
13- Dei blog?
Credo che il fenomeno dei blog possa essere un interessante oggetto di studio sociologico. E’ strano notare come nella comunicazione via internet, dove l’abbattimento delle distanze fisiche può mettere in relazione un singolo utente a una moltitudine di persone, una delle formule più utilizzate sia quella del monologo tipico dei blog. I rari contatti che ho avuto con blog di conoscenti non sono stati molto soddisfacenti, sarò sincero: mi danno un terribile senso di solitudine e passività. Ma è solo un’opinione personale.
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
No. Sono ancora troppo poche le band e le etichette che si spingono fuori dai confini nazionali, e questo fa si che gran parte della nostra produzione musicale viva una specie di cronico complesso di inferiorità rispetto a quanto succede all’estero, assorbendo passivamente ogni genere di tendenza, senza concentrarsi su percorsi artistici veramente nuovi e personali. Lo dico perché le potenzialità non mancano, in Italia ci sono ottimi musicisti, ma spesso è triste constatare come si cerchi di riproporre suoni triti e ritriti per paura di osare un po’ di più. Suonare all’estero è ancora vissuto come un evento epocale o un tabù quando, almeno in Europa, la qualità media dei gruppi è esattamente come in Italia (e chi ha fatto almeno un piccolo tour in Francia o Germania lo potrà confermare). Solo viaggiando e incontrando nuove realtà la scena indipendente italiana potrà veramente porsi al livello degli altri paesi, molte delle nostre realtà migliori si sono costruite proprio grazie ai loro tour all’estero, e questo dovrebbe essere un valido esempio per tutti. A quanto ho appena detto vorrei aggiungere il problema della mancanza di spazi e strutture. Ho conoscenti in Germania, Belgio, Olanda, Svezia, Francia che ricevono sussidi statali per la loro attività di label manager o musicisti, hanno accesso con disinvoltura alla programmazione di gallerie d’arte contemporanea, centri culturali, più semplicemente viene riconosciuto loro il fatto di produrre della cultura. Questo permette di lavorare con disinvoltura, di operare su eventi e prodotti con una serenità di fondo che indubbiamente influisce sia sulla quantità che sulla qualità dei risultati. In Italia produrre musica fuori dalle logiche aziendali è considerato ancora in maniera diffidente, come un’attività di tipo amatoriale, dilettantistico. Finché le nuove idee saranno prese in considerazione in questo modo non vedo grossi margini di miglioramento per le cose nel nostro paese.
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
E’ un’ eventualità a cui non ho mai pensato né come musicista né come fruitore di musica. Tuttavia, non porrei la questione su un piano di fedeltà o meno. L’ambiente indie o underground che dir si voglia non è un giardino dell’Eden retto da un’unanime onestà e purezza d’intenti. Spesso si assiste a forme di favoritismi anche a livelli molto più bassi dell’ambiente di Mtv. Se un gruppo formatosi in ambito indie passa su major, credo significhi semplicemente che il suo suono è un suono da major, un suono che può piacere alle masse di ragazzi, e quindi nel 99% dei casi si tratta di qualcosa che non mi interessa a priori. C’è da dire che conosco diverse persone e amici che si sono trovati in questa situazione. Chi si affida a delle major o a dei management grossi, lo fa perché spera, prima o poi di poter vivere di musica nel modo più semplice possibile, delegando una parte consistente del suo lavoro ad altri. E’ una scelta che personalmente non condivido, ma che posso comprendere molto bene nel momento in cui si parla di soldi, che servono per vivere. Beninteso: l’estetica o l’etica a questo punto non centrano più nulla, o meglio sono sottoposte a doveri ed obblighi come ogni qualvolta si lavori alle dipendenze di un’azienda privata.
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
I centri sociali sono semplicemente gli unici spazi in cui una persona può proporre qualcosa con probabilità di essere perlomeno preso in considerazione. Questo non accade in altre strutture, beneficiarie di ben altre risorse economiche, nate con l’apposito intento di fornire proposte e alternative alla cultura artistica/musicale/cinematografica del nostro paese: gallerie d’arte contemporanea, progetti giovani, spazi culturali pubblici sono posti dove spesso e volentieri le risorse logistiche ed economiche vengono concesse con una facilità che mi lascia esterrefatto, e con criteri spesso incomprensibili, in cambio di programmazioni e calendari attività avvilenti o addirittura inesistenti. I centri sociali danno un’ alternativa, forse l’unica possibile, a una mancanza strutturale che è desolante in Italia, e lo fanno con i mezzi e le risorse economiche ed umane che hanno a disposizione. Questi parametri sono estremamente variabili di situazione in situazione, ci sono state in passato e ci sono ancora oggi delle realtà underground che fanno perno e si poggiano su queste strutture, 8mm per prima, ma personalmente posso dire che si tratta più di un esigenza dettata dalla mancanza di alternative dignitose, che da una determinata scelta ideologica. Il grosso problema di queste strutture è la continuità: molti centri sociali devono continuamente fare i conti con problemi davvero rilevanti quali sgomberi, insufficienza di fondi, ed è naturale che in situazioni di questo tipo sia veramente difficile iniziare dei progetti a lungo termine.
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Sono sempre stato un grande fruitore di fanzine cartacee, ritengo alcune di esse realtà fondamentali per lo sviluppo della scena underground e per una comunicazione alternativa, ed ora sto constatando a malincuore come la maggior parte di esse stia mano a mano sparendo. Il perché è semplice: Internet. La rete azzera i costi di produzione (carta e inchiostro hanno un prezzo non indifferente), ed essendo la maggior parte delle fanzine cartacee gratuite o semi-gratuite, autofinanziate grazie all’aiuto di amici o di piccole inserzioni, sono destinate a chiudere i battenti, o limitare le uscite a pochi numeri l’anno.
1- Da quanto tempo esiste il progetto Bar La Muerte in cui sei coinvolto?
Dal dicembre 1998. Il primo disco è uscito nell'aprile del 1999.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Sono da solo. Sono un marcantonio di 32 anni con una maturità classica conseguita ed una laurea in lettere in standby.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori? La label è in perdita, riesco però a sopravvivere suonando dal vivo coi miei diversi gruppi, e in questo Bar La Muerte è di grande aiuto, quindi è in un certo modo coinvolta con la mia sopravvivenza lavorativa.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
30 uscite in 6 anni, 5 all'anno.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Decisamente preferisco coprodurre, perché si spende meno, si possono fare più dischi e poi si riesce a farli arrivare a circuiti diversi. Inoltre non sono geloso dei miei dischi e dei miei gruppi, se questi collaborano con altre realtà o se trovano etichette migliori di Bar La Muerte sono molto contento per loro.
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
E' decisamente DIY. Talvolta è DIA, do-it-alone.
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
Vengo dal punk-hardcore, dalle autoproduzioni, dagli scambi, e credo si senta.
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Credo siano diversi per ognuno. Nel mio caso è stato che, uscito da una band che mi aveva lasciato dei soldi (i Wolfango) ed incapace di bussare alle porte, ho voluto ripartire subito con i miei progetti e con i progetti di alcune persone a me care. Il modo più immediato mi è parso avere la mia propria label. Inoltre allora gestivo un centro sociale autogestito ( La Sede a Vigevano) dove passavano decine e decine di gruppi e distribuzioni per cui ero molto motivato in quel senso. In seguito ho poi riflettuto su alcuni aspetti negativi della distribuzione DIY, ma ho mantenuto la label ed una certa etica vicina al punk-hardcore.
9- Secondo te è corretto parlare di una "scena" indipendente in Italia?
Certo. Ci sono mille sfumature di cui si potrebbe parlare in eterno, ma c'è una scena indipendente italiana che corre parallela a quella internazionale (quando suono all'estero è sorprendente vedere che tutti conosciamo le stesse persone).
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Certamente sì, soprattutto in prospettiva internazionale. Ti ricordi quando organizzavamo i tour via lettera? Internet ha facilitato incredibilmente le cose, pur spersonalizzandole.
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Sono un'ottima cosa. Certo il fatto che costino zero abbassa la qualità, ma è un aspetto che vale per tutti gli aspetti della nuova società. Nessuno sa più scrivere, nessuno sa più leggere. Ma tutti possono fare molte cose che prima non erano pensabili.
12- Delle messageboard?
Odiose. Potenzialmente sono positive come le webzine, ma si trasformano nel 100% dei casi in una gratuita e codarda serie di insulti ed arroganze assortite, assolutamente insopportabili.
13- Dei blog?
Potenzialmente anche questa una buona cosa, l'aspetto molto personale del blog lo rende spesso poco interessante, ma a volte invece ne aumenta il fascino.
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
Ha avuto uno sviluppo minore per motivi sociali: nei paesi con un sistema di Welfare State è molto più semplice per i giovani lanciarsi in carriere musicali, giocarsi il tutto per tutto, perché ci sono nazioni dove lo studente che vive da solo riceve soldi per affitto e sopravvivenza, o altre dove i sussidi di disoccupazione funzionano bene ed in modo compatibile con la carriera musicale, o paradisi come la Francia, dove basta provare di aver suonato un certo numero di concerti nel corso dell'anno per avere un sussidio da musicista e persino garanzie pensionistiche. Chiaro che in questi paesi si può rischiare di più, perché si hanno le spalle coperte. Invece in Italia: 1) non ci sono soldi pubblici su cui contare; 2) c'è poco lavoro, quindi una volta ottenutone uno si tende a mollare ogni altra velleità ed a considerare la musica solo come un hobby o un sogno; 3) gli affitti sono altissimi e si esce troppo tardi dall'università, con la conseguenza che si esce tardi di casa, e quindi quando arrivi a 27-28 anni vuoi solo trovare un lavoro che ti dia la sicurezza di poterti pagare l'affitto e uscire di casa. In tutto questo c'è poco posto per la musica.
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Ognuno deve decidere per se. Il fatto di partire indipendenti non significa per forza avere un orgoglio indie. Guarda il caso-Bugo: quando era indipendente su Bar La Muerte non ha mai proclamato posizioni politiche, ha sempre e voluto campare con la sua musica. Per questo non ritengo il suo passaggio a major come un tradimento. Certo, se un gruppo sbandiera un'attitudine indie (spesso pensando semplicemente che mai una major busserà alla sua porta) e poi alla prima occasione firma per una major, beh, va da se che perde credibilità. Mi ricordo come ci rimasi quando lo fecero i Sick Of It All. Ogni caso è diverso. Io come musicista non avrei problemi a far pubblicare un mio lavoro da una major, se credo che ne valga la pena e se penso che questo possa migliorare la mia vita. La realtà purtroppo è che Bar La Muerte, o Wallace, o Burp, e tutte le altre etichette indie italiane che rispetto e che mi piacerebbe licenziassero i miei lavori, non possono dare da mangiare a nessuno. Le cifre parlano chiaro. Quindi non biasimo chi passa a major, anche se è vero che spesso le major rovinano i gruppi (è una questione che richiederebbe un ulteriore approfondimento). Sempre che non abbiano giocato a fare i duri e puri fino al giorno prima. Devi sempre dimostrare per primo quello che proclami.
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Assolutamente fondamentali.
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Anche. Io ho iniziato comprando tutte le fanzine e contattando tutte le realtà che mi sembravano interessanti. Ce n'è ancora qualcuna e mi piace sostenerla, anche se le webzine ormai le hanno sorpassate a destra.
1- Da quanto tempo esiste il progetto Bloody Tears Collective in cui sei coinvolto?
Ci sono coinvolto da 3 anni ormai…
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Eravamo in totale in 8, tutti tra i 19 e i 25 anni, per lo più studenti e lavoratori occasionali. L’unico appoggio alle attività era interno, nostre forze e nostre finanze.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
Con la label non abbiamo mai intascato nulla in surplus. Svolgo altri lavori per potermi mantenere, diciamo.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
3 o 4 comprese le coproduzioni.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Abbiamo fatto molte coproduzioni innanzitutto per questioni di aiuto reciproco e comuni interessi musicali e attitudinali con altre realtà italiane e non. In secondo luogo, ovviamente, per il motivo finanziario della divisione delle spese.
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Solamente do it yourself.
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
Sì, l’etica del fai da te in ogni senso. Decisioni politiche sulla musica, sulla sua distribuzione a livello di prezzo e a livello di fruizione da parte del pubblico. Al di fuori dei grandi mercati ma non per questo minore in quanto a qualità o forza in gioco.
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
I motivi per quanto riguarda il mio caso sono legati alla mia insoddisfazione a livello progettuale nei confronti dell’ambiente musicale e politico odierno in Italia.
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
No, non è corretto in generale. La scena in Italia non è indipendente, e l’unica “sottoscena” che lo è veramente è quelle legata al punk/crust nata nei centri sociali. Per il resto, nell’hardcore e nell’indie come nell’emo o nel punkrock sono sempre più frequenti concerti, produzioni o anche iniziative legate a realtà che non hanno nulla di indipendente. Vedi concerti per Rock TV o le feste di partiti politici.
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Penso sia di aiuto, in generale. Ma penso ugualmente sia un’arma a doppio taglio. Se infatti da un lato può favorire le piccole realtà ad alzare la voce e farsi pubblicità, proporre iniziative e sponsorizzarle, dall’altro le può anche ridurre a un ammasso di luoghi comuni e semplici argomenti da chat.
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Le detesto. Sono un crogiolo di banalità e articoli scritti per riempire uno schermo di un computer. Personalmente ho collaborato in passato con una webzine, facevo recensioni. Ma me ne sono distaccato perché capii che era insoddisfacente parlare di gruppi e realtà a me care quando per il resto la webzine in se era una semplice pubblicità gratuita a mediocri gruppi italiani e non. Un conto è lavorare a un sito, un altro è farlo come webzine.
12- Delle messageboard?
Spesso si trovano divertenti aneddoti. Non mi spingo oltre.
13- Dei blog?
Personalmente non ne farei mai uno dove scriverci i miei pensieri personali. Molti lo fanno e la trovo una cosa noiosa. Se ci scrivi cose divertenti, ok. Io ne ho uno ma lo uso solo come luogo gratuito per mettere notizie relative alla mia fanzine.
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
No, penso che in Europa la scena indipendente sia molto più evoluta che in Italia. Guarda per esempio Germania, Repubblica Ceca o Ungheria: là non esistono webzine, locali stralussuosi dove fare i concerti o scenester all’arrembaggio, e guarda come sono avanti per esempio nell’organizzare attività musicali e non. All’estero guardano ai fatti, non alle apparenze o al modo di porsi.
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Beh, penso siano la culla del DIY italiano, anche se ultimamente leggo e sento opinioni discordi da questa visione. Guarda per esempio luoghi come il Virus a Milano o El Paso a Torino (cito luoghi della mia zona) negli anni ‘80 e ‘90. La gente ci andava non solo per i concerti, ma anche per scambiarsi materiale, idee, organizzare.
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Erano il veicolo principale per la trasmissione delle idee. E la gente non riesce purtroppo a considerare il fatto che potrebbero esserlo anche oggi.
1- Da quanto tempo esiste il progetto CAJ Records in cui sei coinvolto?
SPA- Da pochi mesi. Il progetto nasce dalle fusione di due precedenti etichette DIY, la SPACCIATORI DISTRO e la BAR-H AUTOPRODUZIONI, che facevano capo alla mia band (Spacciatori di Musica Stupefacente) e a un altro gruppo con cui siamo molto amici: Il Teatro delle Ombre. Semplicemente si è pensato di cooperare e di unire le forze, considerato anche che dalle nostre parti la scena è piuttosto inconsistente.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
SPA- Diciamo che siamo noi dei due gruppi a portare avanti il progetto… In tutto siamo quindi in sette. Tutti maschietti e mal messi, di età compresa tra i 25 e i 37 anni. Tutti più o meno diplomati con picchi di titoli di studio inutili. Se poi vuoi tutti i dati precisi fammi sapere, ma non credo sia così importante.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
SPA- Con gli introiti dei concerti e della distribuzione riusciamo in qualche modo a trovare i fondi per coprodurre altri gruppi e noi stessi. In verità i soldi sono veramente pochi e spesso dobbiamo rimetterci di tasca nostra. Questa è però una situazione comune a tutte le realtà italiane e non simili alla nostra. D'altronde anche le altre label DIY che ci aiutano sono in una situazione simile. E’ la grande passione per quello che facciamo a spingerci in queste avventure. Tutto questo fa sì che ovviamente tutti noi in qualche maniera lavoriamo per sopravvivere.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Teatro- Bah, questo è per noi il primo anno, però puntiamo a una media di 5 o 6 coproduzioni all’anno.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
SPA- In queste condizioni non ci si può permettere di far uscire un titolo solo con le nostre forze. Certo si può fare, ma non avrebbe molto senso perché, nonostante tutti gli sforzi, pochi o nessuno ne verrebbero a conoscenza, il prodotto, in sostanza non girerebbe. L’unica via resta quella della coproduzione, che in effetti ha molti aspetti positivi. Il disco dei Bellicosi, per esempio, è andato molto bene, così come gli Arsenico o altri. Anche noi Spacciatori nel nostro piccolo siamo riusciti a distribuire un migliaio di copie del nostro ultimo CD coprodotto. Per il momento non vediamo alternative valide a questo sistema anche se sono convinto che qualcosa di più si può e si deve fare.
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
SPA- Beh, certo, credo che lo sia. Al di là delle etichette, facciamo realmente tutto da noi.
Solitamente cerchiamo di aiutare gruppi con cui abbiamo un comune modo di sentire la musica. Il tutto si incentra sui rapporti umani ed è così che ci piace lavorare. Cosa poi sia “indipendente” o meno ci interessa poco, nel senso che se parli di musica allora la parola “indipendente” non mi dice niente; se parli di etica… Beh, più indipendenti di così non riuscirei a immaginare.
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
Teatro- Beh si potrebbe definire questo progetto un percorso politico più che musicale (o perlomeno le due cose insieme), diciamo che siamo mossi sicuramente da un' etica no profit e comunque ci sprona la voglia di sperimentare situazioni che si discostino dalla logica di mercato (produci e consuma!). Ci interessa offrire un punto di vista alternativo alle cose e creare una certa controcultura piuttosto che guadagnare soldi con CAJ Records (…e infatti di soldi non ce ne sono!!!).
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
SPA- C’è la voglia di dare il nostro contributo all’interno di un circuito che ha bisogno di tutti per crescere. Noi, nel nostro piccolo, ci sbattiamo e ne siamo felici. Magari qualche giovane leva prenderà un giorno spunto da noi e le cose evolveranno (beh, non siamo più giovanissimi). Insomma, abbiamo la voglie e l’esigenza di farci sentire. L’etichetta è uno dei mezzi per farlo.
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
SPA- Personalmente non ho mai capito il significato della parola “indipendente”. Non credo che ad esempio i Punkreas siano indipendenti; nessuno lo è dal momento in cui firma un contratto con delle clausole (non è una critica, anzi, è un dato di fatto). Il problema non è certo musicale ma di mentalità, di attitudine. In Italia ci sono moltissimi gruppi validi che si sbattono, così come ce ne sono altri pessimi che fanno molta presa sui giovani perché copiano spudoratamente i modelli del punk Mtv e giù con interviste su Punkster, dischi, compilation, pubblicità e roba varia. Probabilmente c’è una scarsa cultura musicale e questo si riflette nelle scelte di chi compra i dischi e va ai concerti. Una scena sotterranea (mi sembra un’espressione migliore) c’è ed è molto interessante. Alle volte, girando e suonando in giro, capita di conoscere o ascoltare molti gruppi veramente in gamba, gente che spacca sul serio. E’ triste e frustrante sapere in partenza che molti di loro non avranno mai i riconoscimenti e le soddisfazioni che meritano. Questo anche perché siamo in Italia. Ma il discorso è complesso e merita di essere approfondito. Non è certo solo colpa del “sistema”, un po’ siamo anche colpa noi; probabilmente dovremmo cercare nuove strade, nuove energie. Ci stiamo provando.
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
SPA- Beh, certo. Il web è di aiuto un po’ per tutti, noi compresi. Per quanto ci riguarda ci facilita notevolmente le cose. Ma pensa che con carta e penna, 20 anni fa, si organizzavano concerti e si facevano dischi che spaccavano e che sono rimasti nella storia. Oggi, con internet e tutto quanto abbiamo l’Independent Days (solo il nome fa ridere) ed i Good Charlotte.
11- Cosa ne pensi delle webzine?
SPA- Tutto il bene possibile, testimoniano comunque una certa vitalità. Certo ce ne sono moltissime ed è difficile orientarsi, ma sono importanti, danno la possibilità a molti giovani (e non) di venire in contatto con le realtà musicali/culturali/politiche magari difficilmente raggiungibili.
12- Delle messageboard?
SPA- Perdona la mia ignoranza.... ma cosa sono?
13- Dei blog?
SPA- Non ne ho mai usati.
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
Teatro- Non lo so sinceramente, però quando siamo andati a suonare all' estero, ad esempio all' est Europa abbiamo notato che lì si respira la stessa aria che si respirava nell' ambiente italiano una decina e anche più di anni fa, il che mi fa presupporre che le dinamiche siano pressoché simili anche fra realtà diverse... E poi comunque i canali comunicativi alla fin fine sono sempre gli stessi....
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
SPA- Qui il discorso è complesso. Non credo nella fedeltà a un circuito ma solo alle proprie idee. Ognuno è libero di comportarsi come crede, ma musicalmente parlando, la scena DIY in Italia è decisamente al di fuori di ogni tentazione. Nessuna grossa etichetta proporrà mai contratti interessanti a noi. Nel caso in cui questo succeda non avrei niente da biasimare a nessuno. Ciò che conta per noi è soprattutto la coerenza verso se stessi e gli altri… Posto questo, per me i Los Fastidios (giusto per fare un nome) possono anche mettersi a suonare folk e incidere per la EMI… Non li giudicherei certo per questo.
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
SPA- Certo una grossa importanza. Anche qua però bisognerebbe guardare caso per caso. Non credo che esista poi una vera filosofia DIY. Esistono molte realtà simili e una gran voglia diffusa di urlare ciò che sentiamo dentro. I centri sociali restano spesso l’unica via dove attuare tutto questo, gli unici luoghi dove la libertà di espressione resta sacrosanta (almeno così dovrebbe essere).
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Teatro- Sono decisamente un feticista delle fanzine!!! Ho una collezione sterminata!!!
SPA- Ben vengano e tanto di capello a chi si sbatte per pubblicarle.
1- Da quanto tempo esiste il progetto Choices Of Your Own in cui sei coinvolto?
Il progetto Choices Of Your Own nasce nel freddo inverno del 2002 sotto il nome di PUNKARRECORDS autoproduzioni. L’ottimo riscontro della mia fanzine ROTTEN TO THE CORE (sette numeri su carta, vari sul web, attualmente defunta purtroppo) nella ‘scena’ mi ha fatto capire che potevo ulteriormente dare una mano alle band creando una sorta di distribuzione e label. Appunto è nata PUNKARRECORDS autoproduzioni che poi, per vari motivi, soprattutto di carattere musicale è diventata l’attuale Choices Of Your Own Records.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Inizialmente ho fatto tutto da solo, poiché studiavo a Modena. Da quando sono ritornato a vivere in Puglia, ho trovato e coinvolto altra gente in questo progetto. Il più operativo, forse a volte anche più di me, è Carmelo Montanaro ‘Tarricone’, età 22 , maturità classica. Poi supportano il progetto Serena Pellegrini, età 19, maturità scientifica fra pochi giorni; Piergiorgio Cardone, età 25, laureando in ingegneria informatica, Armando Santoro, età 22, laureando in ingegneria civile.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
Assolutamente no. Anzi spesso e volentieri ci rimetto dei soldi, ma sai, quando è passione è passione. Attualmente sono addetto ai sistemi informativi presso una grossa azienda. Non so neanche io come mi ritrovo in questa posizione.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Dipende. Dipende dagli amici che “incontriamo sulla nostra strada”. La Choices Of Your Own Records non è un’etichetta che individua delle potenziali band valide e fa di tutto per trarre dei profitti. Il più delle volte instauriamo rapporti di amicizia che poi sfociano nella coproduzione di un CD. E’ gente che incontriamo una volta l’anno a qualche festival, con la quale condividiamo la stessa passione per l’hardcore, e di conseguenza andiamo molto d’accordo come persone.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Preferiamo lavorare nel campo delle coproduzioni. Coprodurre un disco, oltre a essere più economico (senza peli sulla lingua) è un modo innanzitutto per confrontarsi con le diverse realtà dell’autoproduzione italiana e non solo, poi è un ottimo sistema per far girare i dischi nelle distribuzioni. E’ davvero insostenibile leggere e-mail di grandi gruppi di una volta in cui si evidenzia il fatto di trovare il loro cd solo nei migliori negozi. Ma per favore…e le sporche distribuzioni dei concerti, quelle improvvisate su un tavolino che neanche regge. E la situazione “ciao,scusa ci stringiamo su sto tavolino che appoggio anche i miei dischi, ciao come va, tu chi sei, etc.” e poi grandi amici??????
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Do It Yourself è una parola molto grossa a mia avviso. Molta gente la usa perché fa bello essere DIY…Ma trendy e DIY non vanno assolutamente d’accordo. La Choices Of Your Own la ritengo una label DIY per il modo di pensare. E’ chiaro che il cd incellofanato e il bollo SIAE sono poco DIY, ma purtroppo si va avanti nei tempi e certe cose non siamo noi a deciderle. Molti pensano che fare un vinile è DIY, fare un CD no…Io non la penso cosi. DIY è un modo di pensare, un modo di porsi nei confronti della gente e delle situazioni. DIY è una cosa che va oltre la musica stessa e il modo di far musica.
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
Semplicemente la passione per l’hardcore come stile di vita…
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Immagino che ogni singolo boss (amo questo termine, perché il boss in questo caso sarei io, ah ah) abbia i suoi buoni motivi per dar vita a queste realtà. Non ti saprei dire pero, perché potrebbero essere infiniti…credimi!
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
Questa è davvero una domanda trabocchetto. In Italia ci sono una sacco di band e di persone che si sbattono per organizzare concerti, portare avanti degli ideali, ecc…Però spesso dopo un periodo di buona condotta, chi per un motivo, chi per un altro, abbandonano la scena…Però la cosa buona è che nel frattempo nascono altre realtà. Ad esempio in Sardegna ne stanno succedendo delle belle. Ci sono spesso e volentieri concerti, stanno nascendo distribuzioni e fanzine, gli stessi gruppi della penisola vanno a suonare lì…E questo non può che farmi piacere. Scena indipendente in ITALIA, però, non saprei. La vedo un po’ ghettizzata come scena in generale. Torino,Milano,Roma, Puglia,Sicilia, Genova…..Perché non ITALIA? Eppure quando poi qualcuno si prende la briga di fare un festival con band da diverse parti d’Italia, siamo tutti amici…e ci piace anche, ma una volta a casa????
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Certamente!!! Internet è il più potente mezzo di comunicazione al momento. Non è come la TV o la radio che ti impone quello che devi fare/ascoltare…Sei tu a decidere nella totale indipendenza. Molti dischi io li scelgo tramite internet, anche all’estero. Così le band possono farsi conoscere in tutto il mondo senza dover passare attraverso fastidiosi compromessi.
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Molti creano una webzine solo per farsi arrivare i cd gratis direttamente a casa. Sono in pochi quelli che da anni portano avanti un progetto serio di webzine. Sicuramente www.munnezza.it è la più valida. Poi ci sono www.lamette.it e www.saveyourscene.com che meritano un occhio di riguardo. Il resto non conta…
12- Delle messageboard?
Un metodo come un altro per creare tensioni e invidie tra le band e le persone. Dovrebbero servire a unire, invece disgregano…
13- Dei blog?
Un modo come un altro per esprimere le proprie emozioni..Indipendentemente dal fatto di trovarle stupide e inutili, ognuno ha il diritto di esprimersi a modo suo…Io preferisco altro sinceramente…
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
In Italia la gente è molto trendy….Se l’hardcore fosse diventato trendy sarebbe stata la rovina. In Germania la gente è molto più open minded e convergono molte più culture ad esempio. In Italia a mio avviso abbiamo avuto uno sviluppo simile, ma rallentato… Pian piano però spero e credo che ci avvicineremo a realtà come quelle tedesche….
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Bravissimo, se una band comincia autoproducendosi e porta avanti certi ideali, non può ad un certo punto comportarsi in maniera totalmente opposta. Purtroppo c’è chi no lo capisce e si affida a mani maligne (quelle delle major)… In quell’occasione perdono immediatamente tutto il rispetto che magari hanno messo anni a guadagnarsi…
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Davvero fondamentale…E’ all’interno di questi luoghi che l’autoproduzione ha il suo massimo ‘splendore’. Oggi i locali stanno ammazzando l’idea di centro sociale e le persone stesse preferiscono avere la pappa pronta piuttosto che sbattersi un attimino…Fa parte del normale corso delle cose…
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Sono state per anni il mezzo di comunicazione delle band e delle realtà indipendenti con il singolo individuo. Oggi ne restano ben poche, sostituite dalle miriadi di webzine (inutili) e dalla comodità di internet (e qui anche io ho ceduto…).
18- Opinioni e osservazioni….
A parte ringraziare te per questo questionario, che mi ha reso chiaro anche le mie stesse idee, penso che siamo in evoluzione continua e che non dovremmo farci paranoie sui mezzi in cui vengono fatte le cose. L’importante è avere lo stesso risultato alla fine…..Tutto qua.
1- Da quanto tempo esiste il progetto Circe Pit in cui sei coinvolto?
Il progetto esiste all’incirca dal 2002, anno di nascita dell’etichetta.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Siamo attualmente in 4 persone tutti e 4 amici di differenti luoghi. Diciamo Milano e dintorni. Tutti studenti, 2 laureati e due laureandi.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
No assolutamente. Per noi è puro e semplice hobby e sicuramente il taglio”aziendale” della nostra etichetta è quello di promuovere gruppi giovani di conoscenti, non per ampliare il circuito musicale indipendente italiano.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Non abbiamo un numero fisso,dipende molto dal budget… Direi che tendenzialmente sono 2 o 3 all’anno, se i profitti sono buoni.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Usualmente preferiamo produrre da soli la nostra band o gruppo che “scritturiamo”. Le coproduzioni sono una buona cosa e non disdegniamo assolutamente questo tipo di situazioni, anzi aiutano molto anch’esse per la cooperazione delle etichette indipendenti. Diciamo che se ci venisse proposto tendenzialmente accetteremmo..
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Crediamo assolutamente che sia una esperienza DIY, in quanto siamo tutti nati in un periodo musicale ben preciso la cui prerogativa era proprio questa. Portare avanti delle situazioni di questo tipo ci fa sentire più vicino al nostro discorso e periodo musicale. A questo aggiungiamo anche, se possibile, la parte un po’ più mediatica odierna che non è propria del DIY ma che serve attualmente ad una band per emergere…
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
L’etica è quella di aiutare band e di promuovere la musica, anche se in piccolo, qui in Italia dove non esiste una vera e propria scena musicale underground.
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Nasce per diversi motivi, ma quello principale è l’attitudine verso un certo tipo di discorso che va al di là delle semplici parole. Fare le cose in maniera DIY è indice di una capacità di creare qualcosa di vivo che va al di là delle logiche di mercato a volte molto asettiche. DIY vuol dire contatto diretto, umanità al 100%
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
Sì e no, si può parlare di scena indipendente italiana in quanto i gruppi sono svariati, la gente che cerca di fare qualcosa è molta. Dall’altro canto si può dire che una scena indipendente italiana non esiste per mancanza di continuità soprattutto se paragonata alle esperienze estere europee o americane che siano.
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Anche qui è ambivalente la risposta: internet è un’arma a doppio taglio. Agevola la possibilità di farti conoscere ma ha cambiato radicalmente il modo di concepire la musica. L’esempio è semplice: negli anni novanta l’unico modo per avere contatto con la musica indipendente era quella di andare ai concerti conoscere gente, gruppi comprare dischi che trovavi solo lì: insomma tutto ultra DIY. Ora con l’era del web la dimensione live è totalmente revisionata…
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Ottime soluzioni per fare circolare notizie sulla musica. Personalmente nulla a che fare con le fanzine e le lettere di una volta…
12- Delle messageboard?
Principio di futilità, aggregazione a volte e disgregazione molto spesso. Si è perso oramai l’uso della parola…
13- Dei blog?
Idem come sopra, aggiungerei che comunque servono per fare circolare informazioni…
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
Negli anni ‘80 e ‘90 tutto il mondo invidiava i gruppi italiani della scena hardcore e non… Poi le cose sono cambiate parecchio e ora come ora fare dei paragoni è veramente impossibile.. Direi che in Italia non c’è la possibilità, per ragioni culturali e musicali, di poter evolvere come altre nazioni.
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Credo che bisogna fare una distinzione precisa: bisogna differenziare tra band che vuole fare successo e band che vuole suonare per divertirsi. Nel primo caso credo che l’aiuto o l’approdo ad una major sia fondamentale e partire da un tessuto più underground non fa altro che bene alla band…. Per il secondo caso direi che non ce ne sarebbe bisogno…
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Beh, sicuramente fondamentale. Ripeto si può parlare di scena negli anni ‘80 e ‘90… Ora i centri sociali si sono dovuti piegare alle logiche attuali, un po’ per decadimento dei valori politici , un po’ perché la gente e le idee sono cambiate.
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Direi che mi mancano assolutamente…Scrivere lettere, leggere e toccare con mano le fatiche di qualcuno che come te vuole dare tanto alla scena ti rende molto più vicino alla musica.
1- Da quanto tempo esiste il progetto Concubine Records in cui sei coinvolto?
L’idea è partita nel 2003, ufficialmente siamo partiti nel gennaio 2005.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Siamo in tre, tutti maschi: Luca, 24 anni laureando in informatica; Matteo, 23 anni laureato in cinema; Matteo, 23 anni laureando in cinema.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
Assolutamente no, ma non è un obbiettivo mangiare con Concubine.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Ne abbiamo in programma 4 (due già uscite altre due a fine anno). Si vedrà comunque il nostro obiettivo è di averne un paio.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Preferiamo le coproduzioni, è più interessante lavorare con persone che si stima per portar avanti un progetto. E poi il lato economico non è da sottovalutare, si spende meno.
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
DIY, facciamo tutto noi.
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
No, voglia di stare insieme e amicizia sono alla base.
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Passione prima di tutto, e tanta voglia di seguire i tuoi ideali.
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
Scena no, gruppo sì. Si è in pochi ma i risultati ci sono, qualcosa si sta muovendo, basta togliere invidia e pigrizia e il gioco è fatto. Però ai concerti, bisogna dirlo, c’è sempre meno gente.
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Aiuta, con internet è tutto più veloce, organizzare tour, vendere dischi ora è più facile.
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Preferisco la stampa cartacea, ma se fatte bene, utili.
12- Delle messageboard?
Carine ma l’anonimato è una tentazione troppo forte per alcuni.
13- Dei blog?
Inutili.
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
Amo ciò che circonda la musica che amo. Di gente che si vuole sbattere ce ne è, i risultati a volte sono incoraggianti.
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Amo l’indipendenza in ogni sua forma. Se un gruppo va su major problemi suoi, se continua a fare buona musica posso anche continuare ad apprezzarlo, ma che non mi venga a fare discorsi sull’essere punk, sulla morale e bla bla bla… Anche perché sono convinto che si possa distribuire il disco e fare concerti solo con le proprie forze, se no Concubine non sarebbe nata.
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Enorme e continueranno a farla. È impensabile pensare al DIY senza centri sociali.
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Vedi risposta sopra.
1- Da quanto tempo esiste il progetto Cragstan Astronaut in cui sei coinvolto?
Cragstan Astronaut è una piccolissima etichetta indipendente nata a Genova un anno e mezzo fa con l’uscita del 7” split La Quiete - KCmilian, ma è un progetto che nella mia testa esiste da più di tre anni, per concretizzarsi ci è voluto tempo, risparmiare qualche soldo, trovare le persone e il modo giusto per fare le cose, chiedere un sacco di consigli a gente con più esperienza di me e tutto il resto…
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
L’idea di fare un etichetta di soli 7”, o comunque solo vinile, è venuta in primo luogo a me (Guglielmo), ne ho parlato con le due persone con cui avrei voluto condividere questa esperienza, così siamo in tre, Guglielmo, Alberto e Michele. Guglielmo e Michele hanno 23 anni, Alberto è un po’ più grande, 27 mi sembra.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
Io in primo luogo sono uno studente universitario, mi sto laureando in disegno industriale, lavoro part-time come commesso del bookshop di un museo a Genova e consegno materiale pubblicitario di alcuni teatri genovesi a scuole ed associazioni, Michele studia ingegneria biomedica e lavora per dei suoi professori in un laboratorio di robotica della facoltà di ingegneria a Genova. Alberto lavora come cassiere di un supermercato (“Dìmeglio”) a Genova. L’etichetta è una cosa che si porta avanti per sola passione, vorremmo produrre solo vinile in piccole tirature, non mi è mai nemmeno passato per la testa di pensare a Cragstan Astronaut come a un lavoro.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Abbiamo solo un uscita fuori, lo split 7” La Quiete/KCmilian, 550 copie grazie alla popolarità dei La Quiete è andato fuori stampa in pochi mesi, ne ho a casa ancora una quindicina di copie. E non penso che verrà ristampato. Stiamo progettando un’uscita particolare. Una raccolta di cartoline, 24 fotografie fatte a vari gruppi da un nostro amico, un ragazzo di Genova fa foto ai gruppi bellissime. Ha sue fotografie stampate su fanzine importanti come Skyscreaper, giornali come Rumore e sul sito della Dischord Records. Ci è sembrato bello poter realizzare una sorta di suo portfolio, un cofanetto formato 7” limitato a 300 copie di 24 cartoline ciascuno.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Non ci è ancora capitato di coprodurre un disco con Cragstan Astronaut. Ho partecipato da solo, come Guglielmo, singolo individuo alla coproduzione dello split cd Fine Before You Came \ As a Commodore. Trovo la coproduzione una cosa bellissima, dimostra quanto possano essere forti legami e amicizie tra gruppi e piccole etichette, aiuta a far girare i dischi all’interno di un circuito indipendente, comprare dischi, scambiare dischi, partecipare attivamente ad un qualcosa che non è solo musica…
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Penso che Cragstan Astronaut sia DIY, io ritengo di avere un approccio DIY nei confronti di parecchie cose, anche al di fuori della musica, nella vita di tutti i giorni. Può sembrare stupido ed esagerato, ma il DIY non credo inizi e finisca in saletta a suonare quando vai ad un concerto, organizzi un concerto o produci un disco. Facendo queste cose e conoscendo persone all’interno di una sottocultura, crescendo con determinate idee ed opinioni, è facile, penso inevitabile, che le influenze si estendano ad altri campi. Penso che DIY non sia una cosa semplice da spiegare, non c’è una definizione da vocabolario a cui far riferimento e regole da seguire, è un approccio alle cose, ciò che ne si trae fuori, a livello di esperienze, comportamenti, idee. C’è poco da spiegare e tanto da esperire… Sicuramente è un’attitudine, è un’esigenza, una scelta, l’unico modo che si è trovato per esprimersi. Posso dirti che considero il mio gruppo DIY perché non siamo mai usciti e non abbiamo mai sentito l’esigenza di uscire da un determinato circuito. Ho prodotto un 7” split con un gruppo che ritengo di miei amici e lo ho prodotto senza pagare la SIAE, perché sapevo fosse destinato ad un certo tipo di circuito. Per questo penso di poter definire Cragstan Astronaut DIY.
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
Nessuna etica, solo mi piace produrre dischi, per passione e perché la musica ha sempre significato moltissimo nella mia vita.
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Penso che ognuno abbia i suoi di motivi. Sicuramente l’input generale è il desiderio di esprimersi, di fare da soli. Volersi sentire parte attiva di un “movimento”. Dire la propria opinione e comunicarla agli altri.. Questo succede quando si vuol fare qualcosa di più che ascoltare musica in camera, in macchina o andare ai concerti.
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
Perché mai dovrebbe essere scorretto. Scena indipendente per quanto riguarda tutta la musica che non è sui giornali, radio, Mtv. L’hip hop come il punk, l’indie, l’hardcore, ma anche fumetti, arte, writing…
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Certamente sì. Internet è il più veloce mezzo di comunicazione. Per piccole realtà indipendenti, gruppi, etichette, distribuzioni, è solo un aiuto per ampliare l’utenza di possibili ascoltatori.
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Le webzine sono un mezzo mediatico importante, anche queste nascono dalla passione di singoli per la musica, sicuramente dietro al lavoro di webzine curate come Movimenta o Sodapop c’è dietro lo sbattimento di un sacco di gente. Un modo di darsi da fare pure questo, diciamo. Probabilmente è più complicato portare avanti una webzine che un’etichetta… Spesso chi cura recensioni e articoli, produce anche dischi.
12- Delle messageboard?
Le messageboard ed i forum, sono un ovvia evoluzione, veloce ed economica di quello che una volta si faceva per telefono e posta. Crearsi contatti scambiare idee, pubblicizzare dischi e concerti.
13- Dei blog?
Questi proprio non li posso soffrire.
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
Non ne ho la minima idea. Sicuramente non come in Germania, dove arrivano ad organizzare tour a band americane solo per poche date nel loro paese, ma esistono realtà punk indipendenti dagli anni ‘80, e alcune ancora attive dai primi anni ‘90 come SOA, Shove e Green Records. C’ è sempre stata una scena, con i suoi alti e bassi, i suoi cicli e le sue crisi. Io sono relativamente giovane, ho ricordi della scena a partire dal 1998, quindi mi sono perso parecchie cose. Poi all’interno dell’Italia, ogni città ha la sua storia, bisognerebbe fare distinzioni.
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Sicuramente la mia opinione cambia, anche se è un argomento parecchio contraddittorio. Posso dirti che io non credo avrò mai intenzione di scostarmi da un determinato circuito, ma non si può essere categorici, ognuno fa quel che vuole, si cresce, si cambia, è ovvio che sia così, è sempre stato così, cambiano le esigenze e cambiano le persone. Quindi ritengo siano scelte, se uno non si ritrova più in un determinato ambiente, se uno ambisce ad un pubblico più vasto, rimborsi alti e visibilità, è normale che provi a cambiare giro. Probabilmente bisognerebbe allora solo cambiare etichetta e non definirsi più “punk” e DIY, visto che sono parole che non dovrebbero mai uscire da un determinato circuito.
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Penso i centri sociali siano l’unico motivo o quasi per il quale è nata una scena indipendente. Penso che un certo tipo di musica non dovrebbe nemmeno uscirvi. Si perderebbero dei messaggi importanti e delle idee a che li legano indissolubilmente.
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Sono una delle cose più esplicative del concetto di DIY. Sono la passione di chi le scrive, spesso conscio di non esser nemmeno bravo a scrivere. Sono spontaneità. Sono punk. Come suonare un gruppo ed urlare nel microfono, l’esigenza di comunicare, su fogli di carta fotocopiati, spesso scritti direttamente a mano.
1- Da quanto tempo esiste il progetto Cripta Records in cui sei coinvolto?
La Cripta Records nasce nell'aprile 2002.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Io sono l'unica persona coinvolta nel progetto Cripta, maschio, 26 anni a breve, grafico pubblicitario.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
La Cripta è solo un progetto a cui dedico il mio tempo libero, la mia professione è il grafico pubblicitario.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Non ho una media predefinita: quest'anno 5/6, un paio d'anni fa 3/4, dipende dal mio budget al momento in cui mi viene fatta una proposta di coproduzione...
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Entrambe le cose, ma preferisco collaborare con più etichette, conoscere nuove persone, visitare nuovi posti e soprattutto si crea una rete distributiva in maniera pressoché automatica condividendo con più persone una produzione. Questo fa si che un album possa "girare" su varie distribuzioni e avere più visibilità nella scena underground.
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
100% DIY. Credo sia l'unica via per poter proporre qualcosa di "alternativo" a dei canali con cui non si può neppure dialogare se non sei distribuito in maniera ufficiale sul mercato discografico. Sto parlando delle riviste che trovi nelle edicole naturalmente! Per fortuna esistono ancora le fanzine!!!
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
Non esattamente. Diciamo che l'unico ambiente in cui ci si può muovere è il centro sociale occupato o autogestito. Io supporto questi luoghi e le persone che lo frequentano, luoghi poi legati ad ambienti di derivazione punk e hardcore. Io stesso suonavo in una band sludge hardcore nei primi anni del nuovo millennio e ascolto hardcore da quando avevo 14 anni...
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
E’ un modo come un'altro di essere parte attiva della scena (in questo caso hardcore): c'è chi va ai concerti, chi suona, chi organizza concerti, chi distribuisce, chi occupa...
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
Sì, anche se in maniera pressoché virtuale. La scena siamo noi, appunto chi suona, distribuisce, occupa... Vedi sopra!
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Da un certo punto di vista sì, perché è comunque utile ai gruppi che vogliono farsi conoscere. I contatti sono più veloci ed è un canale mediatico potenzialmente illimitato. Ai giorni nostri soltanto la TV credo sorpassi internet a livello comunicativo. La facilità con cui si reperiscono notizie nella rete è impressionante! La stessa cosa con cui io mi sto rapportando con te in questo preciso istante. La cosa negativa è che sto davanti ad uno schermo in una stanza chiusa in casa mia e non mi piace molto come tipo di comunicazione: preferirei conoscerti di persona!
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Nel 1999 io stesso gestivo una webzine, “!veramusica!”, che poi ho chiuso per impegni di lavoro nel 2001. Credo rappresentino il filo conduttore che unisce chi fa musica a chi va ai concerti, compera dischi e quant'altro. E’ un bene che ci siano questi canali informativi per chi "fa" musica. Io preferivo la "carta straccia" delle fanzine ma d'altronde la comunicazione su internet è molto più veloce e diretta, non c'è dubbio.
12- Delle messageboard?
Degli spazi dove comunicare.
13- Dei blog?
Una sorta di vetrina del proprio essere!
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
Sicuramente no! Noi siamo un popolo abbastanza ignorante in certe cose e troppo legati ad una cultura ecclesiastica da sempre. Siamo poco aperti alle novità e quando lo facciamo siamo sempre gli ultimi in Europa!
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Non è il veicolo che ti propone come gruppo indipendente ma tu stesso o la tua band e la musica che fai. Posso mandare qualsiasi tipo di messaggio seguendo qualsiasi canale promozionale: vedi i Sex Pistols ad esempio, nei primi anni della loro carriera erano un oltraggio ala pubblica decenza, ora li passa anche Mtv! Ma rimangono pur sempre i Sex Pistols.
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Credo in primis libertà di espressione. Poi tutto quello che ne consegue politicamente parlando.
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Purtroppo sono sempre più rare...
18- Opinioni e osservazioni….
Io ho sempre in testa la canzone degli High Circle, band hardcore romana: "aiuta la tua scena con la forza dei tuoi anni...", ricordiamoci poi che la cosiddetta "scena" indipendente è fatta di persone che cercano un punto di incontro e dei momenti da condividere. Ciao.
1- Da quanto tempo esiste il progetto Cris’ Core in cui sei coinvolto?
La Cris’ Core esiste dal 2002.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Purtroppo sono solo. Sono un ragazzo di 27 anni. Mi chiamo Francesco Fassari e mi sono laureato in agraria 2 anni fa, ma sono ancora disoccupato!
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
Cerco di rimanere in pari, anche se spesso ci vado sotto, ma non m’importa! Quando posso, mi piace aiutare i gruppi a produrre il loro lavoro.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Mediamente una, in 4 anni ho coprodotto 4 CD, ma gli ultimi 3 tutti quest’anno.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Finora sono state tutte mega-coproduzioni!…Dalle 12 alle 16 etichette che collaboravano assieme! Non so se preferirei produrre un cd tutto da solo…. Per adesso non mi sono posto il problema, perché non potrei permettermelo economicamente….Però mi piace tantissimo questo feeling che si crea quando tante persone credono sullo stesso progetto, quindi mi va bene così!
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Uhm, è chiaramente un progetto DIY! Non mi piace il termine promozione, però è anche vero che cerco di spingere i gruppi che coproduco. Posso fare questo, perché i gruppi Cris’ Core mi piacciono, altrimenti non li avrei coprodotti.
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
Forse si può dire che il DIY sia già un’etica in sé!
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
I motivi possono essere diversi. Spesso nasce per l’autoprodursi con il proprio gruppo!
A volte nasce dal bisogno di cambiare qualcosa nel sistema discografico che ci impone prezzi assurdi per l’acquisto di un disco. Un altro motivo, che per me è stato quello più importante, è cambiare la propria realtà: la mia realtà è Catania, una città dove mi muovo per costruire qualcosa di diverso alle solite cose ci vengono propinate alle masse. E’ un discorso veramente lungo che dura 27 anni, non credo di riuscire ad approfondire l’argomento così in due parole. Comunque per fare tutto ciò, ci vuole una forte passione: per fare durare progetti del genere, dove gli introiti, se ci sono, sono ridicoli, bisogna crederci fino in fondo!
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
Nelle singole città possiamo trovare tante piccole scene indipendenti, ma forse non si può ancora parlare di una scena nazionale. Anche se ultimamente ci siamo mossi bene tutt’insieme…Il DIY Conspiracy esiste!
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Credo di sì. Per una band underground prima era molto più difficile girare, contattare, farsi conoscere, far ascoltare la propria musica in mp3. L’unico svantaggio potrebbe essere quello che non vi vendono più i cd che autoproduci, ma non è così!!! Se un ragazzo si scarica da internet un cd DIY e gli piace, appena lo vede in qualche distro possibilmente se lo compra: questo anche grazie ai prezzi che si possono mantenere bassi. Lo stesso non avviene se si scarica un cd di una major che poi si acquista a cifre come 20.99 euro.
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Penso che sia lo stesso discorso di prima, come una band può girare più facilmente grazie ad internet, lo stesso vale per una fanzine… Cinque o sei anni fa facevo una fanzine con il mio cantante, si chiamava “Punx Basic Need”…
12- Delle messageboard?
Possono essere molto utili, se usate bene… A volte sono divertenti, a volte no…
13- Dei blog?
Idem, come sopra.
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
Non credo si possa paragonare il movimento italiano con quello delle altre nazioni europee, siamo molto indietro, usciamo pochissimo, sono poche le band conosciute anche all’estero…Bisognerebbe prendere esempio dai Negazione (R.I.P.), dai Raw Power e da tutti quei gruppi che lasciano tutto per andare a suonare per pochi spiccioli ovunque li facciano suonare! Possibilmente muniti solo di furgone, strumenti, sacchi a pelo e cambio di biancheria! E’ una critica che mi faccio in prima persona…
15 - Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Sarebbe meglio rimanere indie al 100%! Poi dipende dalle band: uno dei miei gruppi preferiti sono i Bad Religion e loro sono stati su major. E’ vero che si sono puliti molto i suoni, ma non si sono svenduti più di tanto, continuando a fare la loro musica. L’importante è non scendere a compromessi col mercato e con l’etichetta che produce il cd. Comunque non è una cosa semplice da giudicare….
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Fondamentale! Se non esistessero i centri sociali molte delle band DIY non saprebbero dove suonare. E’ una cosa biunivoca, perché i centri sociali non farebbero più concerti senza questo tipo di gruppi. Ci sono band che chiedono cachet improponibili, quindi il centro sociale non potrebbe neanche pagarli e, anche se potesse, non lo farebbe, perché cozzerebbe coi propri principi al di fuori delle logiche di mercato. Non è un caso che ci siano dei centri sociali che credono nel DIY e supportano tantissime band, vedi El paso a Torino, ma non solo…Il cd dei Big Shave, la mia band, è per esempio coprodotto dai ragazzi del C.P.O. Experia di Catania. Noi abbiamo suonato lì mille volte, contro il fascismo, contro gli sgomberi, per le cose in cui crediamo e quindi il supporto è reciproco!
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Hanno il loro fascino, ma rischiano di scomparire a causa delle webzine, così come stanno scomparendo gli LP! E’ un peccato, però non mi lamento, è un’evoluzione giusta, che aiuta tutti: costa meno fare un sito o un CD piuttosto che fotocopiare una fanzine o fare un vinile! Come mezzo di diffusione è più totale un CD o un sito piuttosto che un LP o una fanzine.
18- Opinioni e osservazioni….
Mi è servito fare il questionario, ho pensato alle mie idee ed ho pensato che mi piace come la penso!
Seriamente, penso che sia molto impegnativo rispondere così su due piedi a queste domande, su ognuna si potrebbe fare una tesi!
1- Da quanto tempo esiste il progetto Dadadischi in cui sei coinvolto?
Dadadischi esiste dall’estate 2003. Il primo disco è uscito negli ultimi mesi del 2003. Prima di Dadadischi due di noi erano coinvolti in un’altra etichetta, Kimera Records.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
A portare avanti il progetto siamo in tre, tutti maschi. Io, Luca, ho 23 anni, sono studente iscritto alla laurea specialistica in Scienze della Comunicazione di Massa e Multimediale. Federico ha 22 anni ed è iscritto alla laurea triennale alla Facoltà di Fisica. Paolo ha 25 anni ed è lavoratore, dopo essersi ritirato dalla Facoltà di Architettura.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
No, l’etichetta non ha assolutamente consistenza economica. I ricavati sono tutti reinvestiti in nuovi progetti, ma raramente sono sufficienti. Così i nostri dischi vengono per lo più finanziati di volta in volta da ciascuno di noi tre, secondo il suo particolare coinvolgimento nel progetto.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Fino ad ora abbiamo coprodotto circa sei dischi all’anno.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Noi preferiamo produrre in collaborazione con altri individui e gruppi: da un punto di vista utilitaristico, pensiamo sia un modo per dividere equamente le fatiche della produzione, della distribuzione e della promozione. Ma questo è anche un modo per condividere, con altri individui o gruppi lontani da te, una pratica, un messaggio, un’azione. Chiaramente il lato negativo di questo approccio è che spesso gli oneri di promozione ricadono sul gruppo stesso, che rimane abbandonato le etichette che coproducono. Ma questo è un problema sicuramente risolvibile. Noi abbiamo sempre coprodotto con altre etichette, a parte il caso del singolo gruppo in cui suoniamo noi tre: un disco che sentivamo troppo ‘nostro’ e troppo poco maturo per condividerlo con altri.
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Sì, penso di sì. Coproduciamo per lo più gruppi che suonano musica che ci piace, ma è necessario che siano persone con cui sentiamo affinità. Organizziamo concerti, ma quasi esclusivamente in case occupate anarchiche. Promuoviamo i dischi dei gruppi spedendo esclusivamente a radio indipendenti da logiche di profitto e di partito, e ai giornali musicali che si trovano in edicola preferiamo le fanzine/webzine.
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
Do It Yourself indica un modo di agire, quindi anche di produrre e promuovere gruppi. Autogestirsi non significa, credo, essere il manager arrivista di sé stessi: significa ragionare il modo diverso da qualunque altro individuo che si ponga sotto le leggi del mercato e quindi della frenetica crescita costante. Significa suonare in un centro sociale o in un posto occupato per qualche motivazione più forte del semplice fare gavetta. Autogestirsi vuole anche dire prediligere la collaborazione all’individualismo: un modo di essere che mette la comunicazione e l’arricchimento di esperienza davanti al profitto. Un modo per prendersi subito una fetta di libertà di espressione. Su questo ovviamente occorre essere in sintonia con i gruppi musicali con cui si collabora. Fino ad ora, a parte un paio di casi (stranamente con gruppi della nostra stessa città), abbiamo riscontrato lo stesso modo di vedere la musica e l’autogestione.
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
I motivi per cui è nata Dadadischi sono stati sicuramente la passione per la musica e una grande voglia di abbandonare il ruolo di spettatore passivo e di agire in prima persona nel nostro contesto culturale, ma anche il bisogno meno spirituale di fare sentire ad altri la musica che noi stessi suonavamo con il nostro gruppo musicale: quindi, di avere contatti per suonare, produrre il nostro disco, promuoverlo, eccetera…
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
Fino a qualche giorno fa ti avrei detto di no, ma sono reduce (la parola esatta!) da un festival di tre giorni dedicato all’autoproduzione, organizzato a Torino da individui appartenenti a Radio Blackout, l’unica emittente libera torinese, che proprio con questo tipo di eventi si finanzia. Questo festival ha dimostrato che persone e modi di approcciarsi alla musica e all’autoproduzione possono incontrarsi e comunicare. Probabilmente tra qualche giorno avrò cambiato nuovamente idea e vedrò tutto nero! Certamente però esistono così tante realtà dedite all’autoproduzione in Italia, come in Europa e nel mondo occidentale, che è difficile poterle pensare come un’unica entità: non può esistere LA scena. E’ però positivo quando le diverse scene si mettono a confronto.
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Internet è uno dei modi in cui noi stessi comunichiamo più di frequente. I suoi vantaggi sono noti a tutti: permette comunicazione personale e promozione della propria immagine. Ma noi tutti, non solo chi autoproduce, conosciamo anche i suoi svantaggi e la sua riduzione dell’individuo in una realtà virtuale in cui mascherare la propria identità è molto facile. Quindi Internet va bene, ma poi dobbiamo guardarci in faccia!
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Le webzine mi piacciono. Permettono di sfamare la voglia di novità musicali molto prima delle fanzine, che purtroppo sono spesso aperiodiche e di breve durata.
12- Delle messageboard?
Non ho mai usato una messageboard. I guestbook li trovo divertenti e utili per mandare messaggi agli amici.
13- Dei blog?
I blog sono una forma di diario, solo che è fatta per altri e non per se stessi. Non ci vedo niente di male, anche perché questa definizione è talmente ampia che in realtà molti blog sono usati ormai come veri e propri siti, pieni di notizie utili.
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
Purtroppo conosco poco delle altre nazioni europee, non posso giudicare. Sicuramente la scena italiana è meno professionale, ma forse questa è la sua identità. E’ diversa, non è detto che sia peggiore. Forse dovrebbe esserci più interesse e coinvolgimento, ma l’obiettivo non è impossibile: alcuni gruppi hardcore italiani degli anni ’80 se li ricordano in tanti in giro per il mondo, e a quanto pare proprio negli ultimi anni per i nostri gruppi organizzare tour fuori dall’Italia è di nuovo possibile.
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Credo che ognuno sia libero di agire come meglio crede, ma non è onesto sfruttare deliberatamente un circuito alternativo per entrare nel mondo del mainstream.
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Fondamentale. I centri sociali, e prima e meglio ancora le case occupate e i punk negli anni Ottanta, hanno portato spunti inediti e spazi d’azione nuovi.
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Le “vecchie” fanzine servono appunto ad evitare di doversi appoggiare per promuovere un disco a riviste o radio che rispondono a logiche diverse dalle tue e spesso esprimono i propri giudizi in base alla potenza economica del proprio soggetto o, peggio ancora, del suo marchio.
1- Da quanto tempo esiste il progetto Donna Bavosa in cui sei coinvolto?
Circa dal 2001, da quando cioè io e i miei amici abbiamo iniziato ad autoprodurci i dischi e i fumetti senza cercare necessariamente degli sbocchi nei canali tradizionali di diffusione e distribuzione.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Siamo in tre/quattro. Io mi occupo dell’etichetta discografica, mentre Francesco e Andrea della pubblicazione di fumetti underground, e comunque i due compartimenti non sono stagni, tanto più che abitiamo tutti insieme, suoniamo insieme, insomma è più una famiglia.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
Assolutamente no. Un attività di questo genere, slegata da tutte le logiche di mercato e per sua stessa natura contraria alla monetizzazione della cultura, non può consentirci di vivere senza lavorare. Infatti siamo tutti, comunque, schiavi della cultura del lavoro come tutti.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Boh. L’anno scorso due. Quest’anno quattro, forse cinque. Dipende da come va il disco precedente. Se vende, si reinveste tutto in nuove autoproduzioni di gruppi che ci piacciono.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Coproduzioni, per due motivi: l’impossibilità di affrontare la spesa di produzione di un disco da solo e la consapevolezza che la coproduzione può distribuire molto più capillarmente il prodotto.
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Beh, ti dico solo che solitamente in casa infiliamo cd e libretti in custodie cartonate, pieghiamo il tutto, incolliamo, infiliamo nelle bustine, etichettiamo, vendiamo, suoniamo, disegniamo, facciamo tutto con i nostri soldi. Se non è fare tutto da soli… Per quanto riguarda la promozione, beh, diciamo solo che siamo lontani anni luce dal mondo dei booking, che non condividiamo e rifuggiamo.
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Per quanto mi riguarda, per poter autoprodurre il proprio gruppo, che altrimenti mai e poi mai avrebbe potuto pubblicare un disco, figuriamoci due.
9- Secondo te è corretto parlare di una "scena" indipendente in Italia?
Corretto sì, non so poi in quanta percentuale si tratti della volpe e l’uva. Per molti non è assolutamente né volpe né uva.
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
L’avvento di internet, dell’mp3 e della posta elettronica ha rivoluzionato il modo di tessere la rete del circuito. Prima gente che abitava lontano non si sarebbe conosciuta, se non grazie ai dischi e alla circolazione dei volantini all’interno di essi, e alla posta normale.
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Utilissime a conoscere realtà lontane, ma più che altro è stato l’avvento di internet, dell’mp3 e della posta a rivoluzionare il modo di tessere la rete del circuito. Come sopra.
12- Delle messageboard?
Raramente utili a qualcosa, ma pur sempre fenomeni di questi anni da non sottovalutare.
13- Dei blog?
Piuttosto autoreferenziali, seppur buoni strumenti di espressione personale.
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
No, minore. Il circuito è meno politicizzato, quindi meno coeso e coerente.
15-Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Molto importante, perché con il loro coraggio, e spesso il loro estremismo, hanno trainato un movimento che spesso tende alla deriva verso ciò che invece dovrebbe combattere. Luoghi come El Paso a Torino, il C.P.A. di Firenze e molti altri sono vere e proprie cattedrali dell’autoproduzione. El Paso ha addirittura una sua etichetta.
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Sono un appassionato, per me sono veri capisaldi di una sottocultura, roba da museo…
1- Da quanto tempo esiste il progetto Dufresne in cui sei coinvolto?
All’incirca dal 2001, avevamo appena registrato un prometto con i Disquited By, le registrazioni (come i pezzi) non erano un granché per cui uscì sottoforma di cd promozionale, visto che avevo intenzione di far uscire qualcosa sul booklet tipografato misi una specie di logo con l’indirizzo e-mail.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Sono solo a portare avanti questo progetto, in questo periodo mi sta dando una mano con le grafiche l’ex-chitarrista dei THE FOG IN THE SHELL, ma visto che sta a Novara e che l’aiuto è sporadico non lo considero e tanto meno si considera parte del progetto. Io dovrei essere un maschietto, 30 anni e licenza di terza media.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
Assolutamente no. E’ una passione che porto avanti con mille sacrifici, anzi è il mio lavoro primario (commesso in un negozio di articoli sportivi per la montagna) che mi consente di “perdere soldi” facendo uscire gruppi che reputo interessanti.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Dal 2001 sono usciti 5 dischi (tra coproduzioni non) e se tutto va bene ne dovrebbero uscire altre due prima del 2005 quindi direi 1,5 all’anno.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Ho fatto una coproduzione con Massacro ed Heroine per i Corey, mi sono trovato bene ma sono per lavorare da solo. Ho la visione totale delle cose e preferisco avere il “monopolio” del disco in questione: scambi, distribuzione, promozione, vendita etc…
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Assolutamente DIY ma solo perché penso che i gusti musicali che influiscono sulle mie uscite siano fuori dal grande (o medio) mercato musicale.. Comunque sia sono contrario al music business.
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
Direi di no. Io sono straight edge ma è una scelta personale, le cose che ascolto e promuovo o su cui vorrei concentrarmi e indirizzarmi hanno come filone l’autodistruzione. Hai presente lo stoner, doom drone, ambient? Insomma una contraddizione vera e propria per come vivo.
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Perché qualcuno vuole dire la sua in modo forte e presuntuoso.
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
Direi di sì, esiste una scena italiana fortemente criticabile, presuntuosa e selezionatrice ma esiste.
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Fino a un certo punto. E’ un ottimo modo di farsi conoscere e promuovere ma si rischia di esagerare. A volte si possono spendere anche 7 euro per un gruppo italiano.
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Anni fa provavo anche io a scrivere come recensore ma il mio italiano è pessimo e quando se ne sono accorti era troppo tardi. Comunque ci devono essere ma anche qui si rischia di esagerare… Troppe, uguali, ritardatarie e che cessano l’attività troppo presto.
12- Delle messageboard?
Se usate secondo un certo criterio possono essere stimolanti, purtroppo non si può dire lo stesso delle persone che ne fanno uso, Sceneboot è la cosa più scandalosa che ci potesse capitare.
13- Dei blog?
Mi piacciono, mi aiutano a passare il tempo ma a volte ci trovo delle grandi contraddizioni. Quando ci si espone con un blog, un gruppo, una fanzine, webzine, etichetta, booking o qualsiasi altra cosa si vuole essere protagonisti e quindi criticabili di conseguenza… Si ha l’impressione invece che chi ha un blog a volte abbia capito tutto della vita. Leggevo quello di Luca dei THE FOG IN THE SHELL/HOT GOSSIP perché mi piace il suo stile (“leggevo” perché non lo aggiorna da mesi). Ero un accanito lettore di Aiki ma la mia ignoranza mi costringeva troppe volte a prendere il dizionario per capire i significati delle parole che usa. Tuttora leggo quello di BEPPE GRILLO!
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
Non so come funziona in Europa e non conosco la scena europea ma a mio avviso le cose funzionano di pari passo come da noi.
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Mi auguro invece che tutti facciano il “botto” restando fedeli alla loro attitudine. Il gruppo indipendente DEVE usufruire dei canali più grandi per arrivare a comunicare cosa significhi restare fedeli alla propria attitudine. Ma non sarebbe grandioso entrare nel cast del Grande Fratello 6/7/8/9 e a telecamere accese urlare all’Italia intera il proprio disgusto per simili scemenze? Non ritengo così importante dirlo nei centri sociali perché comunque frequentato da persone più o meno simili ai tuoi principi, disgustate dalle solite cose che disgustano te. Si deve arrivare ad un livello più alto. E poi penso che a pochi faccia schifo riuscire a vivere con la propria musica.
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Il centro sociale è la linfa vitale del DIY. Forse più lontani alla cultura musicale perché comunque un centro sociale (e spesso ce lo dimentichiamo) ha la funzione di gestire un proprio nucleo interessato alla “disinformazione” o “controinformazione” rispetto a tutto ciò che è politicamente corretto.
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Spero che ritornino presto e che prendano il sopravvento delle webzine. Sono più interessanti anche se meno colorate. Certamente è un canale ancora più ristretto, il giro di una fanzine non potrà mai competere con il clic di un mouse.
Intervista 14: EATEN BY SQUIRRELS
1- Da quanto tempo esiste il progetto Eaten By Squirrels in cui sei coinvolto?
Il progetto nasce nel settembre 2004 dopo anni passati a suonare, fare esperienza all’estero e aver gestito per un certo periodo di tempo un’altra etichetta con altre persone. Stavolta volevo avere il pieno controllo della cosa...
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Sono da solo a portare avanti l’etichetta. Faccio tutto, dal sito web alla gestione dei contatti e produzione e impacchettamento dei dischi. Sesso maschile, età 29 e mezzo e titolo di studio diploma ragioniere.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
No, la label è assolutamente no profit, producendo poche copie al massimo rientro nelle spese. È una scelta. Al momento non lavoro ma finanzio il tutto tramite il mailorder di dischi associato all’etichetta.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Non avendo ancora un anno di vita.... Credo che per fine anno arriverò a 5-6 uscite tra 7”, cdr e coproduzioni con altre etichette italiane.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Se si può attuare la coproduzione è più che accetta in quanto i costi di produzione si dimezzano notevolmente. Questa è una delle ragioni principali, seconda forse solo alla volontà e passione che spesso si condivide con altre etichette nel produrre un gruppo. È un modo anche per aiutarsi e partecipare con quote non troppo significative (non tutti abbiamo un lavoro fisso che ci permette di investire in uscite regolarmente) alla realizzazione di un disco. L’Italia è piccola, ci si conosce un po’ tutti, le coproduzioni nascono piuttosto facilmente e cementificano i rapporti.
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Dipende da cosa si intende per DIY. Per me DIY è fare qualcosa di importante per se stessi e sentirsi a proprio agio con cosa si fa. Non è solo una questione di musica. Personalmente è qualcosa che va oltre il voler promuovere un disco o un gruppo: non mi interessa, non sto facendo marketing. È solo la volontà di metter fuori un disco che mi piace e che spero possa piacere ad altri. Mi piace entusiasmarmi per un gruppo sconosciuto e ho voglia quando questo accade di farlo ascoltare agli amici e a chi può essere interessato. Tornando alla domanda, sì considero la mia label DIY visto anche che non mi interessa la distribuzione dei miei dischi a livello nazionale: faccio TUTTO da me. Poi potresti trovare qualcuno che ha un’idea di DIY completamente diversa. Per me DIY non vuol dire seguire delle regole prefissate (e da chi poi?), è più importante COME fai le cose che fai.
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
La mia unica etica è quella di fare uscire dischi che mi piacciono e non perché possono avere un buon riscontro commerciale. Da qui anche la voglia di fare solo poche copie per ogni uscita: non più di 100 copie e con copertine fatte a mano e curate. Mi piace l’idea di dare una mano a gruppi meno conosciuti, possibilmente producendogli un 7” od un cdr che possa servirgli da trampolino per poi accasarsi su etichette più grosse. Se ne hanno voglia. La gente a volte non crede che c’è gente come me (e tanti altri) che di finire sulla copertina di Blow Up non gliene importa nulla...
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
I motivi mi piace credere che siano quelli di voler portare qualcosa di proprio nel modo più genuino possibile in ambito musicale. Contribuire con le proprie idee a qualcosa che sia importante per noi stessi in primis e che ci facciano sentire soddisfatti anche delle piccole cose. Ci deve essere sempre qualche tipo di scintilla in ogni modo... Per me è stato quello di rendermi conto che c’erano tanti gruppi che mi piacevano ma che per un motivo od un altro non erano riusciti a pubblicare nulla. Allora mi sono detto che se non lo facevano altri lo avrei fatto io. Questo per lo meno sono alcune delle mie idee sul perché si possa volere iniziare un’etichetta.
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
Sicuramente sì, ma è una definizione con tante sfumature di colore. Si considerano indipendenti gruppi od etichette che in realtà non lo sono. Personalmente non ritengo indipendente chi si avvale di canali major o comunque mainstream per la promozione e distribuzione della propria musica. Si dovrebbe andare nel dettaglio per essere più specifici anche perché è vero che ci sono realtà completamente indipendenti ma con una mentalità come, se non peggio, di una major. E allora è difficile vedere il punto di demarcazione, tracciare una linea.... Ma è poi proprio il caso di tirare una linea e decidere cosa è indie e cosa no? Io sono convinto che finché c’è onestà in quello che si fa i discorsi poi stanno a zero. Non c’è nulla di male a voler del successo o a volere vendere diecimila copie dei propri dischi. E’ la coerenza che spesso però fa la differenza. Chi predica bene spesso razzola male...
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Decisamente sì. Per mille motivi.... Innanzitutto internet permette di tenere in contatto persone e realtà in maniera davvero facile, tramite i website e le e-mail. Quando iniziai a fare musica nel 1993 queste cose non esistevano, si scriveva a mano ed era un casino, era difficile conoscere gente... Ora tutto è facilizzato ed è un bene anche se può avere i suoi contro. Per quanto riguardo gli mp3 e i download, sicuramente piccole realtà che producono di solito non più di 1000 copie ad uscita hanno la possibilità di arrivare a più gente che in ogni caso comprerebbe poi il prodotto finale. Chi ascolta piccoli gruppi è di solito appassionato di musica e compra regolarmente dischi e il più delle volte ha il concetto inculcato di “aiutare” o “supportare” realtà minori. Certo, non sempre è così ma è meglio arrivare a mille persone vendendo 200 copie che arrivare a 200 persone vendendo 200 copie.
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Mah, direi che sono sicuramente un’alternativa più o meno valida ai giornali cartacei che ritengo illeggibili o quasi. Il più delle volte però c’è da dire che la troppa facilità di scrivere di musica e di ascoltare musica tramite internet ha creato un’inflazione pazzesca per cui è facile imbattersi in webzine che definire disorganizzate e poco attendibili è fargli un complimento. Per non parlare di quelli che fanno più o meno finta di scrivere per qualche fantomatica webzine solo per scroccare gli accrediti ai concerti...
12- Delle messageboard?
Sostanzialmente inutili, buone solo per quelli che sono talmente frustrati da fare i gradassi nascosti dall’anonimato e sparare cattiverie spesso gratuite su qualche gruppo. Ma possono a volte ritenersi utili se organizzate bene, dove lo scambio di informazioni riguardo dove stampare cd o vinili può essere un buon motivo per visitarle. È il caso (non sempre a dire il vero) della messageboard di Sceneboot.org.
13- Dei blog?
Sono inutili. Per egocentrici studentelli annoiati.
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
Sicuramente no. Lo sviluppo delle realtà musicali credo sia strettamente legato non solo alla musica ed ai gruppi ma inevitabilmente anche alla situazione sociale e politica diversa in ogni paese. In Italia non so se sia migliore o peggiore, sicuramente è diversa per motivi strettamente legati al nostro territorio. Credo che da noi si abbia sempre la sensazione di stare indietro rispetto al resto d’Europa. Ma dipende anche da che ambiente musicale si guarda. Lo stato dell’hardcore in Italia non è assolutamente peggiore che in paesi come l’Inghilterra (te lo dico perché ci ho vissuto 7 anni), ma se andiamo a vedere etichette indipendenti che cercano uno sviluppo sempre maggiore delle proprie attività la situazione allora diventa decisamente triste. È come se a livello di nicchia lo sviluppo e l’organizzazione ci sia, ma è destinato a rimanere circoscritto per sua natura, mentre le situazioni che cercano (e spesso hanno le qualità) uno sviluppo maggiore non lo trovano per motivi che cercare di spiegare è difficile e complicato.... Dalla mancanza di “college radio” all’ottusità dei canali classici di comunicazione passando per una mancanza di background strutturale che ci appartiene livelli che non hanno forse nulla da condividere con la scena indipendente.
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Onestamente sono domande che non mi pongo... Credo che ognuno possa fare quello che crede sia giusto per lui. Crescendo con gli anni, maturando o semplicemente col passare del tempo, le idee cambiano e le priorità pure, per cui personalmente so che non farò mai alcune scelte, come quella di avvalermi di canali major o cercare un manager... Se le fanno gli altri non sta certo a me additarli come traditori della scena o cose simili. Fatti loro.
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Non so, non ho quasi mai frequentato centri sociali.... Credo che siano importanti punti di riferimento per organizzare concerti di un certo tipo.
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Ora che sono state quasi esclusivamente surclassate da blog e webzine se ne sente un po’ la mancanza. Sono state importanti perché quando non c’era internet erano tutto quello che c’era per allacciare contatti con altre persone , per organizzare tour etc... Credo che la loro scomparsa sia dovuta al fatto che i costi da tenere erano sempre troppo alti e con l’avvento di internet è stato semplicemente più logico ad avere a costo quasi zero una fanzine on line...
18- Opinioni e osservazioni….
Niente di particolare, tengo però a ribadire che la parola DIY anche se molto abusata di recente, grazie al successo commerciale di gruppi di estrazione indipendente, per come la vedo io dovrebbe essere un concetto personale di autocritica e automotivazione nel fare qualsiasi cosa, rivedere le proprie priorità e mettersi in discussione. Fare quello che ad uno piace sentendosi a proprio agio con se stesso. Come dicevano gli Husker Du: “Revolution starts at home, possibly in front of the bathroom mirror every morning.”
1- Da quanto tempo esiste il progetto Fratto 9 in cui sei coinvolto?
Fratto9/Under the sky è nata da poco, alla fine del 2004, in concomitanza con l’uscita del primo disco, anche se era da tempo che pensavo di mettere “in piedi” una label indipendente.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Sono da solo, ho 29 anni, a un esame dalla laurea in farmacia.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
Faccio altri lavori, di soldi se ne vede giusto l’ombra, nessuno riesce a viverci (nel giro indie), tranne qualche rara eccezione, ma si parla comunque di sopravvivenza…
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Idealmente vorrei iniziare con 2, poi si vedrà con il tempo… L’idea è quella di investire 100 per poi recuperare almeno 70-80 e poi reinvestirli nel progetto successivo, e così via.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
La prima uscita è stata una coproduzione con un’etichetta sarda (Zahr Records); semplicemente per avere più fondi a disposizione e per riuscire ad avere il doppio delle energie per promuovere il disco e visto che l’altra etichetta aveva già due dischi prodotti, è servito per lanciare meglio il prodotto.
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Sinceramente non ci ho mai pensato…
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
Forse quella legata alla possibilità di fare controcultura, di negarsi e combattere le major, che non fanno altro che schiacciare il mercato alle etichette più piccole, che nel 90% dei casi, propongono materiale di più alta qualità artistica.
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Nasce per dare spazio a chi non ha la possibilità per farlo, e quindi riuscire a far si che possa muoversi dietro ad un logo, a un soggetto in carne ed ossa, ad una entità; sia per cercare di costruire qualcosa che cerca di sensibilizzare la gente, per cercare di farla guardare oltre al cancello della propria casa.
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
Io suono in un gruppo (Ultraviolet Makes Me Sick) con all’attivo due dischi (stiamo preparando il terzo), usciti rispettivamente per una etichetta australiana il primo (Camera Oscura) e il secondo in coproduzione con una italiana (Urtovox Records); gestisco una webzine legata esclusivamente al circuito indie italiano (www.post-itrock.com); organizzo qualche concerto in un centro sociale e ho anche una etichetta e mi interesso di come girano le cose in questo circuito da diversi anni …direi che da solo faccio una “scena”! Questo per dire che, come me, ci sono molte altre persone impegnate in piccoli progetti, nati nelle stanze delle proprie camere, o in scantinati, che tutti insieme andranno a comporre questa “scena” indipendente… Esiste un mondo immenso sotto l’iceberg, quello che si vede è soltanto la punta, una piccola parte, il grosso si trova nascosto sotto l’acqua…. Basta cercare. Purtroppo però lo spazio per tutti non c’è, e allora si cerca di rubare nel piatto del vicino quel misero tozzo di pane che uno riesce a guadagnarsi. Spesso non c’è merito per chi fa qualcosa di artisticamente più valido, ma c’è maggiore visibilità solo per chi è più furbo e per chi riesce a vendere meglio il prodotto… Purtroppo anche questo mondo viene regolato dalle classiche leggi del mercato, cosa che mi ha profondamente colpito e demoralizzato. Con questo non voglio dire che tutto quello che “emerge” è il prodotto peggiore, ma spesso sì… E quei casi in cui un gruppo indie riesce ad avvicinarsi al grande pubblico, ha anche il merito di far conoscere una realtà sconosciuta ai più.
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Assolutamente sì… Il nostro primo disco non sarebbe mai uscito in Australia senza l’appoggio di internet. E’ assolutamente fantastico avere a disposizione un mondo dove poter far circolare le proprie idee, la propria musica, l’arte in genere. C’è comunque il rovescio della medaglia, e cioè che senza filtri ci stiamo riempiendo di cose altamente superflue e di bassissima qualità, ma che possono risultare di primo acchito interessanti, perché curate nell’estetica, ma al contempo assolutamente prive di contenuti… Navigare in internet seriamente sta diventando quasi un lavoro, cercando di capire dove stanno le fregature o le cose valide.
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Come ti dicevo prima, ne gestisco una, (www.post-itrock.com) molto settoriale, perché si occupa di materiale esclusivamente proveniente dalla penisola e legato a un certo approccio musicale. Con il passare del tempo (il numero zero è uscito nell’ottobre 2001) è sempre più dura mantenere la stessa linea editoriale, anche perché il fatto che molte persone mi conoscono anche per il gruppo e per l’etichetta sta diventando un’arma a doppio taglio… Siamo circa in 5-6 collaboratori fissi, con punte anche di 10, ma preferisco sempre lavorare con persone che conosco e che so come scrivono e come la pensano. Ormai è pieno di webzine che con il tempo hanno assunto forma di portali musicali, mescolando generi, provenienza geografica, attitudine musicale. Forse è proprio per questo che ho cercato di dare un’impronta un po’ diversa alla mia, cercando di concentrare le idee su un determinato approccio musicale. E poi tutti parlano bene di tutto, o meglio ancora se gruppi di loro amici, e appena il gruppo è poco conosciuto viene distrutto solo perché non ha amicizie nell’ambiente… L’idea di “post?” è quella di presentare e non di criticare o stroncare il materiale che ci arriva; semplicemente vengono fatte delle “fotografie” solo per quei progetti che in qualche modo ci hanno colpito, tutti gli altri rimangono nei nostri scaffali dei cd. Tutti pretendono di avere delle belle recensioni e si arrabbiano quando ne parli male, anche se spesso hanno ragione visto che i cd finiscono in mano a chi non ne capisce di quel genere e scrive le prime due righe che gli vengono in mente, ma questo è un problema che dovrebbe risolvere il redattore della rivista. E poi siamo tutti malati di esterofilia: lo stesso prodotto solo perché uscito all’estero viene accolto con tutto un altro riguardo e si cerca sempre di enfatizzarne le qualità. Questo succede forse di più nelle riviste cartacee e non sulle webzine, dove la libera espressione alle volte esiste ancora… E poi mi chiedo, perché comperare una rivista italiana di musica quando in copertina e il 70% del suo contenuto tratta di materiale estero? Forse perché non abbiamo gruppi validi?!.... Sono convinto che del buono c’è anche dalle nostre parti.
12- Delle messageboard?
Non sono un frequentatore, neanche di forum; quando ci sono capitato, mi sono reso conto che sono pieni di gente che dice banalità e che si nasconde dietro a un nickname…
13- Dei blog?
Sempre all’interno della mia webzine c’è un blog, utilizzato però in modo particolare; viene usato esclusivamente per pubblicare rapidamente i vari eventi, concerti, festival, uscite del circuito musicale legato alla webzine. Trovo comunque che siano un ottimo metodo per dare voce a chi di html non ne capisce, anche se, anche in questo caso, ci stiamo riempiendo di blog altamente inutili. Come alcuni sapranno, dietro ai blog si nascondono anche scrittori o chi per gioco lo è diventato…
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
Non saprei, credo che la differenza sostanziale stia nella cultura, sia nell’ascolto, sia nell’acquisto. Alle scuole inferiori ci insegnano a suonare il flauto dolce suonando “Piva Piva” e non ad ascoltare Bach, Mozart, i Rolling Stones o chi per esso, e la televisione ci presenta il festival di Sanremo come il maggior evento musicale italiano, come se tutta la nostra cultura musicale fosse concentrata su quei palchi… Per non parlare poi del fatto che siamo disposti a buttare via 10 euro per un cocktail e non per comperare un cd di un gruppo che vediamo dal vivo, e poi ne spendiamo 20 per comperare l’ultimo di Laura Pausini… Sono convinto che se per radio imparassero a far circolare un po’ di buona musica la gente si abituerebbe anche ad ascoltare cose meno “all’italiana”, ma suonate da gente che lo fa per passione e non esclusivamente per soldi. Ti posso riportare il nostro caso come gruppo, visto che all’estero abbiamo venduto 10 volte tanto che in Italia; è vero che l’America e l’Europa sono molto più grosse, ma le distribuzioni che hanno lavorato per noi non distribuivano certo in tutta l’America, ma in stati grossi come l’Italia, e comunque sia, noi siamo un gruppo italiano!!!
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Credo che nel momento in cui una major vada a pescare un gruppo nel giro indie per portarlo su Mtv, vuol dire che l’attitudine musicale del gruppo era già vicino a quella. Non credo si interessino di gruppi come noi o simili, per il semplice fatto che non avremmo mercato neanche nel giro major. Quando invece il gruppo cambia attitudine musicale solo per riuscire a vendere e a uscire per una major, allora quello è un po’ triste, anche se ti assicuro che se uno vuol riuscire a mangiarci, è assolutamente l’unico metodo. L’importante è rimanere coerenti con le proprie idee almeno con la testa, ed essere consapevoli di quello che si sta facendo, senza poi sputare nel piatto in cui si ha mangiato sino al giorno prima.
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Secondo me il discorso centri sociali sono una brutta gatta da pelare, nel mio caso, ho fatto fatica a cercare di insegnare che esisteva altra musica oltre a reggae, al punk e all’hardcore. Mi fa ridere pensare di entrare in un centro sociale autogestito e ascoltare Bob Marley (con tutto il rispetto che ho per la sua musica), quando i rasta erano i primi a essere razzisti nei confronti dei bianchi e anche dei grandi sessisti… Tutto il contrario di quello che dovrebbe essere l’attitudine di un centro. Spesso sono pieni di controsensi, ma sicuramente hanno dato spazio a chi non riusciva a trovarlo; e poi non si può generalizzare, perché ogni centro sociale ha una sua attitudine e approccio con la musica e il mondo esterno. Ci sono posti in cui non senti quasi più reggae, punk, ska, ma solo elettronica o altro e in altri posti e ancora l’opposto…
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Per qualche numero e per occasioni particolari avevo anch’io preparato una versione cartacea di “post?”, ma lo sbattimento e i soldi che avevo speso non giustificavano la fatica. Ogni tanto me ne capita sotto mano qualcuna, ma tranne qualche rara eccezione, la qualità è davvero bassa. Direi che merita di essere citata “Equilibrio precario” di Stefano Paternoster, che era quasi una rivista, ma che era scritta senza peli sulla lingua e trattava sempre di materiale molto interessante.
18- Opinioni e osservazioni….
Trovo che il circuito indie, al contrario di quanto sembra, sia un mondo complesso e difficile da capire, perché esistono tante piccole realtà a se stanti all’interno di esso; il circuito hardcore/punk non ha niente a che fare con quello dell’indie-rock, anche se si parla sempre di 1000 copie e di piccole etichette nate in casa o tra amici. Purtroppo come dicevo prima, spesso c’è poca collaborazione tra le varie label e si cerca di tirare sempre più acqua al proprio mulino, creando animosità e incomprensioni. Sapessi quanto sangue marcio mi sono fatto in questi anni… Ma allo stesso tempo ho conosciuto persone, o meglio “eroi”, che usano i soldi che potrebbero utilizzare per andarsene in vacanza per far uscire un disco e che dedicano gran parte del loro tempo libero per questo tipo di attività mettendoci passione e amore.
Intervista 16: FULL BLAST RECORDS
1- Da quanto tempo esiste il progetto Full Blast Records in cui sei coinvolto?
La FULL BLAST esiste dal 2001 circa.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Fino a tre mesi fa ero solo, ma a causa dell'aumento incredibile della mole di lavoro ho proposto a due miei grandi amici di entrare a far parte di FULL BLAST. Siamo in tre, tutti maschi, due diplomati e uno universitario.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
Assolutamente no! La passione è alla base di questo "lavoro", chiaramente ci vuole una buona dose di intuito e naso per capire su chi investire dei soldi, considerando il fatto che il pareggio dei conti è già un grande traguardo.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Per ora mi muovo con coproduzioni che mi garantiscono due tre uscite l'anno, chiaramente da settembre con la collaborazione del nuovo staff il discorso cambierà radicalmente. Credo che entro il 2006 usciremo con la prima produzione interamente targata FULL BLAST.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Vedi risposta precedente.
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Beh, una band che si fa produrre interamente da un'altra etichetta, indipendentemente dal fatto che sia piccola o fatturi diecimila euro l'anno, non è più una band DIY.
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
Mah, bisogna vedere cosa tu intendi per etica, anche a me fa piacere che una band prodotta FULL BLAST vada alla grande, faccia tanti concerti e venda tanti dischi, questo perché io so con chi ho a che fare. Se un gruppo non ha niente da dire io non ci tengo a farlo girare, al di là di ogni moralismo, ecco che il mio essere etico nei confronti della musica diventa soggettivo. Ho imparato che prima di giudicare un gruppo ci devo pensare dieci volte, ma soprattutto conoscerlo personalmente.
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Credo che nel 90% dei casi si parte per promuovere la propria band, si scambiano i dischi, si cercano date e nuova gente. La differenza viene fuori successivamente, fra chi va avanti e chi spera di fare successo e diventare una rockstar al suo secondo disco. Devi amare il circuito, tutto, da quello più invisibile a quello strettamente commerciale, conoscerlo in profondità, come dico sempre, per poterlo contrastare più efficacemente.
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
Mah, io credo di sì. Devi sapere che noi più o meno ci conosciamo tutti, e difficilmente si affaccia una nuova etichetta e sfonda nel mercato discografico, anche perché non c'è una concorrenza spietata secondo me, anzi ho sempre trovato gente molto disponibile.
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Internet è il nostro mercato!!!Grazie alla rete gli abbiamo soppiantato tutte le majors del mondo. Pensa al circuito indipendente come un unico essere, remiamo anche involontariamente tutti dalla stessa parte, e questo grazie a internet. Prima solo con grandi investimenti pubblicitari si raggiungevano milioni di giovani consumatori, e questo solo le majors potevano farlo, ora è alla
portata di tutti, anche per chi vendeva una volta pentole porta a porta!
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Da sempre grande supporto per tutto il circuito del DIY. Peccato che come contropartita internet ha soppiantato quelle belle riviste di carta fotocopiate dal tabaccaio, però molto più efficaci e gestibili sulla rete!
12- Delle messageboard?
Non so.
13- Dei blog?
Non ne faccio uso, comunque credo sia un grande fenomeno più rivolto alle ragazze!
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
No, io credo che ultimamente siamo i maggiori esportatori di piccole realtà in Europa! Vedi tutte le bands italiane che vanno all'estero in questo periodo.
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Non è il canale che fa la differenza, oggi, ad esempio, in TV non è difficile arrivarci come una volta, diverso è il discorso major. Io capisco chi dice voglio vivere di musica, ma con le possibilità che dà la rete oggi perché vendersi completamente al dio denaro? Le major fanno contratti che svuotano e grattano fino al fondo la creatività delle bands, richiedendo 4/5 dischi in due anni e ,chiaramente, al termine del contratto il gruppo è da buttare via, questo genera anche un appiattimento dei generi e dell'originalità compositiva, vedi ultimo periodo con queste pop-punk bands che non se ne può più! Tutte UGUALI...
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Il DIY è nato nei centri sociali! Era un modo per finanziare le varie attività dei centri sociali, e non era solo una prerogativa della scena punk, ma anche reggae, hip hop, noise, grunge, etc…
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Emozioni indescrivibili a leggere il nome o l'intervista della tua band su una fanzine, non ricordo godurie simili dai tempi dei Sottopressione. Ora è tutto un po’ freddo ma la visibilità è aumentata.
1- Da quanto tempo esiste il progetto Goodwill in cui sei coinvolto?
La Goodwill esiste da 11 anni, precisamente dalla fine del 1994. A gennaio 1995 uscì il nostro primo disco: OVERFLOW “The Worm” 7”, che ha avuto un ottima tiratura per un 7” di 2.650 copie.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Nella
Goodwill ha sempre variato il numero di persone coinvolte.
L’etichetta l’abbiamo iniziata in due, per passare a tre
persone in circa 2 mesi. Altri 3/4 mesi ed eravamo un collettivo di 4
persone. Dopo un paio di anni mi sono trovato a farla da solo, con
uno dei membri originali a darmi una mano con gli ordini. Poi si è
aggiunta un’altra persona per un anno per alla fine essere in 3
nei giorni nostri. Siamo:
- Adam, maschio, 35 anni, laureato in
biologia ma insegnante d’inglese al momento, curo tutti gli
aspetti dell’etichetta a parte la promozione e il sito web;
- Basstian, maschio, 23 anni, studente e lavoratore, cura il sito web dell’etichetta;
- Izumi, femmina, 21 anni, studentessa in medicina, cura la promozione.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
Come detto prima, insegno l’inglese in una scuola internazionale di lingue. L’etichetta si autofinanzia, ma non permette a nessuno di noi di viverci da essa. In pratica il lavoro che facciamo è puro volontariato.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Dipende. Ultimamente direi 3-4 uscite all’anno.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Ho sempre fatto entrambe le cose. Se sono convinto di un gruppo cerco di produrlo da solo, mentre nel caso delle coproduzioni le faccio soprattutto per questioni di amicizia.
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Sì, è un progetto DIY.
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
Etica del punk, dell’hardcore e del DIY.
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Dipende. Forse voglia di dare un contributo alla scena. Forse voglia di misurarsi all’interno della scena. Forse l’entusiasmo di sapere di aver fatto una cosa bella e utile. Forse la curiosità di sapere cosa si può fare con le proprie forze. I motivi possono essere diversi.
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
No, direi che è più appropriato riferirsi a scene diverse. Non c’è una scena unica indipendente. Sono tante piccole scene che esistono in Italia.
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Sì, assolutamente.
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Sono una cosa interessante anche se io sono nostalgico e preferisco le fanzine cartacee. Mi piace averla tra le mani, sfogliarla, portarla al lavoro e leggerla tra le lezioni.
12- Delle messageboard?
Dipende davvero. Alcune sono utili, altre non sono altro che un ammasso di insulti. Purtroppo, portano le persone ad avere una vita fittizia legata alle persone della messageboard piuttosto che ai veri amici vicino a loro. In più, permettono l’anonimato e questo è spesso sfruttato in maniera codarda per insultare o parlare male di qualcuno o qualcosa senza svelare la propria identità. E’ l’aspetto che meno mi piace delle messageboard.
13- Dei blog?
Non mi interessano nella maniera più assoluta.
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
Per fortuna credo che la scena Italiana è meno modaiola che in altri paesi come Germania o Belgio. Invece è più modaiola che nei paesi dell’est, per esempio. Quindi, direi che poteva andarci peggio come anche meglio.
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
La domanda è personale. Le persone cambiano e le idee cambiano. Chi sono io a dire cosa è giusto per gli altri? Sono responsabile della mia vita e cerco di comportarmi in modo giusto secondo i canoni miei. Quello che fanno altre persone all’interno della scena non mi interessa più di tanto.
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Importantissimi. Senza i centri sociali non sarebbe esistita la scena come la conosciamo oggi. I centri sociali per il mio vecchio gruppo (This Side Up) erano la linfa vitale e quasi gli unici posti nei quali suonavamo. Penso che in Italia abbiamo suonato fuori di centri sociali solo due volte, il che ti dice tutto.
17- E le vecchie fanzine cartacee?
E’ un peccato che ci siano sempre di meno, ma i tempi cambiano e con l’evoluzione di internet e di mezzi di comunicazione hanno dovuto cedere il loro posto ad altro. Per me rappresentano un pezzo di mia storia personale (facevo la fanzine “Zips & Chains” dal 1987 al 1997), un ricordo romantico di anni ‘80 e ‘90 e per loro avrò sempre uno spazio nel cuore.
1- Da quanto tempo esiste il progetto Horror Vacui Theatre in cui sei coinvolto?
Da poco, circa gennaio 2005.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Siamo in due, Elena e Andrea, entrambi studenti.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
La label è nata per pura passione, cerchiamo di aiutare gruppi che ci piacciono, per cui assolutamente no. La label è “solo” un hobby, una passione che ci va di portare avanti per aiutare i gruppi che ci piacciono, ma, almeno per adesso, non vuole, e non potrebbe, essere un lavoro.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Ehm, termineremo il 2005 con tre, massimo quattro, coproduzioni.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Per adesso ci siamo dedicati unicamente a coproduzioni sia per motivi economici che per la poca esperienza.
Elena: Avendo iniziato da così poco tempo per adesso abbiamo preferito fare delle coproduzioni che ci sono sembrate economicamente meno “rischiose”.
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
DIY, forse è un po’ presuntuoso, ma direi proprio di sì.
Elena: Direi che ci possiamo definire DIY dal momento in cui il progetto non è nato da grandi budget (che non abbiamo), ma dalla voglia di costruire qualcosa di indipendente nel nostro piccolo.
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
Sì, la nostra!
Elena: Nessuna in particolare, anche se più di una può ritenersi influente.
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Passione e voglia di creare qualcosa che possa aiutare in qualche modo i gruppi
Elena: Voglia di creare qualcosa che, anche se a un livello molto basso, possa aiutare i gruppi validi.
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
Sì, ma anche no. Dipende da che punto di vista osserviamo quello che ci succede intorno, che si muove.
Elena: Più che una sola scena, direi che ce ne sono molte, ognuna a un diverso livello di “indipendenza”, ma tutte sempre più collegate tra loro.
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Elena: Internet, come potentissimo mezzo di comunicazione, ha certamente dato più spazio alla musica “di nicchia”; nonostante e proprio per questo i gruppi validi, adesso forse più di prima, si trovano dispersi in un ambito sempre più vasto.
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Ce ne sono di valide, e di meno valide, sempre in base ad un giudizio per lo più soggettivo.
Elena: Sono un ottimo mezzo di diffusione di informazioni musicali, anche se ora come ora mi sembra che il numero di quelle veramente valide sia sempre più in declino.
12- Delle messageboard?
Elena: Anche le messageboards credo che siano un mezzo di informazione, soprattutto per conoscere nuovi gruppi, peccato che troppo spesso diventino sede di dibattiti infantili e personali tra utenti.
13- Dei blog?
Elena: Pur avendone anche io uno, devo ammettere che ce ne sono davvero troppi e troppo poco validi, alcuni oserei dire vergognosi. Del resto quando qualcosa è gratis, e, purtroppo, di moda, è difficile da fermare.
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
Elena: Devo ammettere di non essere informatissima sulle “scene indipendenti” delle altre nazioni europee, in ogni caso è risaputo che in Italia arriva sempre tutto un po’ dopo. Il perché non lo so.
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Elena: Non esiste una legge assoluta per tutte le band, ogni gruppo dovrebbe compiere le proprie scelte autonomamente e senza giudizi esterni. Sicuramente vedere che gruppi che hanno sempre ostentato la propria indipendenza scelgono di andare su major mi lascia un po’ attonita, ma dovrei parlare con i diretti interessati per poter formulare un parere.
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Elena: I centri sociali hanno sicuramente il merito di dare molto spazio alla dimensione “live” dei gruppi, purtroppo spesso gli ideali dei gruppi e quelli degli “occupanti” non coincidono. Sta ai singoli gruppi scegliere se scendere a compromessi o meno.
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Elena: Purtroppo sono troppo giovane per averne una conoscenza approfondita, anche a livello di fenomeno generale, le poche che ho letto però spaccavano.
Intervista 19: HURRY UP! RECORDS
1- Da quanto tempo esiste il progetto Hurry Up in cui sei coinvolto?
Non esiste una data precisa di partenza, diciamo che iniziò circa 3 anni fa quando cominciai ad avere una piccola distro di cd, vinili e fanzine, poi da cosa nasce cosa e decisi di iniziare Hurry up! Records... Diciamo una evoluzione naturale...
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Al momento Hurry Up! è costituita da me ( Matteo, maschio, 26 anni, maturità tecnica meccanica – 2 esami dalla laurea in ingegneria meccanica) e Giacomo (maschio, 25 anni, maturità scientifica).
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
No , la label è solo passione, ma curata molto bene. Io lavoro come freelance nel campo della grafica web e cartacea.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Difficile da stimare, diciamo 5 o 6 non di più... Quest’anno sono già usciti 3 cd, l’anno scorso altrettanti...
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Preferisco che portino solo il mio marchio, anche se devo dire di avere molti partner, come Wynona Records con cui ho coprodotto l’ultimo degli Strength Approach, oppure Ammonia Records che mi aiuta a distribuire il cd dei La Crisi, o I Scream che distribuisce in Europa... Non sono un grande fan delle coproduzioni, con molte etichette giunte è facile che la promozione, divulgazione ecc...venga fatta male, in quanto non si sa bene come muoversi insieme...Ne ho fatte un paio, per compilation, ma non sono molto propenso a farne di nuove, preferisco curare direttamente tutto di persona quando si tratta di investirci dei soldi.
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Hurry Up! Records è un progetto interamente DIY, ma con un’ottica “professionale” (passatemi il termine) di fare le cose, dando il massimo supporto possibile alle band e facendo delle uscite sempre con standard elevati... Tutte le bands nel mio roster sono 100% indipendenti.
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
Mmm, principalmente è passione, ma essendo io Vegan Straight Edge quando ho l’occasione di pubblicizzare o supportare un evento a riguardo faccio sempre il possibile.
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Amore per la musica.
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
Credo esistano molte persone appassionate per la medesima cosa, ma quando si parla di scena credo sia un po’ utopico... Nella “scena” le persone si aiutano, creano qualcosa, si supportano, nella maggior parte dei casi io vedo invidia, voglia di prevalere, egoismo... Per fortuna che non è sempre così, a volte ci sono delle eccezioni, ma parlare di scena italiana credo effettivamente sia troppo...
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Sicuramente dà la possibilità ad una band o una label di farsi conoscere gratuitamente e in tutto il mondo, credo sia uno dei migliori mezzi di comunicazione.. Chiunque abbia accesso ad un computer ed alla rete può scaricare musica, venire in contatto con realtà molto lontane in tempo reale, cosa che 10 anni fa era impossibile...
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Ce ne sono molte, alcune buone, altre di scarso livello, altre che solo chiedono cd da recensire per non spendere denaro per comprarli... Di sicuro aiutano e alcune di esse ben curate sono molto interessanti, direi che al giorno d’oggi possono essere considerate parte integrante del movimento. Senza dimenticare però che distano anni luce dalle fanzine cartacee.
12- Delle messageboard?
Un altro potente mezzo di comunicazione e informazione, con la (grande) pecca che troppi idioti possano averne accesso.
13- Dei blog?
Non ne sono mai stato un grande appassionato.
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
Mmm, alcune cose si sono sviluppate in maniera uguale, molte altre hanno preso una piega differente... In Italia il movimento punk/hardcore ruota attorno ai centri sociali, in altre parti d’Europa più attorno ai locali... Diciamo che se si deve parlare di scena mi piace prendere ad esempio quella romana a rappresentare l’Italia, di sicuro quella più attiva e forse un po’ più “sincera” (sempre che si possa usare questo termine)... Il perché credo vada cercato nello sviluppo socio-economico-culturale dell’Italia stessa, da situazione nasce situazione, e negli ultimi 20 anni molte cose si sono evolute in una propria maniera, in ogni nazione....
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Mmm, non mi sento di dare un giudizio categorico... Credo che sì, le band debbano rimanere nell’attitudine sempre fedeli all’undergorund, ma dipende anche da cosa rappresenta la musica che suona per la band stessa... Sono cresciuto nell’ambiente hardcore, musica che con sé porta valori che a volte sono più importanti del semplice “suonare”... Ma se vengono utilizzati altri canali, più potenti, per promuovere una band il cui messaggio o le cui convinzioni sono “positive”, non vedo nulla di male... Prendo sempre ad esempio gli Earth Crisis, hanno portato svariate centinaia di persone a conoscenza del Vegan Straight Edge sempre rimanendo fedeli a se stessi...
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Come dicevo prima, il movimento hardcore in Italia è molto legato ai centri sociali, cosa che ha buoni aspetti e cattivi aspetti, ma che è un dato di fatto. Vuoi per il messaggio della musica, vuoi per altri milioni di motivi, chi suona o suonava hardcore è passato per molti centri sociali in Italia.
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Come suona male questo “vecchie”... Al momento sono proprio poche in circolazione, costa molto meno tempo, impegno, soldi e dedicazione fare una webzine, ma non si discute sulla fondamentale importanza e ruolo che le fanzine hanno avuto nella divulgazione dell’hardcore ovunque.
18- Opinioni e osservazioni…
Seguire la musica da un computer é una cosa, farlo dal vivo ad uno show é tutt’altra. Suona retorico ma é vero, quindi meglio andare ai concerti e divertirsi! E go vegan!
1- Da quanto tempo esiste il progetto Indelirium in cui sei coinvolto?
Allora, la prima produzione ufficiale Indelirium risale al 22 settembre 2003, giorno del mio 25° compleanno!!! Ma se contiamo le prime coproduzioni e la webzine Rockambula.com parliamo anche di qualche anno prima !!!
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Allora, Indelirium Records è nata dalla mia voglia di sostenere la musica underground, ma avendo già un grosso guaio chiamato www.rockambula.com, ho deciso insieme al mio compare Patrizio Petrella (ora batteria negli IN THE DISTANCE) di dedicarci insieme ai due progetti! In seguito ai grossi impegni che poteva portare un’etichetta, Patrizio ha mollato, io ho affidato Rockambula a due bravi ragazzi e per un anno e mezzo ho portato avanti solo il progetto Indelirium!!! Ora è da pochi mesi che si è unito a me IVAN, che ha la mia stessa età (26 anni), e che dopo una laurea in Filosofia e due anni di dottorato in Germania, e ora tra vari master a Roma, mi supporta nell’etichetta!!! La nostra logica è che tutti devono saper fare tutto, quindi più che dividerci i compiti ci dividiamo le produzioni!!! Nel senso tu promuovi le uscite 5-6-7, mentre io 8-9-10, le distribuzioni sono le stesse, i contatti pure!!! Per le date delle band è ovvio che si cercano insieme, e pur cercandole insieme sono sempre poche!!!!
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
Per mia fortuna ho un lavoro part-time da grafico presso la Gioel Italia!!! Nell’etichetta tutte le produzioni hanno sempre chiuso il bilancio in passivo!!! Considerando oltre all’investimento per la produzione, anche la gestione della promozione porta via tanti soldi!!! Comunque a me fa sempre piacere rimettere dei soldi per questa passione fino a quanto ho un lavoro vero che me lo permette di fare!!!
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Purtroppo dipende dalla produzione precedente!!! Per esempio se l’uscita 3 mi va bene (cioè ci rimetto poco) ho la forza per poter affrontare una nuova avventura. Ora con quasi 3 anni di fatiche sono arrivano all’ottava uscita Indelirium.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
All’inizio Indelirium era nata proprio per appoggiare quelle band indipendenti che, con l’aiuto di più entità, riuscivano a poter tirar fuori il proprio cd!!! Con il passare del tempo mi sono allontanato da questa idea di fare, per il semplice motivo che per me era solo un appoggio passivo (dai alla band 50 euro e la storia è finita). Restavo sempre deluso per la scelta degli artwork, per la promozione fatta, per la poca visibilità data alla stessa etichetta! Comunque è sempre bello unire le forze per fare qualcosa, ma in maniera intelligente!!! Per esempio in futuro mi piacerebbe fare un’uscita a più etichette (ci sto lavorando) una tedesca, una italiana ed una belga o francese!
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Io ho sempre fatto tutto molto fai da te, quindi mi reputo molto DIY!!!
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
Condividere una passione comune. Un modo tra amici di vivere la stessa musica.
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Vivere la musica in maniera attiva!!!
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
Certo la scena italiana esiste!!! Ci sono realtà che lo dimostrano !!!
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Penso che sia l’unico aiuto attuale nel bene e nel male !!!
11- Cosa ne pensi delle webzine?
In una sola parola FONDAMENTALI.
12- Delle messageboard?
Non ne faccio grosso uso!!!
13- Dei blog?
Non ne faccio uso, ma navigando su internet ogni tanto mi fermo a giudicarle e penso che il blog sia una trovata intelligente.
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
No, ma non per negligenza della scena, ma per negligenza di tutto ciò che gira intorno ad essa. In primis i locali.
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Assolutamente no!!! Una band deve essere libera di affrontare il suo percorso. Ci sono major che hanno messo su grandi dischi, e ci sono etichette indipendenti che lavorano come major. E’ ovvio che io prediligo al 99% le etichette indipendenti, senza fare nomi, ma questo non vuol dire che debba disprezzare le major !!!
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
FONDAMENTALI, come le fanzine.
17- E le vecchie fanzine cartacee?
FONDAMENTALI, come i centri sociali.
1- Da quanto tempo esiste il progetto Loudblast in cui sei coinvolto?
Loudblast è partita nell'Ottobre 2000, come nuova emanazione di FreakOut Records (nata a sua volta nei primi mesi del 1997). Ho precedentemente fondato e portato avanti per circa 3 anni Boundless Records (1994-1997).
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Le persone che collaborano con me sono Simonetta, ascolto demo, 31 anni, laurea; Enrico, webmaster, 34 anni, diploma; Ugo, promozione radio, 27 anni, diploma; Luca, promozione webzine e altri media, 30 anni, diploma; Gianluca, amministrazione/contabilità, 33 anni, diploma.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
Lavoro per Unicredit Banca. La label si paga le spese che essa stessa genera, paga le royalty ai gruppi ma niente guadagni.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Nel 2005 per ora 2, il 2004 buco nero (zero), il 2003 7. Dovessi dire una media direi 3, massimo 4.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Preferisco lavorare solo con il mio marchio. Le collaborazioni mi servono più che altro all'estero.
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Ritengo il DIY un approccio interessante e utile per l'arte e per le band, ma non rappresenta un vincolo nelle mie scelte.
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
No, solo il mio gusto. Facendolo unicamente per passione non ho vincoli né preferenze. Ovviamente mi piace conoscere le bands anche dal punto di vista umano: non potrei mai lavorare con un gruppo fatto da gente umanamente "discutibile".
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Dare voce a chi non ne avrebbe.
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
Sarebbe bello, non so se sia corretto. La rete ha aiutato in alcuni casi la diffusione delle idee e delle arti ma ha reso tutto un po' più freddo, o forse sono io che sto invecchiando. Non vedo, tra gruppi, abbastanza legami per poter parlare di una "scena". Ci sono alleanze produttive tra persone intelligenti e sensibili che hanno fatto crescere tutti, questo sì.
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Vedi sopra: probabilmente sì, anche se lo trovo un mezzo un po' freddo.
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Le adoro, molto meglio dei giornali stampati, molto più indipendenti nel giudizio e spontanee nello schierarsi.
12- Delle messageboard?
Non le frequento. Frequento solo il forum di cesenainbolgia.it.
13-Dei blog?
Se il giorno avesse più di 24 ore riuscirei a farne partire uno, ma dovendo dormire non riesco a prendervi parte.
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
Assolutamente no, nel mercato discografico italiano l'89% dei dischi che si vendono sono major, una percentuale unica in Europa. In quell'11% c'è troppo poco spazio per tutto il resto.
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Non ho preconcetti per il mondo delle major, l'importante è non piegarsi ad un ottica di mero business. Se fossi in un gruppo e avessi la possibilità di suonare davanti ad un sacco di gente registrando un gran disco (come studio, intendo) e mantenendo di base una totale libertà artistica, allora non esiterei a firmare con una major. Ho avuto a che fare con major e certamente fanno i loro interessi, ma non sono il diavolo che spesso l'ambiente indipendente-a-tutti-i-costi dipinge.
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Fondamentale. Gli squat sono un amplificatore per la filosofia DIY. L'unico peccato è che la filosofia DIY dovrebbe essere un manifesto di libertà, mentre spesso gli attori di questa realtà finiscono per chiudersi comunque in una scatola, solo più piccola di quella che condannano.
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Non ne vedo più da almeno 2-3 anni... Gran bei ricordi.
1- Da quanto tempo esiste il progetto Mastello Recortz in cui sei coinvolto?
Mastello Recortz esiste dal 1999.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
All’inizio, 1999, ero da solo a gestire le attività dell’etichetta, o meglio c’erano altre persone (amici membri di band hardcore ormai sciolte), ma la responsabilità dell’etichetta ha sempre e riguardato solo me in prima persona. Nel 2000 non riuscivo a gestire più la cosa da solo e allora ho allargato il progetto ad altri amici:
- Piergianni (età 26, laureato scienze della comunicazione a Torino);
- Alessandro (età 25, laureato musicologia a Cremona);
- Paolo (età 24, laureando di primo livello in MultiDAMS a Torino);
- Fabrizio (età 27, diploma liceo scientifico biologico sanitario e studente perditempo presso il DAMS cinema di Torino). Oggi, siamo rimasti solo in due io e Paolo.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
Svolgo altri lavori. Part-time in un negozio di dischi che mi consente di sopravvivere.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Variabili. Più o meno 5, non c’è un criterio.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Preferisco lavorare nel campo delle coproduzioni. E’ una scelta obbligata dal fatto che la cassa dell’etichetta non potrebbe supportare la totale produzione di un cd. Ma, da un altro punto di vista le coproduzioni servono a far girare di più i cd e i gruppi. E poi comunque ti permettono di conoscere altre etichette. Insomma nello spirito del do it yourself più si è e più la cosa è interessante…Aiutarsi, aiutare i gruppi a fare uscire un disco, è una parte fondamentale del Do It Yourself.
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
La Mastello Recortz è una label prettamente Do It Yourself. Non mi interessa l’indipendenza. Chi si ritiene tale non è al 100% indipendente, lo si vede dalla distribuzione e dall’organizzazione degli eventi legati, magari, alla diffusione del disco (concerti, pubblicità ecc ecc…). Noi siamo anche fautori di eventi totalmente do it yourself. Organizziamo e ci occupiamo in toto di attività di autoproduzione come concerti, rassegne cinematografiche e dj set elettronici… Insomma, perché dipendere da qualcuno quando puoi farti tutto da solo?
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
Ti copio il “manifesto” della Mastello Recortz che, dopo 6 anni, rimane fortemente attuale:
“Mastello Recortz una creatura che nasce dalle periferie della mente, dalle periferie della metropoli. Rumori, suoni che nascono nel sottosuolo di Torino con l'unico intento di farci sopravvivere nel grigiore del presente. Mastello Recortz concetti distanti anni luce dal quotidiano in continuo movimento. Diamo sfogo alle nostre emozioni AUTOPRODUCENDOCI, fuori da ogni regola del mercato. Comunichiamo il dissenso attraverso quello che sentiamo, senza nessun guadagno, per il semplice fatto di divertirci e di portare avanti sensazioni che gli schemi predefiniti hanno cancellato dalla mente dell'uomo. Mastello Recortz perché questa è l’unica via che ci fa sentire liberi di comunicare noi stessi, le nostre gioie, i nostri dolori e il nostro odio SENZA ALCUNA POLITICA NE' DIRITTO D’AUTORE. Non ci sentiamo artisti, né tanto meno lo vogliamo essere. Solo anime pensanti, stanchi della modernità, della tecnologia in continua evoluzione. Nessuna "macchina-uomo", ma individualità coscienti del fatto che la vita è troppo breve per essere vissuta come degli automi”.
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Uhm…Mastello Recortz 6 anni fa nacque dall’esigenza di unire le persone dopo l’ondata repressiva del 1998 (il caso di Sole, Baleno e Silvano; tre anarchici accusati di essere gli autori di una serie di attacchi alle istituzioni). La scena hardcore torinese aveva perso molte persone per via di una paura che mass media e organi istituzionali avevano immesso e trasferito alle persone che suonavano hardcore senza avere alcun riferimento politico. Oggi è ancora così. Non mi piace pensare che la Mastello non abbia un riscontro anche di azione oltre ad un riscontro puramente musicale. I tempi che viviamo stanno togliendo ogni riferimento politico al mondo punk/hardcore. Nel concetto di politico includo anche il Do It Yourself.
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
Molti parlano di scene, a me non piace. Anche se in precedenza ho usato questo termine l’ho fatto per accorciare le cose. Creare etichette è un metodo usato dall’uomo per comprendersi meglio.
La scena non è mai esistita e non penso esista una scena indipendente. Anche perché se indipendente vuol dire essere ogni mese sui giornali musicali a tirarsela passando per intellettualoidi e saccenti, preferisco non esserci in questa scena. Preferisco starmene al di fuori e creare una vera alternativa: quella che non gira sugli scaffali dei negozi di dischi, ma porta con se un background culturale differente, sapendo da dove si arriva, sudandosi ogni centimetro della propria strada.
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Sì, internet diffonde sempre nuovi suoni. Il peer to peer è uno strumento fondamentale per le autoproduzioni, ma soprattutto permette, a chi non ha le possibilità economiche, di fruire dell’arte sia essa scritta, cantata o raffigurata.
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Uhm…. Molte volte le trovo un po’ nauseanti e non sono convinto che rappresentino davvero un’alternativa ad un giornale cartaceo che puoi comprare in edicola. Dipende sempre dal progetto da cui si parte. Se fai una cosa con passione e non per lucro avrà un impatto diverso, più genuino magari avrai meno fastidi con te stesso nell’accingerti a recensire un disco sia esso un autoproduzione, una produzione indi oppure il disco del mese prodotto da major.
12- Delle messageboard?
Le frequento poco… Preferisco i muri degli ultras, rido di più!
13- Dei blog?
Carini, ma non fondamentali. Alcuni sono fin troppo intimisti, o come si dice oggi, sono troppo emotivi. In altri casi sembra che internet sia un’altra realtà che qualcuno abbia costruito apposta. Credo che sia meglio incontrarsi dal vivo e parlare. Anche con se stessi.
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
No, siamo il terzo mondo. Negli altri paesi c’è uno stato più “libero” nella cultura. Uno stato che sovvenziona addirittura progetti che arrivano dalle periferie e che diffondono la cultura nazionale (vedi la Francia). Qui siamo ancora troppo legati alla burocrazia, alla chiusura dei “mercati” discografici. Se sei indipendente devi per forza passare attraverso una major per farti distribuire. Non avrai mai completamente “possesso” della tua musica, della tua etichetta, del tuo booking…
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Una band può rimanere fedele all’underground anche facendosi dei soldi per vivere. Purtroppo bene o male i soldi servono. La concezione della società è basata sul soldo. Volenti o nolenti. Considero una band a livello nazionale degna di nota dalle scelte che ha fatto nel suo cammino. Ci sono molti gruppi che non sanno più da dove arrivino, e non ti sto parlando dei Subsonica… La mia opinione cambia nel momento in cui il gruppo fa delle scelte incoerenti, differenti dall’ambiente da cui arrivano. Molti gruppi vedono l’Eldorado nel mercato discografico indipendente, ma non sanno che comunque entreranno a far parte di schemi che sono un’anticamera alle major. I booking e i management indipendenti funzionano con la stessa logica di quelli del mainstream con la sola differenza che un gruppo invece di costarti 1000 per una serata ti costa 800.
La logica, comunque, rimane quella dell’arricchimento di alcuni e chi è “del settore” sa che quegli 800 che ti chiede un gruppo indipendente potrebbero essere molti di meno togliendo mansioni e funzioni che i gruppi DIY non utilizzano perché fanno tutto da soli o attraverso gli amici.
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Ne hanno avuta molta. Il Do It Yourself che intendo arriva principalmente da esperienze di occupazione e autogestione politica. Per intendersi tutto il movimento delle case occupate degli anni ‘80 in Italia, ma non solo. Ora come ora alcuni posti occupati, purtroppo, sono un ambiente marginale del Do It Yourself (Torino è un discorso a parte). Vedono nei gruppi e nei management indipendenti il modo per farsi i soldi e salvarsi comunque la faccia davanti a chi “storce il naso” di fronte alle loro attività. Qui però bisogna fare un passo indietro e operare una distinzione tra la politica che ogni posto adotta nelle scelte non solo musicali, ma anche di gestione degli spazi. E’ un discorso più ampio che sarebbe troppo lungo e non si potrebbe generalizzare: ogni città ha delle caratteristiche proprie per quanto riguarda gli spazi autogestito e occupati.
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Le fanzine sono state una base fondamentale. Ne sono stato sempre un gran divoratore! Se non ci fosse stata “la carta” non avremmo la prolificazione di webzine nella rete. E sicuramente, argomento di più valore, non avremmo mai avuto la circolazione di musica ed idee che c’è stata e che, grazie alle fanzine, ci sarà sempre.
18- Opinioni e osservazioni….
L’autoproduzione oggi sembra essere un metodo diffuso anche da chi non ci crede. Personaggi che imbracciano strumenti si autoproducono i dischi solo per tentare poi di fare un salto di qualità contrattuale. Questa è una logica ignobile e totalmente sbagliata del Do It Yourself! E’ una logica che alimenta solo ed esclusivamente il mercato discografico mainstream. La cosa più brutta è vedere i ragazzini che non si accorgono di essere parte trainante di un gioco economico più grosso di loro. D’altra parte, invece, chi è stato per anni nel Do It Yourself sta cercando il modo di ricavarsi la sua nicchia e vivere come un nababbo. Infatti non ci sono più rapporti di confronto tra “produttori” e, quello che fa più impressione, non ci sono più scambi di dischi. Tutto ciò porterà sicuramente ad una fase di stallo generale che, in parte, è già in atto: nessuno “spulcia” più i vinili 7” o i cd davanti ad un banchetto. L’interesse verso i “prodotti” DIY sta scendendo sotto lo zero. Un altro problema è la politica, le ideologie in cui il Do It Yourself si inseriva fino alla fine degli anni ’90. Pochi sono coloro che sostengono oltre che l’autoproduzione anche un modo “diverso” di vedere il mondo. Il DIY è nato per sovvertire una logica di un mercato. Adesso non può e non deve rimanere rinchiuso solo ed esclusivamente nell’ambito musicale, ma deve essere (e può esserlo) un punto di partenza per una critica sociale più ampia.
1- Da quanto tempo esiste il progetto Nh-n in cui sei coinvolto?
Nh-n nasce 3 anni fa dalla mia mente, fondamentalmente al fine di realizzare una casa discografica indipendente che potesse proporre in Italia ed Europa il modello americano legato non soltanto alla mera produzione, bensì a seguire la band in tutte le sue fasi e svilupparsi assieme ad essa. Il modello di realizzazione è altrettanto fondamentale, il concetto di famiglia e collaborazione da parte di tutti è alla base dell’underground stesso e in Nh-n trova sua realizzazione in una struttura di supporto e crescita costante.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Fondamentalmente sono soltanto io ad occuparmi di tutto, mi avvalgo di collaboratori per alcune attività importanti come un valido appoggio nel booking e per quanto riguarda la fase commerciale. Ho 26 anni (1979) e sono laureato in Scienze Politiche con indirizzo Amministrativo. Sto inoltre frequentando un master di secondo livello in marketing e comunicazione.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
Diciamo che fino ad ora Nh-n è stato un lavoro part-time. Ho sempre condotto l’attività consapevole del limite temporale di voler terminare gli studi e specializzarmi prima di dedicarmici a tempo pieno.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
La media delle produzioni è di 3 all’anno. C’è una motivazione strategica dietro, dovuta alla volontà di dedicarmi alle uscite e a curare la band in ogni dettaglio.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
In linea di massima preferisco dedicarmi alle produzioni in modo esclusivo. È un mio modo personale di vedere la cosa ma ho avuto alcune brutte esperienze relativamente alle coproduzioni e credo che l’unico modo per realizzare un buon lavoro sia quello di agire in un rapporto in cui sono interessate meno persone possibili, per lo meno a livello strategico. Le coproduzioni sono sicuramente importanti per la loro funzioni di coesione all’interno dell’underground, ma non ritengo siano particolarmente funzionali per la crescita di una label singola.
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Beh, Nh-n Records è una etichetta indipendente fondata sul concetto DIY. Il fatto stesso che sia io a lavorare su ogni aspetto relativo a produzione, promozione distribuzione e booking lo dimostra. Lavoro con bands indipendenti, con distributori indipendenti e attraverso canali indipendenti. È l’unica realtà che riesce a mantenersi eticamente sincera e di alta qualità artistica ed umana.
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
Come ti dicevo precedentemente, avere una label all’interno dell’underground hardcore è a mio avviso imprescindibile dall’etica ad esso legata. Sarebbe impossibile avere a che fare con questo universo senza condividerne i valori, anche se ritengo che ognuno possiede una importante sfumatura personale che rende il panorama vario e migliore.
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Il motivo primo è sicuramente la follia, che fa commettere errori gravissimi inconsapevolmente ma che si ripercuotono poi nell’arco di tutte le notti successive passate a lavorare. Il secondo è la utopica speranza di realizzare una scena musicale alternativa al modello esistente (che è comunque in crisi da tempo) ma che non lascia trasparire alternative, per lo meno a chi ci si rapporta in modo superficiale. Insomma, un altro modo è possibile, solo che da parte di chi lo vuole rendere tale, lo sforzo necessario è decisamente grandissimo e non sono prevedibili i tempi di attuazione.
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
Sì, diciamo che in Italia c’è una situazione estremamente particolare. Ognuno vive la sua “indipendenza” in modo diverso dagli altri, ritengo che siano davvero poche le persone/bands/label nell’ambiente musicale che lavorano per fare crescere in modo positivo e non discriminante la scena indipendente. Troppi invece, e lo dico per esperienza personale, non disdegnano anche più di uno sguardo al modello major qualsiasi sia la sua forma, sicuramente per esigenza di sopravvivenza, altrettanto inconsapevoli ma colpevoli dell’errore di fondo, capovolgendo il significato primo e contribuendo quindi all’arretratezza del modello indipendente.
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Sono assolutamente convinto del ruolo ormai imprescindibile di internet relativamente alla musica indipendente, sono altrettanto convinto che la democratizzazione della distribuzione anche (non esclusivamente ) gratuita sia l’unica alternativa possibile capace di scoperchiare il modello profitto delle major. Ci sono però alcune considerazioni doverose: la più grande controindicazione è che si rischia l’attrazione incondizionata per un numero di titoli infinito prescindendo sia dal loro messaggio/comunicazione grafica che dalla loro provenienza e quindi dalla spinta indie o DIY che invece noi sappiamo essere fondamentale. In questo modo, sfortunatamente, viene a contare soltanto la musica: siamo sicuri che sia il modo giusto di capire ed apprezzare una band?
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Mi piace molto il modello webzine, la facilità di espressione attraverso recensioni e la possibilità quindi di una diffusione di idee ad esso legata. Il fatto che chiunque possa (con un paio di concetti informatici elementari) realizzare la propria fanzine lo trovo assolutamente positivo, anche se purtroppo sono pochissime quelle che contengono editoriali o column, il vero punto di forza delle fanzine a mio avviso. Ciò che invece non mi piace assolutamente è vedere webzine dopo un anno o due di attività e un livello di visite mediocre (per non dire inutile), iniziare a vendere gli spazi banner anziché scambiarli. Purtroppo questa critica è da leggersi nell’ottica del fatto che sempre meno persone si approcciano all’hardcore con la giusta mentalità ritenendolo semplicemente un genere musicale e devalorizzando quindi l’universo che lo circonda; il fatto che siano spesso ragazzini ad essere attirati semplicemente dall’aspetto consumistico o estetico della cosa deve farci meditare a lungo.
12- Delle messageboard?
La più alta manifestazione di democrazia in rete, direi, ma non mi piace il modello del “tiro il sasso e nascondo la mano” troppo in voga nelle messageboard in cui non è obbligatorio il login.
13- Dei blog?
L’idea è decisamente positiva, sta alla persona e alla sua discrezione il contenuto…
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
Non credo che lo sviluppo sia stato omogeneo perché l’Italia ha una cultura estremamente diversa dalle altre: anzitutto perché in Italia la tradizione musicale non è indipendente, fino dalla creazione del mercato musicale stesso, attraverso la riproduzione delle edizioni cartacee, si è sempre cercato di speculare sulla musica (dico speculare, non fare business in modo corretto), se poi si considera anche la dittatura legalizzata della SIAE…. Meglio non iniziare anche questo argomento. Relativamente alla scena indipendente invece il problema è che in generale l’italiano tende a guardare tutto quello che esce dall’America con occhio reverenziale e se a questo aggiungi la comunque scarsa partecipazione all’universo indipendente…
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
La cosa che non mi convince in generale relativamente alle major è proprio la mancanza di valori da applicare DIETRO alla musica e alla sua struttura, e non parlo di valori standard di marketing che si trovano in ogni libro di testo per universitari: sono positivo nei confronti di label che sono cresciute naturalmente con certi valori e poi per forza di cose ampliate anche a livello mondiale (vedi Epitaph o Vagrant Records) perché si tratta di persone con una forte conoscenza e condivisione di determinati valori che poi ha visto crescere naturalmente la propria label. Non mi piace la politica odierna delle major che vanno a pescare nell’underground i gruppi più popolari convinti di poter comperare i valori e la fedeltà del mercato indipendente: non sono un purista perché sono consapevole dei limiti delle label indipendenti specialmente qui da noi, e vedo di buon occhio la volontà delle bands di voler diventare professioniste se il mercato lo consente, ma sono sicuramente scettico per quanto riguarda questa metodologia di azione, non la vedo per nulla costruttiva perché, come ho detto prima, purtroppo contribuisce a creare una falsa percezione del modello indipendente in tutte le sue componenti.
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Quella dei centri sociali è un'altra questione delicata. Sicuramente per quanto riguarda il ruolo di diffusione sono stati attori assolutamente fondamentali, addirittura i primi a contribuire economicamente a produzioni importanti del scena. Anche se ritengo che siano molto pochi ora come ora quelli che continuano con questa filosofia. Anzi rimango molto male quando vedo che i collettivi sono sempre meno attenti al messaggio e sempre più interessati alle sostanze circolanti durante la serata. Purtroppo.
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Che bella cosa, cerco sempre di distribuirne il più possibile ai concerti.
1- Da quanto tempo esiste il progetto No! Records in cui sei coinvolto?
Il progetto è nato nel 1996.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Sono da solo (anche se adesso la cosa si sta esaurendo) ma avevo l’aiuto, più che altro logistico, degli altri componenti della band (altri 3 maschi, nati tra il ‘78 e il ‘76, studenti o laureati).
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
Alla label non abbiamo mai guadagnato nulla, è servita solo a far uscire le nostre produzioni e a ripagare i problemi che abbiamo vissuti (furgoni rotti, concerti pacco, arresti?)…
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Direi una, al massimo due in qualche anno particolarmente attivo.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Dipende dall’uscita. Troppi coproduttori portano a zero promozione però rendono la distribuzione molto più facile e veloce. Da solo devi sobbarcarti tutto il lavoro ma puoi avere migliori risultati (se riesci a starci dietro).
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Di solo DIY.
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
L’unica è di aiutare idee e attività che altrimenti non avrebbero un circuito,di fare le cose da sé perché nessuno ti aiuta.
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Voglia di esprimersi anche nel creare un circuito che sia fatto “dai kids per i kids”. Diciamo che in un certo senso è lo stesso piacere di fare il pane in casa invece che comprarlo, con in più il vantaggio che con questo circuito di promuovono pratiche di autogestione che andrebbero sviluppate anche al di fuori del circuito musicale.
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
Dipende a cosa ci si riferisce. Alcune etichette? Indipendenti? Stanno diventando piccole aziende.
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Ha pregi e difetti, è uno strumento da utilizzare.
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Potenzialmente buone, spesso un po’ troppo omologate.
12- Delle messageboard?
Rispetto al confronto faccia a faccia non ci si tiene a freno, e si creano inutili polemiche. Ci si perde in dettagli.
13- Dei blog?
Non li ho mai seguiti, noiosissimi!
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
Credo di sì, abbiamo ottimi gruppi e forse c’è più “indipendenza”.
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Non ritengo nulla, ognuno fa le scelte che crede, ma è ovvio che se va in un altro canale non sarebbe giusto per la scena indipendente continuare a supportarlo. La scena è fatta per altro credo, senza però voler attaccare le scelte, massimo rispetto.
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Molta, hanno creato la base naturale per lo sviluppo di questa idea.
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Mica male, non so se é solo nostalgia, probabilmente ero anche più “assetato di hardcore” rispetto ad adesso, però mi sembravano molto più “profonde” rispetto alle webzine.
1- Da quanto tempo esiste il progetto Noisecult in cui sei coinvolto?
Il progetto Noisecult è appena nato, sono all’incirca 3 mesi che ho deciso di fare qualcosa di “ufficiale”. A dire il vero tutto era partito qualche anno fa, in una maniera un po’ diversa, in quanto più che una label, il mio progetto era legato all’organizzazione di concerti nella città dove vivo…(oddio, parlare di ORGANIZZAZIONE è una cosa un po’ grossa, avevo 16 anni e una voglia assoluta di vedere alcuni gruppi suonare anche nella mia zona, vista la scarsa possibilità che avevo di muovermi…)
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Noisecult è un progetto che porto avanti da solo, da un lato per scelta, in quanto così posso avere il pieno controllo di ciò che faccio e devo scendere il meno possibile a compromessi, da un altro lato perché (è brutto a dirsi) non ho trovato nessuno che avesse un minimo di voglia di sbattersi per fare qualcosa… Posso dire che ho un altro progetto parallelo a Noisecult, la Rizoma Produzioni, dove invece siamo in cinque (uno di 29 e uno di 27, entrambi fonici, uno di 20 e uno di 2(?).. io sono un ragazzo di 18 anni e sto attualmente frequentando l’ultimo anno di Liceo Scientifico.).
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
La label non ha alcuna consistenza economica, nel senso che i soldi per cd-r, copertine etc ce li ho messi io e non ho alcuna sicurezza di recuperarli… Bisogna contare che sono alla prima produzione, quindi magari a lungo andare le cose possono cambiare, e può darsi che una minima base riesca a crearla, però, come ho già detto non ci sono sicurezze… Tra l’altro una mia scelta è stata quella che qualunque cosa che esca per Noisecult venga venduta a 3 euro (eccetto i casi di coproduzione, dove un prezzo va concordato tra tutti…), per sottolineare il fatto che “fare soldi” non è un obbiettivo che mi pongo… Ciò che muove tutto è la passione per la musica e la voglia di diffonderla il più possibile…
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Io sono attualmente alla prima produzione, una compilation, che mi sembra un modo per raggiungere un buon numero di persone e riuscire a conoscere altre persone nella cosiddetta “scena”. Attualmente sto per ristampare in serie limitatissima (50 copie) il cd di un gruppo della mia città, e per il futuro ho già avuto qualche proposta di coproduzione.
5-Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Beh, diciamo che le coproduzioni sono un mezzo molto efficace per far girare un disco, in quanto molte etichette, che magari si trovano anche a distanza l’una dall’altra, lo mettono in circolazione e ognuna fa del suo per farlo conoscere… A lavorare da soli sicuramente si ha più libertà, ci si può gestire il lavoro come si preferisce, e personalmente vi trovo più soddisfazione nel veder realizzato con le proprie forze il progetto in cui si è creduto… Con Noisecult sono in una specie di collaborazione con l’altro mio progetto, Rizoma Produzioni, e sono in buoni rapporti con Sons Of Vesta…
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Non so se poter definire Noisecult DIY, in tutte le sue sfaccettature, anche perché ad essere sincero non mi interessa… Sicuramente i mezzi sono quelli…Devo arrangiarmi come posso, cercando anche di tenere bassi i costi… Per esempio le copertine della compilation (che è un digipack, quindi si parla più di confezione che di copertine) sono stampate in tipografia, ma questo è stato possibile solo perché i costi si sono rivelati bassi, e il rapporto qualità/prezzo era buono… Diciamo che l’etichetta DIY può essere usata per far capire all’incirca su che territori mi muovo, ma non deve vincolarmi in nessun modo…
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
Sicuramente Noisecult fa parte di un “circuito” indipendente, nel senso che non si troverà mai un disco Noisecult in un Virgin megastore, anche perché la SIAE e simili non rispecchiano la mia idea di musica, le vedo come un’imposizione di tutela...
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Nel mio caso posso dire che abbia influito molto il posto in cui vivo. Qui c’è pochissima gente che ascolta musica indipendente (dall’hardcore al noise/ambient) e i concerti, di conseguenza sono pochi… Tra l’altro io suono in un gruppo e ho degli amici che suonano a loro volta, e in un contesto simile nasce una voglia di esportarsi, di dire “ci siamo anche noi!!!”. Tutto ciò ho cercato di esportarlo anche ad altre realtà, ho pensato che come le difficoltà ci sono qui, ci sono anche da altre parti, e il creare una label è stato il mio modo di fare qualcosa, per noi di Belluno, come per qualcun altro nella nostra stessa situazione…
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
Secondo me sì, penso che si possa parlare di scena: ci sono molte persone che si danno da fare per far suonare, promuovere gruppi, suonare loro stessi, diffondere notizie… Ho notato, parlando con persone che vanno ai concerti, che è difficile trovare qualcuno che sia “fan” e basta, quasi tutti quelli con cui ho parlato in questi anni, nel loro piccolo, partecipavano attivamente, chi scrivendo in fanzine o webzine, chi suonando in un gruppo, chi organizzando concerti, con la propria label o distribuzione… Mi sembra, anche se molti sostengono il contrario, che qualcosa ci sia ad accomunare tutte queste persone, la passione per quello che fanno, ed è questa che io chiamo scena…
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Credo che internet sia diventato fondamentale, o quasi… Il poter scambiare la propria musica con tale facilità e rapidità è un’opportunità da non sprecare. Le piccole realtà locali penso che avrebbero molte più difficoltà ad emergere (già così ce ne sono molte) senza l’aiuto di internet… I contatti anche sono molto facilitati, basti pensare ai tempi se dovessimo fare tutto tramite posta (sei mesi solo per mettersi d’accordo).
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Le webzine sono uno strumento molto utile per lo scambio di informazioni, come date dei concerti, informazioni sulle band e recensioni (credo sia utile avere qualche informazione su un disco, che magari costa 20 euro, prima di comprarlo).
12- Delle messageboard?
Personalmente posto spesso su una messageboard (sceneboot), anch’esse hanno una bella utilità, perché c’è un confronto diretto, ci si scambia opinioni e, in un certo senso, si è “attivi”, se si avanzano proposte, discussioni, consigli…
13- Dei blog?
I blog sono la salvezza per chi, come me, non ci capisce niente di codici html e simili, ma ha bisogno di uno spazio accessibile a tutti e, tanto meglio, anche gratuito…sono una grande opportunità per farsi conoscere…
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
Personalmente credo che in Italia ci siano delle band validissime a livello europeo (e talvolta sono un gradino sopra anche a molte altisonanti uscite d’oltreoceano), che poi non abbiano un seguito tanto copioso come, per esempio, in Germania, non me lo so spiegare… Diciamo che le differenze tra i vari paesi, a livello di quantità di pubblico ai concerti, ce ne sono un sacco, e anche a livello di attenzione dei media (quante band tedesche hanno un grosso contratto con etichette anche americane, vedi Waterdown, per esempio), e quante invece ce ne sono in Italia o in Spagna? Magari qui in Italia si tende meno a seguire le “mode”, che è una buona cosa, ma da un lato questo può stroncare delle possibilità di esporsi maggiormente…
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
È una domanda che mi sono posto spesso, e sinceramente non saprei: da un lato con una major ci sono molte più opportunità di farsi conoscere e conoscere, di poter fare dei tour megagalattici, nessun rischio di perderci dei soldi, la possibilità di vivere di musica… Sono tutte cose molto allettanti, non mi si venga a dire il contrario… Tuttavia nel momento in cui alla major non interessi più, crolla tutto, ed è difficile farsi ri-accettare in quel mondo underground di cui non fai più parte… Nella musica indipendente si viaggia ad un livello sicuramente più precario, sempre “in forse”, le sicurezze sono poche e gli sbattimenti tanti, però respirando un’atmosfera più spontanea, vera, e questo secondo me, è più importante di viaggiare su un tour bus cinque stelle…
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Penso siano stati fondamentali, sono stati i primi posti in cui ognuno poteva vendere e scambiare liberamente le proprie produzioni, c’è il contatto tra gente che s’impegna e crede in ciò che fa… Forse sono stati una colonna portante del movimento… D’altronde, io è da poco che partecipo a esperienze simili, quindi non so proprio come funzionassero le cose nei primi anni ‘90, sicuramente allora tutto aveva proporzioni maggiori di adesso.
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Le vecchie fanzine hanno in se tutto il fascino del DIY ognuno scriveva pensieri, proposte, opinioni, tutto quello che gli passava per la testa, e lo produceva con le sue mani. Anche adesso c’è chi lo fa e si merita tutto il mio rispetto.. E’ molto più bello sfogliare una fanzine cartacea seduti sul letto invece che stare davanti a un computer, pieno supporto a chi continua a scrivere!!!
1- Da quanto tempo esiste il progetto Nothing City in cui sei coinvolto?
Dal 2002, anno in cui è uscito il primo cd dei Sumo, la nostra band. Nothing City è nata per la voglia di autoprodurci il disco.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Nothing City, in un primo momento, doveva essere l’etichetta dei Sumo, ma è ben presto diventata la mia etichetta. Io ho 31 anni e sono laureato in ingegneria elettronica.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
Nothing City non ha una consistenza tale da potermi permettere di non lavorare, anzi è sempre un po’ in rimessa. Non ho intenzione di camparci con l’etichetta.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Fino ad ora Nothing City ha prodotto “La libera danza quotidiana” dei Sumo, ha partecipato alla coproduzione del primo cd dei Laghetto e del cd dei Roid, dal 2002.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Non mi piacciono i dischi con troppe etichette, sia per una questione di gusto estetico che per il fatto che mi sembra difficile che tante persone possano essere coinvolte allo stesso modo nella produzione di un disco. Non vorrei che la coproduzione diventasse la sola donazione di una quota, preferisco un maggiore coinvolgimento delle persone che partecipano. Una grande coproduzione ha sicuramente maggior forza distributiva. Finché posso permettermelo finanziariamente preferisco fare uscire un disco solo con la mia etichetta ed eventualmente con l’aiuto di una o due etichette di persone che conosco e con le quali RIESCO a mantenere rapporti consistenti anche dopo l’uscita del disco.
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Nothing City è DIY al 100% e partecipa alla coproduzione di soli gruppi punk/hardcore DIY.
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
L’autoproduzione per me è il massimo dell’indipendenza artistica e politica. Mi ha sempre affascinato l’idea di partecipare ad una rete alternativa a quella delle grandi corporazioni, pensando che sia possibile avere la loro stessa forza e cercando di essere il più coerenti possibile con le proprie idee. Questo non vale solo per la musica ma può essere esteso a tutto quello che regola la nostra sopravvivenza. Il discorso Nothing City è legato ai Sumo e ad Atlantide (squat bolognese gestito dai ragazzi dei Sumo), che è la rete nella quale cerchiamo di muoverci proponendo e dando risalto alee cose che ci piacciono e che riteniamo abbiano bisogno di emergere, nella speranza che chiunque possa essere interessato riesca a scoprirle.
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Nothing City è nata per i Sumo, non credo che senza di loro avrebbe mai visto la luce. Se poi mi chiedevi i motivi in generale per cui nasce un’etichetta indipendente, beh, sono troppi e svariati. Dalla semplice passione, alla voglia di produrre e dare risalto ad un gruppo e ad un genere che non viene valutato abbastanza. Certamente può esserci anche l’idea di guadagnarci. Non sono in grado di giudicare una scelta del genere, non è la scelta che ho fatto io, ma non per questo la considero sbagliata. E’ chiaro che se una persona dedica tutto il suo tempo alla sua etichetta è giusto che debba riuscire a camparci. Se poi questa etichetta è DIY tanto meglio.
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
Una scena indipendente in Italia per fortuna esiste. Non è però molto vasta e ben organizzata, secondo me. Non so se una volta fosse meglio. In confronto a quella che sembra essere la scena indipendente americana, quella italiana sembra una briciola: per come io posso percepire ciò che accade là da qua. Pensando ai Fugazi, che secondo me sono l’esempio perfetto di gruppo DIY, non credo che una realtà del genere potrebbe mai nascere in Italia. Forse è solo un problema di posti in cui poter sviluppare un discorso alternativo (centri sociali, distribuzioni…); forse, invece, è un problema di cultura diversa, troppo esterofila ed imitativa. Molto di quello che in Italia viene passato per indipendente secondo me non lo è: non è indipendente chi va su Mtv, non è indipendente che ha distribuzioni major o chi ha certi booking per concerti. Possono portare avanti qualsiasi tipo di messaggio, ma utilizzando quei canali non li considero credibili. In questo modo la musica diventa solamente un discorso di guadagno, con la pubblicità sulle reti televisive o ai concerti, per esempio. Credo che oltre all’indipendenza artistica per un gruppo sia fondamentale anche avere il controllo di ciò che ti sta attorno. Mi rendo conto che non può essere un discorso vero in assoluto ed è inevitabile dover scendere a compromessi. Ogni gruppo indipendente deve avere un messaggio più o meno forte ma deve averlo: cos’è che ti fa continuare ad andare avanti restando all’interno della scena?
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Credo che sia ancora un po’ presto per dirlo. Sicuramente se lo sai usare e se il tuo gruppo “piace” può aiutarti. Per quanto riguarda la mia esperienza con i Sumo, tutti i contatti, le amicizie e le collaborazioni sono nate grazie a rapporti personali. Io non sono mai stato bravo a tenere contatti epistolari prima dell’avvento di internet, ora va un po’ meglio, ma faccio comunque molta fatica a comunicare con le persone per iscritto. Il sapersi vendere su internet vuol dire molto e sicuramente le grosse case discografiche riescono a farlo benissimo e con mezzi molto più potenti dei nostri. Ho la sensazione che internet, e con internet intendo forum, messageboards etc, faccia sembrare il mondo del DIY molto più vasto di quello che è. Osservando da cinque anni le persone che vengono ad Atlantide mi sono accorto che sono sempre più o meno le stesse, non credo che siano tante quelle che hanno trovato Atlantide o che comunque si sono avvicinate alla scena grazie ad internet. Per uno che muove i primi passi è più utile un contatto fisico, poi ci si può buttare nel mondo vuoto di internet, ma prima bisogna imparare a discriminare le cose con la propria testa partecipando attivamente nella scena. La scena non vive grazie ad internet, senza questo viveva benissimo lo stesso!
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Non ne leggo nessuna. Le trovo tutte molto noiose e poco interessanti. Starò invecchiando ma all'inizio divoravo Blast, Flash, Abbestia, Non Ce N'è, e tante altre fanzine per scoprire i gruppi nuovi, leggendo centinaia di recensioni e interviste. Ora faccio una fatica incredibile a leggere le recensioni o le interviste su webzine, le trovo tutte uguali, quasi tutte inutili. La carta resta viene recuperata e riscoperta. Anche l'aspetto grafico ha una sua importanza: quello delle webzine mi sembra troppo standard, poco innovativo e sterile. Le fanzine in Italia, a parte qualche evento sporadico (vedi Ghosts and Vegetables), sono morte. L'altro giorno stavo ordinando i vecchi Metal Shock, ho perso delle ore rileggendo e riscoprendo cose che una volta non avevo notato, che non conoscevo e che ora rivedevo sotto un'altra luce. La carta è stata per un ottimo mezzo per formarmi, spero di sbagliarmi ma credo che la rete non possa esserlo altrettanto.
12- Delle messageboard?
Leggo regolarmente Sceneboot, che in verità è un forum, del quale sono anche moderatore di una sezione. Faccio fatica a scriverci, se non le date dei concerti, che è la sezione che preferisco e sicuramente per me più utile.
13- Dei blog?
Non leggo i blog.
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
I centri sociali sono stati fondamentali. In Italia non ci sono molte situazioni alternative attraverso cui passare se non i centri sociali.
17- E le vecchie fanzine cartacee?
18- Opinioni e osservazioni….
Le tre domande a cui non ho risposto credo di averle trattate in precedenza.
1- Da quanto tempo esiste il progetto Ouzel Records in cui sei coinvolto?
Ouzel Records è nata nell’estate del 1998, ma già dal 1996 mi dedicavo alla distribuzione di dischi (soprattutto materiale su vinile) di gruppi ed etichette indipendenti. Fino al 2001 mi sono affidato alle cassette e ai cd-r come supporto, per poi passare ai cd stampati.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Sono il solo ad occuparmi di Ouzel Records: sesso M, ingegnere delle telecomunicazioni, 28 anni (quando ho cominciato a distribuire dischi era il 1996, ed era l’estate tra la fine delle scuole superiori e l’inizio dell’università). Sono stato però spesso aiutato da diverse persone per quanto riguarda singole uscite: la compilation “You Cannot Hold DIY…” non sarebbe stata possibile senza l’aiuto di Andrea Dreni, mio concittadino, che mi ha anche introdotto a Giacomo Spazio, con il quale ho collaborato in seguito. Anche per quanto riguarda “La mia ragazza mi ha lasciato” dei Morose, ho avuto il fondamentale supporto di Giacomo Spazio, mentre per quanto riguarda “Are you safe?” dei Kech, la quasi totalità dello sbattimento necessario se l’è accollata il gruppo.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
L’etichetta non è mai stata intesa come fonte di sostentamento, è sempre stata il mio hobby e nulla di più. Dal 2002 al 2004, soprattutto grazie ai concerti, riuscivo a fare in modo tale che il bilancio rimanesse in attivo(si parla di poche centinaia di euro in un anno, comunque), ma in ogni caso la mia attività principale è sempre stata un’altra: prima lo studio, ora la ricerca scientifica.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Negli ultimi tre anni mi ero stabilizzato sulla media annuale di un disco stampato e un numero imprecisato di dischi su CD-R o su internet. Ma da quando vivo in Giappone (agosto 2004) ho deciso di dedicarmi soprattutto ai dischi in rete, ammazzando definitivamente il problema delle spese e dei guadagni.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Per i dischi stampati, soltanto la compilation “You cannot hold DIY…” porta esclusivamente il nome di Ouzel Records. Per le altre uscite stampate, si tratta di collaborazioni, soprattutto con l’intento di aumentare i canali di distribuzione e dividere i costi iniziali di produzione e promozione. Le uscite su cd-r invece non hanno questo problema, e quindi per la quasi totalità si tratta di produzioni esclusivamente Ouzel.
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Ouzel è “Do It Myself” nel senso che faccio praticamente tutto da solo, ma le persone con cui collaboro non sono nella mia stessa condizione (Audioglobe, ad esempio, è il distributore a cui sono affidate alcune uscite Ouzel, ma non credo che Audioglobe si possa chiamare DIY, e anche la fabbrica che stampa i cd nel Principato di Monaco non è certo DIY).
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
No, le bands con cui lavoro devono rispondere al solo requisito di piacermi. Inoltre Ouzel esiste principalmente per mio piacere personale, quindi cerco di evitare qualunque tipo di stress derivato dall’attività di etichetta, e cerco di fare solo le cose che mi piacciono e quando ne ho voglia. Per questo non sono assolutamente interessato a trasformare Ouzel in un lavoro.
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Posso parlare solo a titolo personale: Ouzel è nata in un momento della mia vita in cui avevo molto tempo libero, e sentivo di avere le energie e l’ispirazione necessarie per impegnarmi a fondo nel cercare di promuovere gruppi totalmente sconosciuti, e che a mio modo di vedere non meritavano di rimanere tali.
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
E’ corretto parlare di scene indipendenti in Italia, ma non esiste UNA UNICA scena indipendente. Si tratta di tante piccole scene che evolvono, si allargano, si incontrano, si scontrano, nascono e prima o poi, alla fine, muoiono.
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Ne sono sicuro, Internet è fondamentale.
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Anch’esse sono fondamentali. Sono il “collante” che tiene insieme tutto.
12- Delle messageboard?
Per quanto mi riguarda, mi interessano poco, visto che troppe persone ne abusano, e ad ogni messaggio interessante corrispondono centinaia di messaggi inutili, ma comunque anch’esse fungono da “collante” tra persone con gli stessi interessi, e che quindi potenzialmente possono scambiarsi informazioni utili in modo più diretto e veloce rispetto alle webzine.
13- Dei blog?
Non li frequento.
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
Ogni nazione ha avuto uno sviluppo diverso dall’altra, e i fattori che hanno contribuito a queste diversità sono talmente tanti che per me è impossibile analizzarli così su due piedi. Sicuramente le barriere burocratiche che sono presenti solo in Italia (soprattutto la SIAE e ultimamente l’ENPALS) hanno contribuito molto a rendere la vita difficile alle etichette indipendenti e ai piccoli gruppi che si occupano di musica più “di nicchia”.
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Non voglio dare giudizi sul comportamento altrui: ognuno ha un background diverso, vite diverse, e giocoforza le scelte sono diverse. Non si può dire in assoluto quale sia un comportamento giusto o sbagliato. Posso solo parlare per me, ma pur avendo le idee chiare sul mio modo di rapportarmi alla musica, non intendo dire che non approvo chi interpreta la musica indipendente in modo diverso. Personalmente credo che la musica, sia dal punto di vista creativo sia dal punto di vista del fruitore, sia fondamentalmente “piacere”. Per fare musica e per occuparmi di musica, e anche semplicemente per ascoltare musica, ho bisogno di ispirazione, e ho capito che non è una cosa che posso fare a comando. Da qui la mia scelta di avere un’etichetta che gestisco come hobby, e la scelta di fare ed ascoltare musica nel momento che più mi piace o in cui ne ho bisogno. Non credo neppure che potrei avere un’etichetta indipendente “a tempo pieno”, o intesa comunque come fonte di sostentamento. So che arriverei a dover pensare ad aspetti non sempre piacevoli (organizzazione di concerti, promozione, collaborazioni) anche quando non ne avrei voglia, e questa è una cosa che non posso accettare. Posso lavorare come ingegnere anche quando me ne starei volentieri a letto, ma non posso ascoltare musica quando vorrei fare dell’altro. Per me la musica deve essere solo fonte di piacere. Di conseguenza, se mai dovesse accadere che mi venisse fatta una proposta di collaborazione con qualcuno che vede la musica come “business”, io rifiuterei di sicuro (come già è accaduto). Ripeto che questo non significa che a priori non mi piaccia la musica che sfrutta i canali di promozione “interessati”: ad esempio, il pop giapponese è una spudorata macchina da soldi, eppure il pop giapponese mi diverte, e quando ne ho voglia lo ascolto con gusto.
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Non so, non ho mai frequentato assiduamente centri sociali, anche se sono andato spesso sia per suonare sia per vedere concerti. E’ chiaro che la realtà dei centri sociali è stata importante per diffondere la musica e in genere l’arte più nascosta: pubblico interessato e attento ed espressione d’avanguardia si sono incontrati e confrontati, e sicuramente ciò ha contribuito, tra le altre cose, alla diffusione della filosofia DIY.
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Anche le fanzine cartacee, che al contrario delle normali riviste non avevano il problema della tiratura, potevano parlare di qualunque cosa, senza pensare di “dover vendere” e seguire le mode, perciò hanno potuto diffondere un certo tipo di informazione musicale e non, dando un contributo fondamentale. Il fatto stesso che chiunque dotato di un po’ di talento e tempo libero, e soprattutto tanta passione, potesse contribuire ed entrare nei seppur piccoli e talvolta isolati circuiti “alternativi” ha alimentato la tendenza ad almeno provare a far qualcosa di gratificante e di importante coi propri mezzi. Spesso si è trattato di aborti, ma talvolta sono nati gli esempi più brillanti di come la filosofia DIY possa funzionare bene.
1- Da quanto tempo esiste il progetto Produzioni Sante in cui sei coinvolto?
Il progetto è nato all’incirca 3 anni fa al solo scopo di distribuire un demo appena registrato del mio attuale gruppo; con il tempo si è ampliato, pur rimanendo sempre, volutamente, una minuscola realtà del panorama do it yourself.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
L’etichetta/distribuzione è gestita solo ed esclusivamente da me anche se ultimamente Cecilia (la mia ragazza) mi da una mano dal punto di vista economico/organizzativo. Io ho 22 anni e sono diplomato al Liceo Artistico con indirizzo architettonico, oltre a possedere un post diploma di tecnico multimediale/web designer.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
L’etichetta essendo minuscola può solo considerarsi un hobby e non certo un lavoro, seppure cerco di andare sempre in pari con le spese che affronto. Attualmente lavoro per conto mio come web designer anche se ogni tanto mi dedico alla decorazione di pavimenti in resina.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Per ora mi sono sempre limitato a coprodurre lavori e mai a farli uscire completamente da solo. In un anno a seconda della disponibilità economica decido a quante di queste coproduzioni posso prendere parte. Per ora le mie “uscite” sono in numero di 13.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Come già detto nella domanda precedente il mio campo sono state, per ora, solo ed esclusivamente le coproduzioni; questa scelta è legata alla mia voglia di vivere il mondo del do it yourself come un modo per stringere legami di amicizia e di collaborazione più che un modo per guadagnare dei soldi o per avere visibilità all’interno di un qualsivoglia panorama underground.
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Diciamo che il do it yourself è una scelta che ti consente di avere un rapporto diretto con i gruppi per i quali “investi” i pochi soldi che hai; certamente Produzioni Sante è DIY !!!
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
Diciamo che ci sono più chiavi di lettura del termine “scena”; se per scena si intende gruppi e persone che lavorano al di fuori del mercato ufficiale in modo consapevole e volutamente “contro” direi che esiste eccome; basti pensare all’enorme quantità di band e di etichette. Se per scena si intende qualcosa di ancora più “raccolto” che un semplice modo di porsi nei confronti del music business la cosa già diventa più complicata; il panorama italiano mi sembra molto chiuso e poco disposto ad avere rapporti al fine di crescere nel complesso. A volte sono più le invidie e le “fazioni” rivali che l’unità.
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Direi che internet è fondamentale per far sentire la propria voce nel mare di musica che ci ha sommerso, spesso bieca e commerciale all’inverosimile, ma ha anche costituito un deterrente per allacciare rapporti poco solidi e fittizi… In molti sono a nascondersi dietro ad un monitor quasi paurosi di rivivere la situazione più concreta e bella che sicuramente si può respirare solo ad un concerto.
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Dipende da come sono gestite, in generale le trovo molto positive perché esattamente come per la musica su internet abbattono tutta una serie di costi che molti ragazzi non potrebbero affrontare per far sentire le proprie idee dovendo stampare una fanzine.
12- Delle messageboard?
Sono utili solo per postare delle iniziative, non bisogna viverci dentro…
13- Dei blog?
Non sono altro che diari (in teoria) personali; ognuno è liberissimo di averne uno o di perderci la vista sopra; visto che passo molto tempo attaccato al computer per lavoro preferisco leggermi un libro nel tempo libero che inchiodarmi a fatti altrui.
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
Non saprei proprio risponderti perché non conosco bene la situazione europea… Credo comunque che i posti più “vivi” in questo momento sono quei luoghi dove fino a poco tempo fa se la passavano peggio, dove ci sono pochi spazi (penso all’Europa dell’Est), pochi mezzi e tanta gente che ha voglia di fare vengono fuori le cose più belle.
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Credo che una band non potrà mai essere “coerente” con i propri principi iniziali se le persone che la costituiscono non lo sono. Secondo me dipende tutto dalla voglia o meno di portare avanti un discorso che con il passare degli anni in molti vedono come poco professionale ancora prima che poco remunerativo… Una sorta di gioco per ragazzini.
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
I centri sociali sono posti in cui non essendoci vincoli di tipo burocratico (SIAE in primis) lo scambio è più vivo e costante anche se penso che la filosofia del DIY. sia più una cosa legata all’individuo.
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Per me le fanzine sono delle opere d’arte; tra le cose più genuine sopravvissute agli anni ‘70/80. Io ne ho fatte in passato e anche ora ne ho appena fatta uscire una insieme alla mia ragazza.
1- Da quanto tempo esiste il progetto Radio Riot in cui sei coinvolto?
Ufficialmente Radio Riot ha preso vita nel luglio del 2000, con delle trasmissioni settimanali fatte quasi esclusivamente con/per gli amici e divenendo, col passare dei mesi e degli anni, la webradio/webzine che è attualmente. Ufficiosamente però il progetto è nato diversi mesi prima, ma si sa: tra il dire e il fare…
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Per Radio Riot, soprattutto ai livelli attuali, è a dir poco vitale il contributo dei collaboratori, ragazze e ragazzi che inseriscono e commentano news, aggiornano concerti, curano insomma diversi aspetti del sito, oppure che si occupano di recensire dischi e intervistare gruppi. Sebbene cerchiamo di coinvolgere tutti all’interno dei suoi sviluppi è chiaro che servono dei, chiamiamoli così, punti di riferimento da cui partano le varie iniziative; senza aver assunto un’impostazione gerarchica, questi ruoli spettano attualmente a Piter (Flavio, il sottoscritto) e H-BES (Riccardo), entrambi cofondatori di Radio Riot, entrambi maschi, entrambi diplomati presso un Liceo Scientifico (e Piter attualmente studente di Psicologia) e rispettivamente di 24 e 27 anni.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
La label di Radio Riot è e vuole essere unicamente un mezzo di promozione e diffusione di un certo tipo di musica. I dischi coprodotti e scambiati vengono messi a prezzi simbolici: sono più delle “offerte”, utilizzate unicamente per coprire tutte le spese di Radio Riot, dal costo del dominio a quello della radio, fino alle nuove coproduzioni. Per noi è un piacere e una passione, non un lavoro: preferiamo guadagnarci da vivere con altro.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
La label è nata un anno dopo la radio e solo da un anno e mezzo riesce a sostentare tutta Radio Riot, è quindi comprensibile che finora ci siano stati alti e bassi nelle uscite, determinati volta per volta dalla disponibilità economica. Tutto questo per dire che mi è difficile fare una media annuale. Posso affermare che in 4 anni di label (e 5 di radio) abbiamo coprodotto 16 dischi, ma già dire 4 all’anno sarebbe fuorviante.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Abbiamo sempre e solo lavorato nel campo delle coproduzioni e come Radio Riot rimarremo sempre su questa strada. Nel punk/hardcore le coproduzioni sono, a nostro modo di vedere le cose, un mezzo di sostentamento della musica che valorizza l’espressione a favore della piena libertà e indipendenza del gruppo (persone, non musicisti), mettendo in secondo piano l’aspetto economico monetario. Certo è che i soldi ci sono e servono, è inutile (e dannoso) negarlo. Ma pensiamo che ci siano cose più importanti per un gruppo che la fama e il denaro. Molti gruppi (e parlo di band italiane) ci hanno dimostrato come attraverso le coproduzioni si riesca a far girare il proprio nome in tutto il mondo, a produrre dell’ottima musica, a esprimere delle buone idee con dei buoni mezzi.
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Ci occupiamo solo di promuovere band indipendenti all’interno di questa etica. Do It Yourself sono tre belle parole, è un bel concetto, è un bel modo di fare le cose, ma ci sono modi e modi per portarlo avanti. C’è un continuum con due estremi ed ognuno di noi, con il proprio operato, si posiziona più o meno vicino ad una di queste due estremità. Noi amiamo dare il nostro contributo (preferisco questa espressione a “promuovere”) e il nostro appoggio a persone che si avvicinano al nostro modo di pensare (e per conoscerlo basta leggere le risposte precedenti), pensando al tutto come ad una sorta di grande amicizia: tra amici ci si aiuta no? Questo però non esclude la possibilità di aprire un dialogo con tutti, di confrontarsi con tutti, di fare e ricevere critiche, opinioni, consigli… Alla fine decideremo in linea col nostro pensiero, cercando di essere aperti e disponibili.
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
Non abbiamo un’insieme di norme che seguiamo e rispettiamo costantemente. Come ho detto sopra, agiamo in linea col nostro pensiero, non con in base ad uno statuto. Ci sono principi generali che abbiamo sempre seguito e che seguiremo sempre: ad esempio non prendiamo parte ad iniziative di stampo fascista o nazista, non ci schieriamo politicamente, rimaniamo nel concetto di autoproduzione, e via dicendo. Ma oltre a questo non ci sono dogmi o comandamenti da rispettare: via via, con gli anni, abbiamo imparato ad essere coerenti e nello stesso tempo dinamici.
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Immagino possano essercene più di uno a seconda dei casi. Radio Riot, come etichetta, è nata per provare a dare una mano in più (oltre a quelle già esistenti e oltre al contributo dato con radio e webzine) ai gruppi che vogliono tirar fuori la loro espressione. Oltre al contributo economico, nonché la distribuzione nel nostro territorio e gli scambi con altre distro/etichette, cerchiamo anche di dare consigli e di mettere a disposizione la nostra seppur limitata esperienza. Non voglio farci apparire come dei benefattori: abbiamo rifiutato più coproduzioni di quante ne abbiamo accettate, a volte per problemi economici, altre perché non ci piaceva il suono del gruppo, o le persone che lo componevano. Non trattiamo male nessuno, ma siamo persone come chiunque altro e abbiamo gusti e idee che sono alla base delle nostre scelte.
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
La scena è un luogo con determinate caratteristiche in cui degli attori recitano la propria parte. Sostenere, come mi capita sempre più spesso di sentire, che “la scena non esiste” denota scarsa osservazione, se non proprio cecità assoluta: qui c’è qualcuno (gli attori) che fa qualcosa (la propria parte) in qualche posto (il luogo), questo è innegabile! Tuttavia sono più propenso ad affermare che esistono delle Scene, al plurale e con la S maiuscola, per denotare la molteplicità e la diversità di questi luoghi e attori e dei loro modi di pensare/agire.
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Sono un po’ incerto su questo discorso. Il “sì” mi viene spontaneo e immediato. Tuttavia sono dell’opinione che masterizzare, condividere e scaricare i pezzi di un gruppo di giovani, che hanno pagato il tutto di tasca propria e che non vivono neanche parzialmente dei proventi di quel che suonano/vendono, senza poi comprargli il disco, sia un po’ scorretto nei loro confronti. Ma ovviamente questo è quello che penso io, bisogna sentire cos’hanno da dire i gruppi in questione.
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Il mezzo è solo un mezzo, è l’uso che se ne fa che ne decreta l’utilità. La webzine si avvale della libertà di Internet (sempre più gambizzata da una politica molto attenta agli interessi di chi fa le leggi – e di chi le propone – e poco a quelli di chi le subisce) ma il fatto che tutti possano fare tutto può essere dispersivo e controproducente. Tutti possono aprire una webzine e perciò tutti ne aprono una. Si crea così un’inflazione di spaccio dello stesso materiale (che siano recensioni, interviste, notizie o articoli) però tagliato, passami il termine, in maniera differente. Così se da un lato c’è chi ascolta molta musica da molto tempo, con alle spalle magari qualche collaborazione in altre situazioni, dall’altro c’è chi questa esperienza non ce l’ha e mette a disposizione degli ignari le sue competenze limitate. Io sono per la libertà di espressione da parte di tutti, ma sono anche per la presa di coscienza delle proprie capacità: aprire una webzine e fare un lavoro approssimativo, chiudendola magari dopo un anno (ma durarne cinque non vuol dire niente), non è servito a molto. Poi possono esserci le eccezioni, ma sì sa: quelle confermano la regola.
12- Delle messageboard?
Anche qui torna il concetto della libertà. Usare una lavagna virtuale per dire tutto ciò che si pensa, cercando peraltro un confronto con il mondo esterno, è una possibilità che va usata fino in fondo: permette di insegnare, capire e crescere. Purtroppo c’è chi si arroga la libertà, appunto, di insultare gratuitamente, di non portare crescita ma conflitto, di sostenere le proprie posizioni calpestando le opinioni degli altri. Servirebbe solo un po’ di rispetto e comprensione reciproca, e una dose di indifferenza nei confronti di cerca di aizzare lo scontro verbale. Non dobbiamo assolutamente andare tutti d’accordo, sarebbe una finzione, ma si può sempre rispettare l’idea altrui anche schierandosi totalmente contro di essa.
13- Dei blog?
Il principio rimane quello della libera comunicazione, anche se si tratta più spesso di argomenti personali. Tuttavia ho visto che c’è chi lo usa per diffondere notizie, comunicati, o magari come una piccola webzine: ben venga, sempre con le considerazioni di prima ovviamente. Per il resto ho un blog ma non ne leggo praticamente nessuno: li trovo per lo più noiosi se non irritanti, quando il bisogno di esprimersi diviene necessità di mettersi in mostra.
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
Non mi spingo troppo oltre nella risposta, perché non conosco questo tipo di sviluppo delle altre nazioni europee così bene da tracciare un confronto. Ho l’impressione che la scena indipendente in Italia abbia trovato un terreno arido dal punto di vista di possibilità musicali, e una storia ricca di avvenimenti su cui riflettere e sui quali plasmare le proprie idee e azioni. Non a caso un certo tipo di hardcore italiano, nonostante i limitati mezzi di diffusione, è conosciuto e identificato piuttosto chiaramente tanto nell’Europa quanto in America. Lo sviluppo quindi penso che possa essere stato più lento dal punto di vista produttivo (ma non più scarso) ma forse più spiccatamente personale di qualche altra nazione. Negli ultimi anni, comunque, sembra che in molti abbiano premuto sul pedale dell’acceleratore: ma non è detto che sia sempre un bene...
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Ritengo che ognuno debba sentirsi libero di fare ciò che vuole. Questo ovviamente vale anche per me, che mi sento libero di criticare un utilizzo del punk e dell’hardcore per lucro e fama. Ma ho ragione? Ho torto? Sì e no, a seconda di chi è l’interlocutore con cui discuto della faccenda. L’importante è avere le idee abbastanza chiare e rispettare quelle degli altri (non “essere d’accordo” ma “rispettare”, è diverso), portando avanti i propri discorsi. La mia opinione su qualcosa è influenzata da tanti fattori, non credo nella linearità causa-effetto: critico chi spende milioni per farsi masterizzare il disco da Don Sonfigo e poi non ha un minimo di spessore e personalità, ma rispetto un lavoro che sia un buon lavoro anche se prodotto dalla SONY. Ma come ho detto, la mia opinione su qualcosa è influenzata da tanti fattori e dove potrei trovarmi d’accordo nel dire che il suono di quella band indipendente è fenomenale, potrei avere da ridire sul prezzo del disco…
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Centri sociali e DIY credo che abbiano visto gli anni migliori del loro matrimonio negli ’80 e quello è il decennio della mia infanzia. Tuttavia penso che sia comprensibile a tutti come la chiave di lettura di modi di pensare e agire sia per entrambi la stessa: l’autoproduzione. A tutt’oggi il centro sociale è il luogo privilegiato di scambio, di compravendita, di diffusione di un certo tipo di materiale che, al di fuori di esso, diviene difficilmente reperibile. I centri sociali sono notoriamente centri di aggregazione, di informazione, di interrelazioni,…o almeno così dovrebbe essere. E’ normale quindi che siano stati un punto fondamentale per la diffusione della “filosofia” DIY italiana.
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Stesso discorso. Sul Corriere della Sera non parlavano dell’ultimo dei Negazione, su Zips & Chains sì. Oggi abbiamo anche le webzine (e sottolineo “anche”), ma prima quello delle fanzine era se non l’unico comunque il migliore dei modi per tenersi aggiornati su ciò che succedeva nel resto della Penisola. Tuttavia vorrei far notare come le webzine non siano i validi sostituti delle fanzine, sono semplicemente diversi. La webzine dà un’opportunità di immediatezza e globalità che non è fisiologicamente possibile per una fanzine. Ma quest’ultima si consegna nelle mani del lettore, permette di essere consultata in ogni momento, quanto più serve, fornendo una panoramica che, se il tutto è ben scritto, è decisamente più chiara e meno dispersiva della sua sorellastra on line. In più concede la sensazione di leggere qualcosa di vivo, di vissuto, che la webzine non darà mai. Purtroppo le fanzine sono sempre meno seguite e non vorrei che divenissero solo un caro ricordo: sarebbe una perdita enorme.
18-Opinioni e osservazioni….
Immagino che le opinioni e osservazioni però vadano fatte sugli argomenti di cui abbiamo parlato. Da dire ce n’è sempre tanto, così tanto che è impossibile dire tutto. Mi piacerebbe che i ragazzi si informassero sempre il più possibile su ciò che ritengono interessante, che non si limitino a ciò che gli viene consegnato come “pacchetto d’informazioni” ma che se lo creino loro questo bagaglio, in modo attivo. Non è umanamente possibile sapere tutto, anche perché non ci interessa tutto. Ma abbiamo parlato finora di qualcosa che nasce dal bisogno di comunicare, di comunicare se stessi e il contesto in cui si vive. E capire l’uno permette di capire l’altro. A dire il vero questo discorso è generalizzabile a qualsiasi contesto, non solo quello punk, hardcore e delle diverse scene indipendenti. Solo che nel nostro ambiente ho l’impressione che ci sia quell’“impoverimento musicale”, tanto sonoro quanto testuale, di cui i BelliCosi parlavano nel 2001. Impoverimento che riguarda tanto i gruppi (pronti a curare più il nome di ciò che suonano piuttosto che ciò che suonano realmente) quanto gli ascoltatori (per i quali “va tutto bene”). Impoverimento che poi, forse, è solo il riflesso dello stesso impoverimento culturale della nostra generazione. Io mi sono accorto del mio – piuttosto tardi, ahimé, ma come si dice: non è mai troppo tardi – e sto cercando di rimediare, non posso che consigliare la stessa cosa a chiunque altro.
1- Da quanto tempo esiste il progetto Rebound Action in cui sei coinvolto?
Dalla primavera del 1996.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Escludendo quei 2/3 amici di turno che saltuariamente mi aiutano a scaricare la distribuzione durante i concerti assolutamente da solo!! Ho 30 anni.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
Come ogni proletario campicchio con saltuari lavori di manovalanza in quanto Rebound Action e’ per precisa e coscienziosa scelta solo un hobby e come tale dovrà restare... Altrimenti sarebbe un alienante lavoro come un altro, no (leggasi il commerciante!)??. Ritengo incoerente trarre profitto dall’hardcore e dalle autoproduzioni in generale e quindi preferisco non lucrarci sopra. Diciamo solo che i pochi “ricavi” che avanzano sono reinvestiti per le produzioni future e così via...
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Fare una media sarebbe impossibile dato che le produzioni sono frutto di molteplici ed incalcolabili fattori (preferenze attitudinali/musicali, consistenza economica del momento, pigrizia, impegni, ...) posso però dirti che dal 2001 (anche grazie alla messa in rete del sito) in poi sono riuscito a stabilizzarmi con 3 o 4 uscite annuali.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Per motivi meramente economici si preferiscono ormai le coproduzioni in quanto di solito fa tutto il gruppo (grafica / pressaggio / stampa) e poi ci si divide le copie fra coproduttori in base alla cifra pattuita... E’ una cosa molto in voga nella scena ultimamente. Chiaramente capisci che un LP prodotto da 10 etichette sparse per tutta Italia è già bello che distribuito all’atto di sfornarlo!
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Più che da considerare, E’ in tutto e per tutto un progetto “Fai da te” (in italiano suona meglio!). Il mio principale obiettivo quindi e’ ovvio che sia diffondere il più possibile il messaggio delle mie band attraverso i canali d’informazione a me più affini (centri sociali, fanzine autoprodotte, circuito underground in generale)…
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
Beh, anche se non proprio apertamente è chiaro che l’indirizzo etico/attitudinale dell’etichetta, così come l’orientamento di molte band da me prodotte, rispecchia di solito il mio pensiero e/o quello che sono nella vita di tutti i giorni (animalista vegano e libertario comunista).
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Sicuramente la voglia di far circolare la propria musica (intesa come suonata e autoprodotta) fuori dal marcio sistema commerciale… Vale a dire senza intermediari come SIAE, commercianti/manager /discografici da strapazzo di turno, o posti “limitanti” per un gruppo hardcore (come i soliti locali ambigui dove non si vede mai una lira e/o sfigate feste dell’unita’ di turno per esibirsi…). Parlo di gruppi in quanto e’ con il libero scambio delle loro (auto)produzioni che si da’ vita progressivamente ad una etichetta (un po’ come ho fatto io con la massiccia distribuzione del vinile del mio primo gruppo…).
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
Indipendente mi suona male… Diciamo che da noi esiste storicamente una fervida scena hardcore che, con pregi e difetti, affonda le sue radici dagli primissimi anni ’80.
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
I vantaggi che internet ha dato alla scena, grande o piccola che sia, sono innegabili ma credo non bisogni abusarne. Nel senso che un conto e’ scambiare quattro chiacchiere con band che stanno dall’altra parte dello stivale e/o scaricarsi qualche disco da 18 euro su major, ma che invece un conto e’ stare tutto il giorno chiuso in casa a scaricarsi 200 dischi (anche autoprodotti) a scapito dei testi (fondamentali per l’hardcore) e delle piccole etichette ai cui banchetti alle varie iniziative la gente si limita a buttare un occhio e basta... spero d’essere stato sufficientemente chiaro.
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Premetto che ogni libera iniziativa fuori dal discorso istituzionale in ambito hardcore e’ sempre ben accetta ma io personalmente continuo a preferire di gran lunga quelle di carta… Concrete, facili da reperire ad ogni iniziativa di piazza e/o concerti senza costringere i ragazzi che non hanno il computer a perdere tempo su quel pozzo di alienazione che e’ internet (vedi domanda precedente...).
12- Delle messageboard?
Credo che, se si trascura il lato pubblicitario, cosa si può trovare di positivo in “luoghi” telematici, dove tanti giovani delegano quotidianamente comunicazione e conoscenze? La vita (realmente) vissuta e’ altrove e non certo davanti ad una serie di muri, guestbook o roba simile!
13- Dei blog?
Idem come sopra...
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
No, visto che ti basta parlare con tutte persone che hanno suonato all’estero (me compreso) per capire che, parlando di hardcore, l’Italia e’ ancora una specie di terzo mondo! Purtroppo manca ancora quella cultura che invece ha attecchito soprattutto in Usa o Gran Bretagna e da poco anche in Germania e Svezia. Per me il vero problema e’ che, in mancanza di tale cultura, i gruppi in qui da noi sono considerati dai locali veri e propri “polli da spennare” per non parlare poi dell’organizzazione che spesso e’ totalmente assente. Non stupiamoci quindi se di tutti i tour che annualmente girano l’Europa solo il 40% toccano il Nord Italia (e non parlo solo di hardcore ma anche di metal, elettronica, etc…)
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Il discorso per me è diverso e cioè: ritengo opportuno guardare prima di tutto il fine che porta un gruppo a suonare punk/hardcore, che credo sia suonare per impagabile passione ed attitudine, e NON per diventare delle prezzolate rockstar da copertina! Se un gruppo ritiene validi i principi tanto cari all’hardcore è giusto che per coerenza continui su quel tipo di discorso. Ovvio quindi che quei sedicenti gruppi “punk” che per anni hanno millantato fratellanza, autoproduzione, militanza e tante altre belle parole che hanno cominciato - con misere scuse come la miglior distribuzione o il voler trasformare il loro hobby in guadagno - a lucrare sull’ hardcore, sottoscrivendo contratti con major ed avallando cose abominevoli come la SIAE ed il copyright… Beh, tali gruppi non possono che suscitare il mio disprezzo! Poi comunque esistono situazioni e situazioni, ma in linea di massima la penso così.
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Determinante direi! Quale miglior esempio per il circuito “Fai da te” che muoversi in spazi che praticano il “Fai da te” nel vero senso della parola nell’esistente di tutti i giorni? Posti dove cioè l’autoproduzione è diventata una vero e proprio stile/modo di vita, tramite occupazioni abitative, benefit e/o semplici concerti autogestiti, collettivi organizzati, produzione di materiale proprio, etc…
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Confermo quanto già detto sul discorso webzine aggiungendo che per anni (ma per buona parte anche adesso!) sono state fondamentali come unico mezzo di comunicazione all’interno della scena, come collante fra tutte le varie sottoculture: punk/hardcore, straight edge, skinhead, crust punk, etc…
1- Da quanto tempo esiste il progetto Red Cars Go Faster in cui sei coinvolto?
Red Cars Go Faster nasce nel settembre 2002 con la coproduzione del cd dei LaFalce. Accanto ai dischi, c’è l’idea di organizzare tour in Italia, sempre con un approccio totalmente DIY, e una distribuzione che morirà poco più di un anno dopo.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Partiamo in tre amici, rimango solo io. Per i tour e le date conto su amici sparsi in mezza Italia, con i miei stessi obiettivi e un modo simile di intendere le cose. Comunque mi chiamo Carlo, compio 25 anni il prossimo ottobre, vivo a Bergamo e studio ingegneria civile strutturale nel purgatorio chiamato politecnico di Milano.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
Lo scopo è quello di coprire le spese, e in qualche modo ripartire ogni volta da capo. Quindi ogni uscita dovrebbe coprire quella dopo; se questo non dovesse accadere, si rompe il salvadanaio e non si fa altro che spostare i soldi da un’altra parte. Questo per dire che non è il mio lavoro, ne mai lo sarà. Era, è e rimarrà una passione enorme, che ogni mese mi ruba sempre più tempo, ma che adoro. Ma sono convinto che nel momento in cui diventasse un lavoro, perderei tanti momenti che rendono speciale quello che sto facendo. Insomma, dovrei scendere a compromessi, pensare prima a me stesso che agli altri, pensare all’affitto da pagare, al pane da mangiare e all’unico modo per guadagnare due lire. Per gonfiare un po’ le tasche dell’etichetta do lezioni private di matematica e fisica, e qualche altro lavoretto qua e là.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Fino ad ora, un’uscita e una ventina di tour all’anno. Ma quest’anno ad ottobre si raddoppia per i dischi, e così anche l’anno prossimo. L’ideale sarebbe riuscire a tenere un ritmo del genere, due/tre uscite all’anno e un paio di tour al mese. Soldi permettendo, ovviamente.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Solo la prima uscita era stata una coproduzione con altre etichette italiane. Le due successive e le prossime due hanno e avranno solo il logo di Red cars go faster. Se una coproduzione ha alle spalle sentimenti e motivi speciali (come fu con Lafalce cd), allora ben venga; sono due modi diversi di lavorare, com’è semplice intuire. Spesse volte una coproduzione si riduce a mettere sul tavolo la tua quota e poi aspettare che il disco sia pronto, mentre essere l’unica persona che si impegna nell’uscita di un disco richiede tempi e sforzi diversi. Poi la soddisfazione te la cerchi tu, ovvio.
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Red cars go faster è DIY fino all’osso. Ultimamente s’è abusato un po’ troppo del termine indipendente, quindi vediamo di tenerci buono almeno il DIY. DIY perché non ci sono di mezzo codici a barre, politiche e contratti vari. DIY perché il modo in cui faccio i tour non è proprio quello di un’agenzia. DIY perché non parlo di cahet e di percentuali sulla porta. DIY perché per forza di cose deve esserci un approccio politico. DIY perché è come lo voglio io. Penso che sia qualcosa che va oltre i gruppi che fai uscire o che porti in tour. Riguarda proprio il tuo modo di vedere le cose. Insomma, DIY per scelta, e non per sfiga.
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
Ho determinate idee, chiamali principi se preferisci, che mi piace seguire. Se può essere elevato ad etica, allora penso che il concetto di DIY sia un buon punto di riferimento. Insomma, quando ti metti a fare un disco o un tour, ogni volta è diverso ma in fondo è sempre uguale. È come se cambiasse solo la colonna sonora, ma il modo di fare le cose rimane sempre quello.
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Personalmente tutto è stato molto graduale. Vai ai concerti, scrivi una fanzine, entri in contatto con tantissime persone, osservi quello che succede da fuori, poi ad un certo punto ti chiedi: “perché no?”, ne parli con qualche amico, magari. Poi si parte. La coproduzione di Lafalce è stata fondamentale da quel punto di vista, per tutti i sentimenti che ci stavano dietro. È stata un po’ come una scintilla.
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
No. In Italia, come da nessun’altra parte, esiste una scena indipendente. Perché sono troppi i significati che puoi dare alla parola indipendente. Fino a qualche anno fa magari ne potevi ancora parlare, adesso non più. Indipendente ora è un po’ tutto ciò che non fa rima con Sanremo. La parola “indipendente” non ha valore in termini generali, può riguardare il gruppo davvero indipendente che si tiene per scelta ben lontano dal mercato del denaro, oppure può essere il sinonimo del nome di un’agenzia che lavora per contratti, cachet, percentuali, con gruppi che considerare indipendenti sarebbe come considerare Marisa Laurito una top model. Esistono gli amici, esistono tante persone che si sbattono con gli stessi obiettivi, che non si fanno i conti in tasca ogni volta, che in questo ci sono dentro perché ci credono fino in fondo e non per altri fini. Esiste ed è ben radicato in molte parti il concetto di comunità, ed è quella fatta dalle persone che si conoscono e che si aiutano, che si vogliono bene e crescono assieme. La scena è un concetto astratto, gli amici invece sono ben reali.
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Internet può essere un ottimo mezzo per la diffusione di qualsiasi tipo di musica. Facilita il contatto e la collaborazione, è utile diffidare da chi ti dice il contrario. Per le grandi multinazionali o per le indipendenti che puzzano rappresenta un grosso sgambetto al proprio portafoglio. Per tutti gli altri, internet è e deve essere un mezzo da sfruttare, senza mai diventare un fine.
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Dipende da come sono fatte e da chi sono portate avanti. Internet è attualmente la cosa più democratica al mondo, perché chiunque può dire quello che vuole. Quindi, puoi trovare delle buone webzine e delle inutili schifezze. Personalmente ne leggo poche, anzi quasi nessuna, se non per dare un’occhiata qua e là a qualche recensione. Se ho il tempo di leggere qualcosa, preferisco sdraiarmi sul divano, mettere un buon disco e aprire un libro.
12- Delle messageboard?
Vale un po’ lo stesso discorso fatto per le webzines, solo che qui può esserci un confronto immediato e magari anche costruttivo. Molte volte, purtroppo, tendono a implodere e diventare un semplice fine. Cioè, nulla.
13- Dei blog?
Parlando dei blog personali, penso siano la prova della solitudine in cui oggi si ritrova a galleggiare una persona. Senza dare alcun giudizio negativo, non riesco proprio a comprenderli, e mi stanco a leggerli perché li trovo inutili. Ma con tutto questo proliferare di blog a destra e a manca, mi chiedo se nella solitudine ci nuoti solo chi li scrive, o anche tutti gli altri.
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
Ogni nazione ha un background culturale diverso. Quindi è ovvio che la scena underground italiana si sia sviluppata in modo differente rispetto a Germania, Francia e Svezia, per esempio. Ci sono tanti aspetti in comune, e tante differenze. Ma se gli obiettivi sono gli stessi, allora cambia solo il modo per ottenerli. Poco cambia se un concerto inizia due ore più tardi o se il gruppo mangia in cucina o in sala. Forse posso dire che all’estero il concetto di comunità è avvertito in modo differente, in Germania per esempio è più radicato che da noi. Ma è solo questione di abitudini, in fondo. E c’è una gran differenza tra vivere nel sud Italia e nel sud della Germania.
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Qui sta proprio l’abuso della parola indipendenza. Tanti gruppi sfruttano un determinato canale di comunicazione finché non arriva l’occasione per saltare dall’altra parte. Indipendente, secondo la mia etica DIY (per tornare a prima), non ha nulla a che fare con major e management. Sono termini che stanno agli antipodi, e non possono convivere. Qualcuno mi deve ancora spiegare da cosa è indipendente un gruppo che passa su Mtv, per esempio. Rimanere fedeli a sé stessi suona come qualcosa di integralista. Direi che è importante la coerenza, per un gruppo che si chiama indipendente o DIY. Una coerenza dinamica, mai statica. Perché secondo me alla fine non è tanto importante quello che fai, ma come lo fai.
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Sono stati e sono tuttora importanti per capire che il DIY non riguarda solo la musica o i nostri gruppetti preferiti. Perché, come dicevo prima, non si può prescindere il DIY da una certo approccio politico. Perché la scelta di rimanere fuori da determinate logiche, è di fatto in principio una scelta politica, poi solo in seguito artistica o musicale. In Italia sono stati fondamentali per gran parte del punk/hardcore, che negli anni ottanta nasceva proprio in posti occupati; poi il binomio è andato un po’ a sfumare, com’è logico che fosse.
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Fino a fine anni novanta, le fanzine hanno rappresentato la quint’essenza del DIY. Un movimento di idee, di contatti, di collaborazioni, di conoscenza e di crescita senza precedenti. Un movimento che non s’è più ripetuto, se non in altre forme interessanti quanto statiche, come la rete. Purtroppo o per fortuna, nel 2005 fanzine fa rima con nostalgia.
1- Da quanto tempo esiste il progetto Riot Records in cui sei coinvolto?
Come Riot Records siamo attivi dal giugno 1996.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Adesso siamo in due, inizialmente eravamo 5 persone. Un laureato del 1966, una laureata del 1970, una licenza media inferiore del 1968 sono i membri che non sono più attivamente coinvolti; io, licenza media inferiore del 1969 e la mia compagna, licenza media superiore del 1970 siamo rimasti alla gestione della label.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
Svolgo altri lavori.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Ora 2 o 3, ci sono stati però annate da 6/7 uscite.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Non ci poniamo un problema di visibilità assoluta del marchio o di preminenza, ci interessa decisamente di più il progetto musicale che sta dietro, ci piace essere coinvolti in coproduzioni con molti altri amici per esempio.
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
A mio modesto parere è un progetto DIY per le nostre radici e per i nostri vissuti precedenti all’esperienza che stiamo tuttora vivendo come Riot, ma non abbiamo discriminanti di sorta verso band che non supportano in toto questa scelta. Ognuno ha la sua storia, la nostra è fatta di presa di coscienza delle proprie capacità e nello credere che chiunque attraverso circuiti di solidarietà possa farcela in questa dinamica.
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
Riot ha come unica discriminante di sostenere solo i progetti di bands antirazziste, antifasciste e che non supportino atteggiamenti sessisti o omofobi.
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Nel nostro caso nasce dall’esperienza accumulata in anni all’interno delle sale prova e dell’impianto del Centro Sociale Leoncavallo di Milano, si è passati da suonare come espressione del proprio disagio a proporre musica di gruppi italiani o stranieri a scopi sociali fino allo gestire l’impianto ed all’organizzare concerti e/o brevi tour, tutto questo in un’ottica DIY trasparente agli occhi di chiunque. Quindi abbiamo iniziato ad affinare competenze e capacità tecniche ed a registrare i gruppi che facevamo suonare, da lì l’ovvio passo successivo sono state prima le cassette audio curate dalla grafica alla vendita, poi i vinili e quindi i cd.
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
Scena è una parola che non mi piace, preferirei parlare di movimento, implica una capacità di confronto che purtroppo però non vedo sempre tra i vari referenti coinvolti.
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Sotto un certo punto di vista è decisamente utile per una larga diffusione di massa ma sotto altri aspetti fa perdere di vista l’obiettivo a molte giovani band. Avere un buon successo su un sito dove si scaricano mp3 non è autoproduzione. L’esperienza inoltre di fare molti concerti in tutta la penisola è insostituibile. Ho molto più rispetto per chi cerca di sviluppare il discorso in maniera molto più ampia, coinvolgendo e coinvolgendosi anche con strumenti come creative commons che non con il mero supporto elettronico. Rispetto al pubblico trovo invece negativo che non si riesca a cogliere la differenza tra l’acquistare ad un concerto il CD o quant’altro di una band giovane italiana e autoprodotta e lo scaricarsi l’ultimo album di una artista straniero, la differenza credo dovrebbe essere anche in questo caso lampante.
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Sono un buon strumento di comunicazione ma strizzano troppo spesso l’occhio alla stampa musicale “professionale”, credo che molte siano assolutamente sopravvalutate e che l’interazione con il pubblico sia minima, redattori amatoriali che si prendono troppo sul serio alla stregua di critici musicali, una fanzine al contrario è l’ennesima dimostrazione che le cose si possono fare in maniera differente, rimango decisamente più affezionato a Maximum Rock’n’roll e Punk Planet che a una qualsiasi webzine.
12- Delle messageboard?
La loro potenzialità non viene sfruttata a pieno, se ne esalta sempre e solo le capacità di criticare anonimamente se non di insultare. Rimangono comunque insostituibili per pubblicizzare eventi.
13- Dei blog?
Non tutti sono così interessanti, non tutti nascono scrittori in effetti, ma reputo che sia un ottimo strumento di comunicazione dal basso.
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
In Italia siamo stati per anni all’avanguardia, diciamo a partire dal 1982 fino a fine 1993, dopo siamo entrati in una fase di stagnazione dove molte piccole etichette sono scomparse oppure sono state assimilate da colossi della musica. Non vedo scene europee decisamente più vivaci della nostra, ogni nazione ha la sua peculiarità. Vedo semmai nazioni che con un impostazione del concetto del welfare differente dal nostro, riescono a sviluppare programmi di supporto per i gruppi giovani indipendenti e ad accedere a fondi della comunità europea per lo sviluppo delle forme d’arte.
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Non sono un purista e non urlo al tradimento, credo che la vita sia evoluzione e crescita, il passo successivo al DIY è quello che citi nella domanda se le cose vanno a gonfie vele ma, d’altronde, non baratterei mai la mia indipendenza con accordi di questo tipo. Così come sono possibilista per chi pensa di potercela fare con strutture decisamente più legate al commercio che non alla musica in se, però non accetto che si intervenga sul mio modo di fare le cose. Rimango però contento se uno ce la fa senza bruciarsi tutti i ponti alle spalle, secondo me è la capacità di conoscere da dove si viene che fa la differenza.
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Ne sono stati l’utero, senza centri sociali non ci sarebbe potuta essere la consapevolezza dell’autoproduzione.
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Assolutamente fondamentali.
1- Da quanto tempo esiste il progetto Robotradio Records in cui sei coinvolto?
Robotradio nasce con l’uscita del primo cd nel maggio 2004, ovviamente prima di arrivare alla pubblicazione, ci sono stati alle spalle diversi mesi di lavoro e progettazione.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Robotradio è un mio progetto, che però sta in piedi e cammina grazie al prezioso aiuto di qualche amico, che si occupa in particolare delle traduzioni e della parte web. Le persone coinvolte in definitiva sono tre, tutti appartenenti al sesso maschile, nati tra il 1973 e il 1975. Due di loro hanno un diploma superiore, uno tecnico (1973) e l’altro liceale (liceo scientifico) (1974), mentre il terzo è laureato in ingegneria (1975). Inoltre non manca l’aiuto di moglie, cugini ed amici, magari per incollare le confezioni dei cd o per altre piccole ed occasionali questioni pratiche.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
Robotradio, è una passione o meglio un “gioco”, non c’è né l’intenzione né la possibilità di far divenire questo progetto un lavoro o una fonte di reddito, per ora è già faticoso limitare le perdite. Quindi per mangiare e pagare le bollette, ho un lavoro e non un altro lavoro.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Ora sto per pubblicare il secondo CD, quindi direi un’uscita all’anno.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
La prima uscita portava solo il mio marchio, mentre la prossima sarà una coproduzione con un’altra etichetta. Come dicevo prima Robotradio è un gioco, quindi anche se pubblicare il cd di un gruppo significa già condividere il gioco con altri, perché non allargare ancora il numero di persone con cui condividere il gioco quando c’è la sintonia giusta? Le coproduzioni certamente permettono di diminuire le spese che ognuno deve affrontare, ma ritengo anche che talvolta questo non porti a seguire al meglio l’uscita. Per rimanere legati all’immagine del gioco, essere in tanti molte volte porta a confusione e malintesi e ad abbandonare “la partita” prima del tempo.
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
In verità non uso il termine DIY pensando a Robotradio, d’altronde c’è sempre qualcuno che si sente più DIY di altri e forse questa “sigla” indica ormai più un circuito, anche musicalmente ben preciso, che non un modo di fare e di porsi nei confronti di ciò che si fa. Personalmente ritengo Robotradio un piccolo progetto, che cerca di rispondere alla mia voglia di fare e ai miei desideri. Cerco di portare avanti le mie cose, condividendo con i gruppi con cui entro in contatto il più possibile, sia nella fase di progettazione, che di promozione e diffusione. In questo ritengo Robotradio un’etichetta indipendente se questo significa un progetto slegato da calcoli che hanno più a che vedere con leggi di mercato che non con il desiderio di dare concretezza alle proprie passioni.
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
Certamente i modi di portare avanti i progetti e gli ambiti in cui si sceglie di muoversi non sono indifferenti, tutt’altro. Ciò che cerco non è certamente seguire alla lettera una sorta di decalogo del “buon indipendente” o del “buon DIY”, conta molto di più il modo con cui ci si pone rispetto alle persone che si incontrano portando avanti questo progetto, come in tutti gli altri aspetti della vita. Non ho mai creduto nel creare una sorta di riserva protetta in cui seguire una determinata etica, che poi magari va abbandonata quando si esce da quest’ambito per muoversi nel “mondo reale”.
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Guarda, non saprei se c’è un motivo che vada bene per tutti. Personalmente non mi sento di fare proclami o di dichiarare il mio sacrificio alla “causa”, non mi dedico a Robotradio per cambiare il mondo, ma soprattutto per migliorare me stesso. Robotradio è un piacere, quindi nasce perchè è bello farlo.
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
In certi limiti sì. Esistono però più realisticamente, tante piccole scene, chiuse su se stesse, anche perchè spesso si passa il tempo a valutare la corrispondenza al nostro fantomatico “decalogo del buon indipendente-DIY”, invece che valutare se si può condividere un po’ di strada assieme. Chi coraggiosamente ha cercato negli anni di portare ad un rapporto di rispetto e di collaborazione sempre più estesa, si è trovato spesso a scontrarsi con i difensori di questi piccoli orticelli, che temono che il vicino possa contaminare il proprio terreno. Poi all’opposto ovviamente troviamo chi vorrebbe raccogliere tutti sotto un unico tetto, anche situazioni che in effetti sono troppi distanti per condividere la stessa strada. Esiste comunque questa sorta di scena virtuale, che spero saprà accogliere sempre più persone ed esperienza, senza paura di cambiare per rimanere se stessa.
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Certamente. Rende potenzialmente più facile i contatti, e la diffusione di ciò che si fa. Poi non serve spendere troppe parole sul fatto che si tratta semplicemente di uno strumento e da solo non può nulla, questo è quotidianamente sotto gli occhi di tutti.
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Sono certamente un utile e veloce modo di diffusione di notizie ed opinioni, anche se con più difficoltà riescono a portare all’approfondimento, che magari si riesce a trovare sulle pubblicazioni cartacee. Nascono continuamente nuove webzines, anche se molte nel breve tempo rimangono come satelliti che vagano nello spazio virtuale dimenticate dai più.
12- Delle messageboard?
Esattamente non so neppure cosa siano, credo che questa potrebbe già essere una risposta..
13- Dei blog?
Ho letto qualcosina, ma mi annoio con molta facilità, non so oggi quanto e quanti riescano veramente a comunicare e condividere con questi mezzi.
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
Non conosco così bene la realtà europea per dare un giudizio ponderato. Ma se una ventina di anni fa, i gruppi indipendenti italiani appartenenti al circuito hardcore erano riusciti a farsi conoscere e stimare in tutta Europa e non solo, divenendo dei veri punti di riferimento oggi mi sembra che le cose non siano assolutamente più così. Probabilmente non si è riusciti a portare a frutto quell’esperienza come forse si sarebbe potuto fare. In Italia il rischio credo che sia il pericolo che tutto l’ambiente si atrofizzi per mancanza di ossigeno, dovuto ad uno scarso ricambio generazionale e ad una chiusura su se stessi. In questi ultimi anni però mi sembra di cogliere segnali incoraggianti, la gente ai concerti forse sta tornando ad aumentare o quantomeno non diminuisce più, nuove persone stanno iniziando a muoversi e possono contare su strutture e una rete di contatti già esistente, e sempre più gruppi ed etichette sono concretamente intenzionate a farsi conoscere non solo in Italia ma anche in Europa. Credo che questi siano anni decisivi, anche per i cambiamenti tecnologici che si ripercuoteranno sempre più anche sulla diffusione della musica.
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
A mio avviso, troppo spesso si sentenzia o si bandiscono gruppi ed etichette con troppa facilità. Negli anni è difficile non cambiare la visione su molti aspetti, quindi ancor più che la coerenza, che è più facile pretendere dagli altri che non da se stessi, conta per me l’onestà e la chiarezza d’intenti. Posso rispettare anche un gruppo che magari in passato coinvolto nell’ambito indipendente sceglie di passare ad una major o a strutture semi-professionali. Al di là di questo, ritengo comunque molto più stimabile chi cerca di far crescere il proprio ambito e non lo abbandona quando potrebbe divenire una risorsa importante per farlo crescere e maturare, magari per inseguire sogni di successo che molto spesso vengono velocemente infranti.
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Essenziale. Dopo gli anni dell’hardcore e quelli delle posse, forse in questi ultimi anni l’aspetto musicale non è più così vivo, anni fa esistevano tentativi di distribuzione tramite i centri sociali “la lega dei furiosi” e altre esperienze che non sono riuscite a portare a ciò che avrebbero desiderato, ma che dimostravano una voglia di condivisione e collaborazione che oggi non mi sembra più così presente. Oggi esistono poi molti posti che si collocano a metà strada tra il centro sociale e il locale vero e proprio, gestiti magari da associazioni o ARCI che sembrano i più interessati a dare spazio a gruppi e realtà legate all’ambito indipendente.
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Sono state e sono tutt’ora un grande amore, ne ho curata una per 10 anni, e mi spiace faticare così tanto per vederne qualcuna in giro. Spero che magari col tempo qualcuno faccia il percorso inverso e dalle webzines, passi alle fanzines, anche perchè seppur più lente, sono spesso più ricercate e stimolanti.
1- Da quanto tempo esiste il progetto Rumble Fish in cui sei coinvolto?
Il progetto Rumble Fish è nato nel 1993, con l’uscita del primo 7” degli Shock Treatment.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Dal 2003 il progetto è interamente gestito e portato avanti da me solamente (Antonello: 41 anni, maschio, diploma di geometra). In realtà nel 1993 è nato come collettivo, anche se principalmente è sempre stato gestito da me in prima persona, solo che fin quando gli Shock Treatment erano in attività, tutto il progetto era legato direttamente alle attività del gruppo stesso. Cioè era un prolungamento del gruppo ed era gestito (almeno nelle decisioni) collettivamente dagli Shock Treatment.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
Naturalmente non è il mio lavoro, faccio il restauratore di mobili. La sua consistenza economica era legata alle attività degli Shock Treatment, tutti gli “introiti” derivanti dalle vendite dei dischi e dai concerti del gruppo venivano “reinvestite” nel progetto Rumble Fish.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Dal 1993 ad oggi Rumbe Fish ha prodotto 17 titoli. Nel 2005/06 sono in cantiere 2 nuove uscite.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Normalmente preferisco fare produzioni in solitaria. Perché non mi piace fare le cosiddette autoproduzioni di “massa”, dove tutti (a parole) si muovono nella stessa direzione di scelte ed attitudine, ma in realtà coprodurre il disco insieme ad altre 10 etichette significa solo che un “tizio” qualsiasi si compra solo lo spazio pubblicitario sul disco in questione. Questo non è corretto e non serve al gruppo in primo luogo e non serve al circuito in generale, perché coprodurre un disco con 100 euro significa distribuire 25/30 copie, che non ha nessun senso. Ultimamente ho fatto qualche disco coprodotto con massimo 3 etichette (amici e alle quali mi sento affine), anche perché il “pubblico” potenzialmente interessato a queste produzioni è drasticamente diminuito (…ma questa è un’altra storia).
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Essenzialmente è un progetto DIY. Anche se in passato (e non so in futuro) alcune bands hanno iniziato con noi, per poi finire il percorso su grosse etichette “finto-indipendenti”. Certo non ho la sfera di cristallo e non riesco a vedere il futuro, ma ora sono molto più attento a quello che faccio uscire (anche perché essendo da solo a gestire il tutto, non devo mediare con nessuno…).
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
Certo, l’etica è quella di base del DIY. Essere fuori dal circuito ufficiale, non avere a che fare con la SIAE, cercare di costruire un circuito assolutamente indipendente rispetto a quello ufficiale, rovesciare questo sistema (e non parlo solo di quello musicale). La politica è sempre stata parte integrante del progetto stesso. Queste erano le cosiddette idee base in passato, oggi tutto è più sfumato e non è così nitido come un decennio fa, ma cerco di restare coerente con quelli che erano i presupposti iniziali. Anche perché chiunque oggi si può autoprodurre un disco (se nessuno è interessato a farlo uscire). La tecnologia odierna ti permette di fare tutto in casa dalla registrazione alla stampa. Basta avere un computer un paio di microfoni “et voilà” il gioco della registrazione è fatto (e se sei in gamba riesci a avere anche dei buoni suoni), poi un masterizzatore e ti stampi tutte le copie che vuoi. Ma questa è solo una risposta superficiale; i gruppi, oggi, autoproducono “per sfiga” (anche qualcuno del passato…), cioè nessuna etichetta è interessata alla loro musica e quindi uno si fa il dischetto in casa, ma questa non è autoproduzione, cioè alla base non ci sono i presupposti politici, di scelta ed attitudine. È solo un modo per dire ho fatto un disco.
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
La mia risposta è nella domanda precedente, ci sono molti modi e motivi, ma non tutti rispondono a quello che secondo me un’etichetta DIY dovrebbe realmente essere. Gli Shock Treatment crearono Rumble Fish nel ’93, su mia spinta ed iniziativa, perché alla base di tutto c’era un approccio alla materia musicale che non era solo musicale appunto. E quindi restare fuori dal circuito ufficiale, essere sempre e comunque detentori della facoltà di scegliere il come, dove, quando, perché e con chi fare le cose era la priorità (sia se si sta parlando di dischi, che di concerti, che di questioni generali legate al gruppo come: promozione, interviste etc.).
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
In questi anni, ci sono state molte situazioni in cui si abusava della parola “scena”, molte volte si è parlato o creduto che la scena esistesse davvero. In realtà io non ho mai creduto che una scena italiana sia esistita realmente, chi ha attraversato gli ultimi 15 anni come me, sa cosa voglio dire. La scena in realtà molte volte era costituita da ragazzini, che alla fine dell’università sarebbero finiti a fare i dottori, gli architetti e gli avvocati come mamma chiedeva, quindi tutto implodeva in se stesso. Poi dopo un po’ ne veniva fuori un’altra… In verità le persone coscienziosamente impegnate nel progetto DIY italiano erano (oggi sono ancora meno) poche. Ed alla fine si creavano rapporti di reale collaborazione solo con chi capivi che era realmente preso dalla cosa come te. Veramente pochi…
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Certo, internet è un mezzo eccezionale. Ma dipende come tutto del resto da chi lo usa e dal perché lo sta facendo.
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Un’evoluzione di quelle che erano le fanzine, non ne conosco molte (anzi pochissime). Non saprei cosa dire…
12- Delle messageboard?
Non le uso…
13- Dei blog?
Uguale…
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
No. In altre parti d’Europa, penso soprattutto alla Germania, le persone coinvolte sono ed erano molto realisticamente interessate allo sviluppo del progetto DIY. Nel senso che la gente ha fatto delle scelte di vita che poi non differiscono molto da quello che è il discorso legato alla vicenda musicale e quindi tutto è molto più solido. Conosco la situazione europea, anche perché con il gruppo abbiamo suonato più di 250 concerti all’estero e quindi…
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Io non ritengo che nessuno debba fare le mie scelte, ognuno fa quello che ritiene giusto per se e per la sua band. Certo che le mie opinioni cambiano rispetto alle scelte che uno fa, ma non in maniera pregiudiziale; cioè un ex-gruppo DIY ora su finto-indipendente, potrebbe interessarmi musicalmente, ma sicuramente non mi interessa più riguardo ai discorsi su cambiare e rovesciare la situazione del nostro asfittico panorama musicale.
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Avrebbero potuto avere una forza devastante, ma in realtà la maggior parte di loro si è fermata metà dell’opera. Gli unici che hanno continuato a fare dei discorsi interessanti sono stati El Paso a Torino più qualche altra piccola realtà (dispersa negli anni e sul territorio nazionale). I centri sociali avrebbero potuto avere un forza devastante dicevo, pensa… Al periodo del rap italiano nato e svezzato nei centri sociali con parole d’ordine simili quelle che hanno creato noi e Rumble Fish, e dimmi ora dove sono finiti: gli Assalti Frontali, 99 Posse ed i loro membri. Certo la forza che quel movimento ebbe poteva essere usata in maniera diversa, ma ognuno fa le sue scelte…
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Ormai credo che non ne esistano più. Alcune erano molto interessanti, altre come in tutto il resto erano solo dei cloni. Hanno fatto da spalla a quello che era tutto il movimento.
18- Opinioni e osservazioni….
Come noterai, le mie risposte sono tutte (o la maggior parte) con dei verbi al passato, certo la situazione oggi è veramente moribonda… secondo me. E comunque la mia esperienza è stata anche una grande delusione nel vedere alcuni sogni realizzarsi (o sembrare tali…) e poi smaterializzarsi altrettanto velocemente. Oggi come ti dicevo nell’altra e-mail quello che penso del DIY italiano è facilmente, brutalmente ed ironicamente spiegato sul mio sto: www.rumblefishdiy.org (alla pagina: parole). Non so se queste cose scritte ti serviranno a fare un buon lavoro. Certo non è facile spiegare con quattro fogli quello che è stato (e continua ad essere) per me il DIY. Semplicemente 15 anni di vita vissuta intensamente e… realmente.
- credete veramente che ci sia ancora qualcosa da fare? cosa?
- credete veramente che ci sia ancora qualcosa da dire? cosa?
- volete ancora continuare a prendervi in giro con le "scene" ed altre cazzate simili? ...fino a quando?
- stiamo parlando di d.i.y. come pratica politica e scelta di vita... oppure solo di un sistema "a basso costo" per inquinare questo pianeta con altro vinile e dischetti laser?
- le parole, gli scritti, i proclami, i suoni... nei dischi che producete e/o ascoltate sono corrispondenti alle vostre scelte nella vita di tutti i giorni?
- quanti giorni dovete lavorare per il vostro capo per poter far uscire il vostro nuovo 7"? o per acquistarne uno?
- quanti dischi riuscite a distribuire (mediamente) in un mese? quanti dischi acquistate (mediamente) in un mese?
- perchè produrre ancora dischi, di cui nessuno o quasi si interessa?
- domani mattina che fate?
- a che ora siete costretti ad alzarvi?
- quanti dischi dovete vendere per pagare l'affitto di casa? o a quanti dovete rinunciare?
- il vostro padrone di casa accetterebbe un tot dei vostri 7" per saldare l'affitto di un mese? e se si, quanti?
- qual'è stato l'ultimo disco che vi ha realmente entusiasmato?
- quanti concerti fa la vostra band (mediamente) in un mese? a quanti concerti assistete (mediamente) in un mese?
- qual'è il miglior gruppo live che avete visto/sentito nell'ultimo anno?
- ed il miglior disco?
- qual'è l'ultimo disco che avete acquistato?
- l'ultimo che vi siete masterizzati/registrati?
- e l'ultimo che avete ascoltato?
- che cos'è il d.i.y.? e l'anarchia? e l'autogestione?
- le vostre risposte sono corrispondenti alle vostre scelte di vita?
- a quando la rivoluzione? la disillusione, la stanchezza, le delusioni, i troppi anni in giro a chiedersi ed a cercare il perchè, incontrando molta gente finta (e di "passaggio") e poche persone in gamba. provocare, distruggere, ...il caos. ricominciare a chiedersi il perchè. un po' di domande, solo domande, nessuna risposta. perchè le domande sono più importanti delle risposte.
1- Da quanto tempo esiste il progetto Salterò in cui sei coinvolto?
Non da moltissimo tempo, un paio d’anni circa. Prima ho sempre cercato di aiutare la diffusione di materiale autoprodotto acquistandolo o scambiandolo per una piccola distribuzione nella mia città.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Diciamo che gestisco da solo questo progettino, anche se le altre persone con cui vivo e condivido l’esperienza Affranti (la mia band) sono sempre disponibili a darmi una mano. Io ho 32 anni, ed una “bella” laurea in ingegneria elettronica.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
Nessuna consistenza economica, nessuno spazio per ragionamenti di tipo economico in questo progetto. Mi interessa far girare i dischi che aiuto a produrre, senza dovermi preoccupare troppo di rientrare nelle spese. Il mio lavoro mi permette di vivere la mia etichettina, e la musica in genere, come pura passione.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Faccio prima a scriverti cosa ho aiutato a produrre in questo paio d’anni:
CD Spacciatori di musica stupefacente – Dove ti sei perso?, CD Gusci di lumaca – omonimo, CD Il teatro delle ombre – Ti ricordi?, CD Big Shave – Just flip the page, 7” Isobel, 7” Sumo / Ed, CD CGB – I giorni della merla (uscita imminente), CD L’abile – (uscita imminente). Penso di essermi ricordato tutto…
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Ritengo la coproduzione un modo interessante ed intelligente per mettere in movimento idee, musica, parole. Secondo me ne assicura visibilità e distribuzione in luoghi altrimenti difficilmente raggiungibili. Creare un tessuto di contatti e di scambio annulla le distanze. Gestire un’etichetta discografica e’ invece una cosa che non mi interessa affatto. Il cd dei Gusci di lumaca e’ uscito con il solo marchio Salterò, ma ho contribuito alla realizzazione del disco esattamente come a quella degli altri succitati.
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Con la Salterò voglio aiutare gruppi o persone che credono nell’autoproduzione e che scelgono radicalmente e consapevolmente questo percorso per le loro forme espressive. Rimanendo distaccato da qualunque forma di profitto e di diritto d’autore.
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
Non mi interessa legare il nome Salterò a materiale protetto da copyright o diffuso attraverso grosse distribuzioni. Inoltre, il mio contributo all’uscita di un lavoro deve nascere da un rapporto forte con chi lo produce. Alla base di tutto il materiale che ho aiutato ad uscire, vi e’ sicuramente il legame che mi unisce agli individui, nato dalla condivisione di situazioni comuni, pensieri, parole. Non mi interessa produrre un genere musicale particolare, anche se sono anni che mi muovo prevalentemente in un circuito legato al punk e all’hardcore.
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Nel mio caso la motivazione trainante e’ stata quella di aiutare quei gruppi incontrati su qualche piccolo palco in giro per l’Italia, con i quali il primo contatto e’ diventato un vero e proprio rapporto di scambio. Riuscire a costruire qualcosa insieme e’ un modo per rendere un legame ancora più profondo.
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
Non so cosa rispondere a questa domanda, non capisco bene cosa intendi. Il termine “indipendente” ha confini sempre più ampi. “Indipendente da chi, e da che cosa?”, mi chiedo spesso quando ascolto o leggo su quest’argomento. I gruppi che decidono di autoprodursi e di aiutare altri gruppi a farlo sono molti, secondo me. Le possibilità di suonare in giro si basano moltissimo sul contatto umano, così come la distribuzione dei dischi. Questo può far pensare ad una scena, o meglio, ad una sorta di comunità in continuo divenire.
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Credo che internet rappresenti un modo piuttosto immediato, economico ed efficace per diffondere informazioni e materiale. Ritengo sia un utile strumento di comunicazione, anche se a volte può risultare un po’ freddo. Poi c’e’ tutto il discorso su quanto possa o non possa essere uno strumento libero e non controllato, discorso che, in questo contesto, non mi sembra il caso di affrontare rigorosamente. Trovo molto interessanti le iniziative ed i servizi che offrono provider come Autistici e Inventati, che mirano ad aumentare la consapevolezza sull’uso di questi mezzi.
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Premettendo che non sono un assiduo navigatore del web, l’idea che mi sono fatto delle webzine punk a cui mi sono collegato non e’ molto positiva. Mi sembrano, innanzi tutto, molto simili l’una all’altra, sia per quanto riguarda l’aspetto, sia per quanto riguarda i contenuti, e questo rappresenta un paradosso se si pensa alle webzine come strumenti espressivi singolari e personali. Poi, traboccano di banner che pubblicizzano o i grandi eventi pseudo-indipendenti con ultra sponsorizzazioni, o l’uscita del nuovo disco del gruppo americano di circostanza. Ci sono le eccezioni, sicuramente: mi vengono in mente, per esempio, www.punk4free.org e www.lamette.it, che riescono a distinguersi dalle altre, mantenendo un approccio verso la musica e tutto ciò che ruota intorno ad essa distante da quello di una rivista qualunque che puoi sfogliare in edicola.
12- Delle messageboard?
Non ho elementi per formulare un’opinione.
13- Dei blog?
Non ho elementi per formulare un’opinione.
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
Non so rispondere a questo quesito.
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Ritengo che ognuno possa muoversi come vuole, o come riesce. Non credo nella fedeltà ad una scena o ad un circuito, ma credo nella fedeltà alle proprie idee, alla coerenza. Ritengo che non si possano scindere il punk e l’hardcore dall’autoproduzione, nonostante queste parole siano state ampiamente “spettacolarizzate”, e quindi decontestualizzate, dai media, perché non credo che possano essere considerati semplici generi musicali.
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Hanno avuto e hanno una funzione importantissima. Sarebbe molto complicato il tentativo di approfondire l’argomento, viste le notevoli differenze che intercorrono fra questi spazi che vengono raggruppati sotto l’etichetta di “centro sociale”. In molti di essi ritengo che l’autogestione e l’autoproduzione rappresentino il fondamento su cui poggiare la gran parte delle iniziative.
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Continuo a procurarmi fanzines ogni qualvolta me ne capiti l’occasione. Trovo che le realizzazioni su carta riescano a mantenere quell’urgenza espressiva che non ho trovato sul web.
1- Da quanto tempo esiste il progetto Shove in cui sei coinvolto?
Shove è nata prima come fanzine, scritta da Andrea Valentini (classe 1970), da lì è diventata anche distribuzione e poi etichetta. Per fare un po’ di date: nel 1992 mi pare nasca Shove come fanzine, e diventa subito dopo anche una distribuzione, e nei primi tre anni più o meno e portata avanti solo da Andrea Valentini (chitarrista nei Point Of View). Nel 1995 Shove diventa pure un’etichetta coproducendo una compilation DO IT YOURSELF con Eversor, Point Of View, Fichissimi, This Side Up e Nia Punx, e diciamo che è gestita da Andrea Valentini, Fulvio Dogliotti (classe 1969) e Manuel Piacenza (classe 1972). Quindi è da una decina d’anni che porto avanti l’etichetta.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Al momento sono da solo, mi da una mano un mio amico che mi fa il sito internet (Guido Bisagni, classe 1978).
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
Io lavoro in piscina, cioè faccio l’allenatore di una squadra di nuoto, e faccio l’istruttore per i bambini e per gli adulti. E nel poco tempo libero mi occupo dell’etichetta e del mailorder. Ovviamente non ho una consistenza economica per dedicarmi solo a questo.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Nell’ultimo anno, cioè, da giugno 2004 a giugno 2005 parecchie… Nel senso che in questo anno ne sono uscite sei, anche se sono state quasi tutte coproduzioni. Diciamo che da quando gestisco l’etichetta da solo più o meno la media è di due all’anno, però faccio fatica ad essere preciso.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Come ti ho appena accennato partecipo anche a coproduzioni, perché primo per una questione economica, secondo perché le persone con cui collaboro sono amici che dividono con te la stessa passione, terzo perché sicuramente è più facile far girare le copie.
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Penso di poter ritenere la mia etichetta do it yourself, anche perché la porto avanti da solo..... Infatti mi occupo di tutto, l'unico aiuto esterno è di un mio amico che mi aggiorna il sito e si occupa di farmi i flyer, cioè mi da una mano sulle cose grafiche.
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
L'etichetta è nata dalla voglia di tre amici di fare qualcosa nel mondo/ambito in cui si muovevano, all'epoca Andrea e Fulvio suonavano nei Point Of View, Andrea si occupava della fanzine e io portavo avanti il mailorder.
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Dal mio punto di vista l'etichetta è nata come proseguimento di quello che stavo facendo ad inizio anni novanta, cioè, mi occupavo della distribuzione di un centro sociale, ma quando Andrea e Fulvio mi proposero di unirmi a loro e di portare avanti un'etichetta.... Tutto nasce dalla voglia di esserci, di non essere stato solo presente ma in maniera passiva, nasce dalla voglia di aiutare degli amici nel produrre e far girare i dischi, dalla voglia di conoscere nuove persone.
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
In un certo modo sì, ci sono e ci sono state parecchie realtà indipendenti in Italia.
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Assolutamente sì, non so se questo sia un bene o un male, ma internet favorisce molto.
11- Cosa ne pensi delle webzine?
A volte le preferisco alla carta stampata sono più immediate, anche se a volte chi le mette su è solo per raccattare dischi promozionali a destra e sinistra.
12- Delle messageboard?
Mi diverto molto a leggerle....
13- Dei blog?
Non li leggo quasi mai, non so darti un giudizio in merito, diciamo che mi interessano poco…
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
Direi di no, ci sono nazioni dove hanno meno problemi, c'è una diversa cultura…
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Anni fa ero molto più intransigente... Nel senso che non concepivo che un gruppo cercasse di uscire da un certo ambito; ora sono molto più aperto e mi fa molto piacere quando ci sono gruppi che in un certo modo sbocciano al di fuori del circuito underground.
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Non so fino a che punto abbiano avuto un 'influenza nella diffusione del DIY, anche perché a volte i centri sociali fanno suonare gruppi senza dargli un minimo di rimborso....
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Sicuramente hanno aiutato molto, facendo girare informazioni, messaggi, idee e molto altro: trovo che le fanzine siano state il traino migliore per il DIY in Italia….
1- Da quanto tempo esiste il progetto Smartz in cui sei coinvolto?
Dal 1995. E’ nata come fanzine, cartacea, ma si è trasformata ben presto in “etichetta”, per autoprodurre i dischi delle bands in cui suonavo e di quelle di amici vari. Poi nel corso degli anni la fanzine è defunta, ed è rimasta solo più l’etichetta.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Sono solo. Maschio 28enne. Dottore in scienze della comunicazione.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
La label non ha assolutamente una consistenza economica. I prezzi di vendita sono bassissimi: il più basso possibile. Giusto da potermi permettere di rientrare nelle spese ed andare avanti con qualche altra coproduzione. Per “spese” intendo ovviamente solo le spese dell’etichetta. Le mie spese personali vengono invece risanate da tutt’altri lavori.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Non c’è un numero prefissato. Essendo una cosa che porto avanti per pura passione faccio uscire un disco quando ne ho l’opportunità, ovvero tempo da dedicarci, qualche soldo da metterci, ed ovviamente un gruppo con cui condivido qualcosa, non solo musicalmente ma anche e soprattutto “eticamente”. In linea di massima, comunque, direi 3-4 uscite all’anno. Anche se nel 2005 siamo già a 6 uscite, e siamo appena a maggio.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Tutte coproduzioni. Perché girano meglio e più in fretta. Da soli è difficile fare un buon lavoro di promozione e distribuzione. Più gente c’è e più il disco gira.
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Direi che è completamente do it yourself. Anche le altre label con cui collaboro nella coproduzione dei dischi sono tutte bene o male DIY. Poi è ovvio che bisogna appoggiarsi ad altri canali, soprattutto per la promozione. Ovvero si spedisce il disco a fanzines e riviste anche più istituzionali (vedi Rumore, Blow Up etc). ma non ci si appoggia a qualche agenzia di stampa, né tanto meno a canali di distribuzione ufficiali. Tutti i dischi vengono venduti esclusivamente tramite il sito e i banchetti ai concerti.
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
Probabilmente sì, ma è sempre, semplicemente, quella del do it yourself. Ci piace fare la cose da noi, per pura e semplice passione.
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Boh? Credo sia semplicemente la voglia di fare qualcosa, di sentirsi attivi. C’è chi gioca a pallone e chi colleziona francobolli. Chi scrive recensioni perché gli piace parlare di musica e chi fa un’etichetta perché gli piace proporla.
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
Secondo me c’è un gran fermento di gruppi nel sottobosco. E un gran fermento di persone che ci bazzicano intorno... Scena, cosa vuol dire “scena”? Se la intendiamo come gente che collabora per una passione comune (la musica, nel nostro caso) direi di sì. Per fortuna c’è gente e ci sono posti che organizzano serate esclusivamente per il piacere di proporre un certo tipo di “cultura”. Ok, sarà anche solo una piccolissima parte dell’universo musicale. Ma c’è qualcuno che lo fa, e lo spirito, come puoi immaginare, è ben diverso da chi fa queste cose per “professione”, ovvero quei signori cui non frega niente di quello che proponi. Quel che interessa a questi signori è solo trarre del profitto dal tuo lavoro. O, peggio ancora, dalla tua passione. Sono solo dei piccoli imprenditori, seguono i trend del momento, e devono venderti delle proposte. Non è detto che siano quelle migliori.
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Indubbiamente sì. Internet è un mezzo di diffusione culturale enorme. Accessibile a sempre più persone. E per il momento sembra ancora abbastanza “libero”: speriamo solo che continui ad esserlo!
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Nascono con la stessa passione per cui nasce una label come Smartz. Sono delle alternative alle riviste specializzate, e sta a loro farsi strada. Se possibile raccontando la verità, e non solo quello per cui sono pagate (mi riferisco ad un episodio ben preciso: io non sono un gran estimatore delle riviste patinate da edicola. Ma un paio d’anni fa – aprile 2003 se non erro- ho deciso di comprarmi lo stesso mese Rumore, Rockerilla e Blow Up. E’ stato disgustoso constatare che tutte e tre le testate osannavano, in copertina e con grossi articoloni al loro interno, i White Stripes. Che schifo. Non i White Stripes, ma il mercato discografico e tutto ciò che ne deriva...)
12- Delle messageboard?
Sono dei punti di ritrovo, i bar della “scena”. Peccato non abbiano la birra e un calcetto.
13- E dei blog?
Quelli musicali: sono praticamente delle piccole webzine, ma ancora più DIY. Nel senso che parlano proprio solo di ciò che gli pare. In generale: è esploso un vero e proprio fenomeno del blogging. Credo che la gente sia un po’ depressa: in fondo l’uomo è un animale sociale, vuole comunicare e discutere. E tramite i blog può farlo in un modo tutto nuovo, può mettersi in mostra e allo stesso tempo nascondersi.
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
Non conosco bene tutto quel che accade in giro per l’Europa. sarebbe impossibile. Ma in linea di massima mi sembra che per certi aspetti siamo molto indietro. E non solo per colpa di chi la “scena” la fa. Un solo esempio: i Children Of Fall, band hardcore svedese di passaggio qualche tempo fa in Italia (e spesso e volentieri in tour), raccontavano di potersi permettere di girare così tanto perché lo stato svedese riconosceva loro delle sovvenzioni. Perché facevano “cultura”, e la esportavano fuori dal loro paese... Ecco, cose del genere da noi sono impensabili. Dunque: o le cose le fai con passione (e resti lì dove sei, nel senso che sarà sempre e solo una passione, non ti darà mai da mangiare e quindi farai altre cose per poter campare, e quindi sarai sempre limitato perché non avrei tempo da dedicare a quello in cui credi veramente), oppure fai dei compromessi, e rischi di finire in quell’altra categoria di persone che dicevo prima...
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Io penso che ognuno sia libero di fare come gli pare. Non sono un integralista del DIY. Il fatto che Smartz sia un’etichetta DIY non vuol dire che tutte dovrebbero essere così. Sai che noia poi, non avresti neanche più materiale per la tua tesi!
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
La maggior parte dei centri sociali (e degli squat) rientrano perfettamente in quella categoria di posti che fanno delle cose (concerti, dibattiti, iniziative) mirate a diffondere un certo tipo di cultura e certi tipi di discorsi... Discorsi che spesso sono completamente slegati da un ottica di business. Quindi penso abbiano avuto, ed abbiano tuttora, un’importanza fondamentale per il DIY.
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Erano e resteranno sempre le migliori. Leggere a video fa male agli occhi. E poi nessuno ha il computer vicino alla tazza del water.
1- Da quanto tempo esiste il progetto Snowdonia Records in cui sei coinvolta?
Snowdonia è nata come fanzine cartacea e tape-label ed esiste fin dai primi anni ‘80. Ci siamo imbattuti in Marco Pustianaz (il bislacco poeta che ha dato l’avvio a tutto questo) tanti anni fa, l’occasione fu l’invio di un demo del mio gruppo e tra una lode e una critica fu pubblicata la nostra prima cassetta e diventammo amici. Ci trovavamo nella sua casa di Torino quando ci comunicò che aveva intenzione di uccidere Snowdonia. Io e Alberto eravamo allettati dall’idea di ricevere un mucchio di cassette e poi pubblicare su cd quelle che ci piacevano davvero. Fu così che l’etichetta si trasferì dal Piemonte alla Sicilia, era il 1997.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei sola o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Si tratta di una faccenda puramente sentimentale, dolcemente disastrosa dal punto di vista pecuniario. Io e Alberto (33 anni, maturità scientifica e un inopinato ritiro dagli studi a 3 esami dalla laurea in lettere) ce ne occupiamo insieme da sempre in qualità di grafici, direttori artistici, web designer, pubblicitari, becchini e demiurghi. Ho 32 anni e una maturità classica conseguita presso il più snob e classista dei licei messinesi, il Maurolico. Mi vanto spesso del fatto che un mio compagno di allora oggi è il presidente del Messina calcio. Credo di essere rimasta l’unica di quella nidiata di figli di papà a dedicarmi ad arti economicamente improduttive. Sarà perché mio padre faceva l’operaio alla SIP?
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
Snowdonia è una piccola vampira assetata di sangue. Io lavoro come grafica e tutti i soldi del mio miserabile stipendio finiscono in questo amato pozzo (senza fondo).
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Nel 2002 ne sono usciti 4, come nel 2004, nel 2005 ne usciranno 8 e nel 2001 ne abbiamo pubblicati 9...E così via. Non pretenderai che una donna con in mano un diploma squisitamente umanistico si metta a fare la media, vero?
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Le coproduzioni sono una grazia di dio che viene dritta dal cielo. Mi piace moltissimo conoscere nuove persone, allargare il giro, espandere gli orizzonti, dividere le spese (come vedi c’è una mescolanza affascinante di nobili motivazioni e meschine necessità).
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Lungi da me giudicare le etiche altrui, non mi sono mai occupata di morale (ci sono i preti, gli anarchici, i filosofi e i critici musicali per questo). A me interessa semplicemente dare voce a chi penso meriti di poter parlare al prossimo attraverso la musica. Il fai da te non è affatto una questione etica per quanto mi riguarda, è, banalmente, una necessità. Mi sono ritrovata a fare le cose da sola, ma se avessi tanti soldi mi piacerebbe lavorare insieme ad altre persone, magari affittare un locale e riempirlo di freakkettoni creativi, nerd indipendenti, belle ragazze e bei ragazzi. Non rifiuterei un contratto di distribuzione Sony, anche se so benissimo che alla Sony l’arte interessa quanto interessano le donne ad un omosessuale incallito. So per certo che non rinuncerei mai alla mia libertà, se un grosso capitalista mangione mi permettesse di fare quello che voglio lo sfrutterei (esattamente come lui sfrutta in maniera criminale le risorse umane e naturali).
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
La libertà espressiva, la voglia di vivere e il piacere di comunicare.
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Un’etichetta indipendente dovrebbe nascere perché in un sistema capitalistico avanzato (e agonizzante) ci sono degli individui che, incidentalmente, in maniera del tutto patetica, trovano increscioso che si debba mettere una canzone (e quindi un pezzo di vita) su un cellulare che trilla per non dirsi nulla. Io trovo pazzesco il fatto che mia cugina diciottenne ascolti i Blue (i Modern Talking erano più carini).
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
Tutto dipende da cosa si vuol essere indipendenti. Io apprezzo chi è indipendente da se stesso e dal suo mondo. Il 90% di chi si definisce indipendente è di fatto prigioniero e affetto da quella orrenda malattia sociale che chiamiamo desiderio di appartenenza. Ci si annusa, ci si sceglie, ci si lamenta. Esiste solo una forma di indipendenza reale, quella che non ti confina in nessun territorio facilmente identificabile. E’ libero chi oppone il rumore alla melodia come se stesse portando avanti chissà quale guerra? Poi ci sono gli emergenti (mio dio), quelli che si dichiarano indipendenti solo perché sperano da un momento all’altro di fare il botto. Un tipico indipendente italiano si limita a disegnare la sua estetica ribaltando (e quindi imitando) quello che lui ritiene deteriore. Gwen Stefani fa certe cose e ha successo? Beh, io faccio il contrario, perché sono intelligente, colto, affascinante, bello dentro e fuori. Esistono esseri umani che credono fermamente che piantarsi dell’acciaio in fronte o pubblicare musica deprimente li renda liberi. Snowdonia risponde: viva i Sonic Youth e viva Renato Rascel.
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Internet può aiutare le persone come me a trovare un mucchio di informazioni interessanti. Tramite internet posso conoscere un’etichetta giapponese o turca affine a Snowdonia. Per il resto è tutta una stucchevole bufala.
11- Cosa ne pensi delle webzine?
E’ come dire: cosa ne pensi del cinema? Del cinema non penso nulla, però ritengo che determinati film o certi registi siano fantastici. Devo dire che le webzine sono molto spesso superiori alla qualità dei loro lettori (basta dare un’occhiata ai forum). In Italia ce ne sono di buonissime, ad esempio www.sentireascoltare.com ha una marcia in più, approfondisce parecchio, è molto seria e completa, così come lo è www.musicboom.it e parecchie altre. Alcune fanno pena ed eviterò di nominarle.
12- Delle messageboard?
Non so cosa siano, scusa l’ignoranza.
13- Dei blog?
E’ una delle follie del momento storico nel quale viviamo. L’etica più forte di oggi recita che chiunque si può sentire libero di condividere con tutti il suo pensiero, chiunque può andare a mescolare Bowie con Carletto “il principe dei mostri” e vantarsene con gli amici. E’ facilissimo registrare il proprio cd con la scheda del computer ed è ancor più semplice metterlo in rete. Bellissimo, entusiasmante, fantastico... Peccato che su 1000 blogger, 990 siano dei noiosi, insopportabili, cretini, narcisisti e che gli artisti che meriterebbero di pubblicare qualcosa siano appena l’1% di tutti quelli che lo fanno. Viviamo la parodia della democrazia.
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
Non oso lanciarmi in una simile analisi senza avere una profonda conoscenza di altre realtà territoriali. Chiunque ti direbbe che le cose all’estero vanno meglio, io non lo so.
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Assolutamente no. In realtà non lo pensano neppure quelli che lo dicono, il fatto è che se uno ha un po’ di successo gli altri rosicano, tutto qua. Io credo che una major possa offrirti l’occasione di lavorare con più serenità, tranquillità, offrirti studi migliori, l’occasione di fare tanti concerti ecc... Una major ti prende perché pensa di poter fare i soldi e per fare soldi ti mette in mano degli strumenti che puoi sfruttare per migliorare la tua arte. Poi ovviamente ci sono le prostitute, individui poveri di spirito e senza alcun talento che prendono l’occasione al volo per dare libero sfogo ad un preesistente squallore mentale. Bugo è passato da Snowdonia, Wallace e Bar la muerte alla Universal e il nuovo cd è di gran lunga il suo lavoro migliore, ecco un ottimo modo per sfruttare una major. Vista la qualità umana della persona non credo che cambierà se stesso per dare modo a qualche azionista ignorante di comprarsi la quarta Jaguar. E’ una guerra, bisogna stare all’erta ma, se ne hai occasione, vale la pena combatterla. Sono situazioni per uomini duri.
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Beh, io ho conosciuto Snowdonia comprando un LP dei DsorDNE in un centro sociale. C’è anche da dire che il tizio che me lo ha venduto mi ha detto: non prenderlo, è una schifezza, comprati i Kina. Mi è capitato troppo spesso di conoscere frequentatori di centri sociali fin troppo schiavi di se stessi per i miei gusti. Quelli che il punk è figo perché ci somiglia e quello lì è una schifezza commerciale. Probabilmente sono troppo anarchica per questo genere di conservatori moralisti.
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Dolcissime, mi piacciono tutte, anche le più brutte, hanno un fascino particolare. L’altro giorno ho ricevuto una copia di “Beautiful Freaks” e non nascondo di essermi commossa.
1- Da quanto tempo esiste il progetto SOA in cui sei coinvolto?
Come fanzine punk-hardcore e tracce di metal al suo esordio dal 1989, mentre l’etichetta vera e propria ha avuto inizio nel 1992.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Sono solo io da sempre. Mi hanno aiutati un buon numero di personaggi vari ed assortiti. All’inizio il co-redattore di SOA fanzine mi aiutava per tutte le questioni di computer (laurea in Italiano). Attualmente l’unico collaboratore è un altro Paolo (30 anni, diploma qualche cosa, grafico che si occupa di animazione, il catone animato “L’apetta Giulia”, etc…) che si occupa del sito e delle grafiche dei dischi, questioni che ho sempre evitato come la peste. (Io: 33 anni, Maschio, diploma scientifico)
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
Da sempre ho fatto solo questo; attualmente una volta settimana aiuto mio suocero non ufficiale in un lavoro di manutenzione in una fabbrica, non per bisogno di soldi ma per poter dire di saper fare anche qualcos’altro. Il fatto che campo di sola etichetta non ha di per se una grande valenza di mercato, in quanto 12 anni fa mi è stato omaggiato da mia madre una mini appartamento a Roma; non dover pagare per vivere da qualche parte ha sviluppato in me teorie sul lavorare poco, campare di poco, consumare molto poco, investire tutto ciò che entra in nuove produzioni.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Solitamente sulle 7-8.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Portano il marchio della mia etichetta o dell’Oi! Strike, altra mia etichetta, ma dai contenuti vagamente diversi dalla principale. Non preferisco lavorare nel campo delle coproduzione perché comunque il giro dei nostri “prodotti” è già piccolo. Se c’è già qualcuno che li ha altrove sarà più difficile piazzarli in giro, scambiarli; figurati quando sono in 12 a fare un disco.
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Venendo dagli anni ‘80 e dall’ambiente punk-hardcore, sì la SOA è decisamente un progetto DIY in tutto e per tutto. Poi non so se tutti i gruppi circolati da queste parti lo possano condividere. Penso di sì in linea di massima, in quanto che tutti proponevano comunque sonorità abbastanza estreme da non avere chissà quale aspirazione di sfondare nel music business.
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
Niente di scritto e comunque ognuno rielabora come meglio crede e soprattutto come fa più comodo.
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Perché se parliamo di hardcore-punk in Italia o così o niente, c’è poca altra strada percorribile. Quando ho iniziato io, in assoluto questa era l’unica, forse adesso c’è un livello superiore. Qualcosa sempre indie ma che magari viene distribuito da circuiti più grossi; perché comunque se il grosso music business doveva campare solo di Minghi e Mietta le cose si sarebbero messe male davvero…
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
Non so, è un discorso che non è che mi interessi granché perché questa nostra è l’unica realtà possibile quando si parla di hardcore-punk-oi!-grind. Non ho mai pensato che la roba possa essere distribuita dai dischi Ricordi, o che chiamino a suonare i gruppi della mia etichetta al Festivalbar.
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Mah, è d’aiuto a chi magari aveva problemi geografici insolubili, per il resto non so, secondo me ha appiattito un po’ tutto quanto; quando hai l’hard disc intasato di dischi scaricati che non sentirai mai non credo che si sia risolto molto. Quando hai postato anonimamente le tue scemenze sulle messageboard di tale webzine o gruppo non hai risolto nulla. Tutto quello che c’è oggi, domani è sorpassato, è un mondo non a caso virtuale…
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Non so, sono abituato a leggere le cose su carta e trovo il monitor fastidioso, il suo linguaggio troppo veloce e poco colorito.
12- Delle messageboard?
La più grande perdita di tempo di internet.
13- Dei blog?
Ne curo uno, ma ne leggo pochi francamente. Non credo svolgano particolari funzioni musicali… A parte il fatto che potrebbero, alla stregua delle fanzine dell’epoca, aver abbattuto un po’ quell’aurea mitica dello scrittore musicale, unico a decidere le sorti dei gruppi e correnti musicali.
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
L’Italia è come solitamente accade per queste cose lenta. Anzi letargica. L’unico guizzo di indipendenza e originalità partito dall’Italia è stata una certa corrente punk hardcore politico dei primi anni ‘80, il resto poca roba. La gioventù italica ha interessi diversi rispetto all’Europa è più “cialtrona”, un po’ retrò se vuoi.
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Domanda generica. Io rispondo sullo specifico e quindi ti dico di sì. Nel mio ambiente, comunque l’indipendenza è l’unica pratica possibile, quindi “no sell out”, tanto per parlare con gli slogan. E guardo con sospetto anche tutti gli indipendenti che fanno tre tour l’anno e vendono le magliette a 20 euro; non devi per forza stare in classifica di TV Sorrisi e Canzoni per essere un puzzone…
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Enorme al suo inizio. Poi non c’è stato più impulso. Buona fetta della musica dal vivo “grossa” passa anche per i centri sociali autogestiti ora, sono dinamiche che non condivido e non capisco perché il gruppo tal dei tali suoni oggi a 5 euro al mega centro sociale nel centro di Roma e dopo un mese a 15 nel “Pala Vattelappesca”. Non lo capisco né dalla parte del gruppo né da quella del centro. Comunque…
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Memorabili.
1- Da quanto tempo esiste il progetto Sons Of Vesta in cui sei coinvolto?
Il progetto nasce nell’estate 2004 e vede la sua realizzazione concreta nell’aprile 2005 con la pubblicazione della compilation “Memento Mori”.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Due teste e quattro mani.. Per non elencare altre parti del corpo che possono essere indicative alle nostre persone, e soprattutto per non essere volgari, siamo entrambi di sesso maschile 18 e 20 anni; entrambi maturati.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
L’etichetta non è una fonte di guadagno, si tratta di uno strumento per valorizzare la musica detta “underground” e varie tematiche che ci stanno a cuore; entrambi stiamo continuando gli studi più alcuni lavoretti.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Come già detto l’etichetta è molto giovane; ma crediamo che alla fine del suo primo anno dovremmo riuscire a fare almeno 5 o 6 lavori.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Le coproduzioni sono secondo noi la cosa migliore per diverse motivazioni. In primis perché essendo coinvolte persone di diversi luoghi di provenienza ci sarà una migliore distribuzione del prodotto e in secondo luogo perché, come detto, non speculando sul prodotto l’avanzo nelle casse è davvero minimo; quindi cooperando con altre etichette arriviamo alle stesse finalità: un prodotto valido con il minimo impegno economico dando un maggiore coinvolgimento territoriale. Anche se non nascondo che sarebbe davvero molto bello se riuscissimo a trovare un gruppo sconosciuto e produrlo noi soltanto di modo che possiamo migliorare insieme con il feeling che è degno di queste collaborazioni.
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Per chi conosce la compilation “Memento Mori” la risposta sembra scontata. Abbiamo fatto 500 copie creando artwork e registrando noi le bands locali. Inoltre stampe, timbri sui cd e applicazione delle bustine di plastica è stato il prodotto di molto tempo e delle nostre mani.
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
Possiamo dire che questa è un etichetta improntata specialmente sull’hardcore. Un tipo di musica che necessita di un significato per arrivare al suo compimento. È questo che ci piace musica e parole: messaggi introspettivi che vanno ad indagare sulla società e sul mondo che ci circonda. Ogni tematica trova il suo spazio. Siamo molto aperti alle discussioni.
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Io credo proprio che sia la necessità di un espressione più personale, senza mediatori o censure.
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
Credo sia opportuno differenziare bands che progettano questo tipo di impegno da altre che suonano solo per suonare. Quindi sì!!
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Certamente sì.
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Credo siano un ottimo strumento. Anche perché spesso non ci sono interessi dietro; vivono solo di passione e di voglia di confrontarsi, comunicare e informare. Allo stesso modo blog e messageboard.
12- Delle messageboard?
13- Dei blog?
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
Credo che in Italia si faccia più fatica. Nel senso che siamo una popolazione che spesso guarda troppo all’immagine invece che alla sostanza.
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Vedi è proprio qua che volevo andare a parare.. Quando una major o manager cercano di promuovere un lavoro, questo deve essere prettamente in simbiosi con le loro linee politiche e di pensiero. E questo in un certo senso uccide la musica e la comunicazione.
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
In passato credo che siano stato una tappa fondamentale, anche perché alcune cose erano davvero dei tabù!
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Hanno avuto la stessa funzione delle moderne webzine, con la difficoltà di una maggiore distribuzione!
18- Opinioni e osservazioni….
Sono necessari pochi mezzi per produrre in maniera ottima un disco, la cosa fondamentale non sono i soldi, bensì l’impegno! Non c’è differenza tra chi suona, chi ha una distribuzione o una fanzine, chi produce dischi, chi li ascolta e chi va solamente ad ascoltare un concerto. La passione, l’energia, il desiderio di cambiare le cose, dire di no o sorridere, sono la spinta giusta. Perché le cose possono cambiare: basta essere vivi!!
1- Da quanto tempo esiste il progetto Still Life in cui sei coinvolto?
La STILL LIFE nasce nel 2002.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
La label nasce dall’idea e dagli sforzi miei (Francesco) e di Luca:
Francesco: sesso maschile, diploma di grafico pubblicitario, attualmente universitario;
Luca: sesso maschile, diploma superiore alberghiero, attualmente lavoratore.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
La label almeno per ora è un’attività che non ci permette di sopravvivere. Studio e lavoro come grafico.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
4/5 uscite.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Preferiamo lavorare come STILL LIFE. La coproduzione per quanto valida dal punto di vista ideologico non permette di farsi notare. Ci piace avere una nostra personalità ben definita, determinata dalle uscite che facciamo e dallo “stile” del nostro lavoro; siano esse le grafiche di un cd, le bands o le location dei concerti. Inoltre gestire un gruppo in 10 o 20 persone diventa una cosa un po’ improbabile. Rimango comunque dell’idea che se non si dispone di sufficiente denaro per sobbarcarsi l’intera produzione la coproduzione resta un ottimo sistema. Spesso però dopo queste coproduzioni a 5 o più etichette le bands vengono lasciate sole. Probabilmente il fatto di contribuire con una piccola cifra di denaro permette di fregarsene maggiormente. Io quello che faccio lo faccio perché lo amo e non potrei vivere senza ma se spendo 3000 € per una band voglio vederne i frutti.
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
La definizione odierna di DIY? Dal mio punto di vista la STILL LIFE è 100% do it yourself. Seguiamo tutto,dalla scelta del gruppo ai distributori. Ci occupiamo della promozione e delle grafiche. Ci sentiamo tutti i giorni con le nostre bands che prima di ogni altra cosa sono amici. Probabilmente se fai la stessa domanda ad un’altra persona ti dirà che la Still Life è una semi-major solo perché abbiamo un sito serio e non facciamo le cose campate in aria. Purtroppo in Italia c’è ancora la concezione che fare le cose DIY voglia dire farle di scarsa qualità. Noi abbiamo avviato la label con l’obbiettivo di far vedere a queste persone che le cose si possono fare bene. Questa nostra visione dell’hardcore ci ha procurato parecchi problemi, soprattutto da parte dei più conservatori.
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
Pieno supporto alla scena hardcore con un occhio di riguardo per il movimento STRAIGHT EDGE e l’animalismo in generale. Io sono vegetariano e Luca è vegano. Abbiamo avuto la fortuna di collaborare anche con la EBLOOD CLOTHING per la realizzazione di un sampler cd con gruppi straight edge e animalisti, allegato ai capi di questa ottima casa di abbigliamento vegan. Inoltre alcune delle nostre bands sono coinvolte in movimenti animalisti più o meno legali.
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Il mio motivo è che amo vivere hardcore. Da musicista fallito mi sono buttato in questo progetto discografico. Inoltre avere un’etichetta indipendente ti mette alla prova e richiede più creatività di quanta me ne sarei mai immaginato. La STILL LIFE mi permette di parlare ogni giorno con persone differenti, vedere posti che magari non vedrei mai, stare in tour con le bands e ascoltare tanta buona musica.
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
Da che punto di vista? Se esiste ancora una scena indipendente italiana? Credo di sì anche se io sinceramente non sento di farne parte. Mi interessa la scena che gravita nella mia zona e attorno alla STILL LIFE.
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Assolutamente sì! Credo che però sia necessaria una maggiore regolamentazione. Un sacco di gruppi possono farsi conoscere e far sentire al mondo intero i propri brani , possono fare tour esteri e venire a contatto con distribuzioni etichette e bands non necessariamente della propria città. Mi sembra straordinario no? L’unico problema è che secondo me si andrà sempre più verso una digitalizzazione della musica. Presto spariranno anche i cd. Molte etichette hardcore stanno già proponendo la vendita dei dischi in formato mp3, poi ti scarichi l’artwork e ti stampi il booklet in casa. Questo sinceramente mi spaventa; è una corsa continua se resti indietro sei tagliato fuori. Vale un po’ per tutto al giorno d’oggi. Lo sviluppo tecnologico ci sta inghiottendo.
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Sono un ottimo canale di promozione ma la maggior parte sono prive di contenuti interessanti. Si passano l’una con l’altra le news riguardanti le ultime novità delle grosse etichette o delle grosse bands. A me fan comodo perché ci pubblicizzo un po’ le nostre uscite comprando o scambiando banner pubblicitari e facendo recensire i nostri dischi. La webzine è un’ottima cosa ma nulla a che vedere con una fanzine cartacea che ti leggi quando sei in bagno o durante una lezione noiosa.
12- Delle messageboard?
Bah, anche qui la mia esperienza personale è negativa. Il comunicare su messageboards comporta un sacco di incomprensioni dovute al fatto che con una tastiera e uno schermo non puoi dare espressività alle tue parole. C’è chi ti prende troppo sul serio e chi dietro a un nickname sfoga la propria rabbia repressa denigrando il lavoro di tante realtà indipendenti. Purtroppo ci sono cascato anche io più volte in discussioni su messageboards; spero non accada più. Preferisco il confronto diretto e un eventuale scazzottata.
13- Dei blog?
Lasciamo stare… questi sono davvero pessimi. Gente che racconta i fatti suoi a tutto il mondo modellando l’immagine di sé e riempiendosi di amici virtuali dimenticando quei 2 o 3 veri in carne ed ossa, con i quali sarebbe meglio passare più tempo…
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
Sembra retorico ma siamo indietro come sempre. Essenzialmente è la burocrazia che ci frena, l’Italia non ti permette di metter in piedi un’attività senza dover sborsare cifre enormi tra tasse e burocrazia di vario tipo. Ti assicuro che tutto ciò è un enorme freno per chi vuole avviare un’etichetta discografica regolare. Mancano le distribuzioni e i media trasmettono solo musica di basso livello. Non ci sono spazi per i giovani che invece in Germania e in nord Europa abbondano. Se vuoi organizzare un concerto devi affittarti un locale da 500 euro oppure avere a che fare con gestori di locali fuori di testa o squat che ti fanno suonare alle 3 di notte.
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
La mia opinione verso una band varia unicamente se la band cambia il suo stile musicale o abbandona certe tematiche presenti nei propri testi per accedere al grosso mercato. In questo caso rimango deluso. Non ritengo sia un problema avere alle spalle un gruppo di persone che ti organizzano delle date o ti aiutano a promuovere il tuo disco.
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Il mio approccio con la filosofia DIY è avvenuto soprattutto all’interno di centri sociali. Ero entusiasta nell’entrare in un posto a fare aerosol art senza la paura di essere braccato da qualche sbirro. Mi vedevo 2 o 3 concerti a settimana e frequentavo praticamente tutti gli squat di Milano e dintorni comprando dischi e quant’altro dalle distribuzioni presenti. Io comunque sono giovane e non ho vissuto il periodo d’oro dei centri sociali milanesi. Quello che posso dire è che col tempo a mio avviso la maggior parte dei centri sociali ha perso quella componente di antagonismo al sistema che li caratterizzava, per diventare luoghi dove poter far uso di sostanze stupefacenti e abusare di alcool. È quasi “trendy” oggigiorno andare al Leoncavallo a farsi una birra e qualche canna con gli amici. Altro problema che ho riscontrato col passare degli anni è che le mie vedute etiche e ideologiche non si sposano con quelle portate avanti da molti squat. Io comunque non ho problemi a entrare in un centro sociale e confrontare le mie idee con quelle di qualche militante di sinistra, anarchico o chiunque altro. Dispiace però constatare a volte che l’appartenenza a un uno schieramento politico o ideologico possa coprire occhi e orecchie impedendo uno scambio pacifico di idee. Io me ne frego degli ideali politici e di scemenze simili, giudico le persone per quello che valgono e niente più. Preferisco quindi un luogo apolitico o perlomeno non forzatamente politicizzato per organizzare concerti o iniziative.
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Eh bella domanda! Qualcuno resiste ancora, probabilmente anche noi daremo il nostro contributo in futuro. Il problema è che molta gente che si affaccia nella scena hardcore oggi non ha la benché minima idea da cosa parta il movimento. Io supporto sempre le fanzine comprando pagine di pubblicità e mandando materiale promozionale. Del resto chi vuole leggere una recensione di un disco appena uscito o sapere le date dei concerti basta che vada su una webzine e trova tutto… Ho delle fanzine scritte da personaggi più o meno noti della scena hardcore italiana che non darei via per nessun motivo, ci sono troppo affezionato. Sfogliando quelle pagina trovi una genuinità e una ricchezza di contenuti che manca totalmente in una webzine.
1- Da quanto tempo esiste il progetto Wallace in cui sei coinvolto?
Esiste dall’inizio del 1999 come idea/progetto. A Maggio ‘99 è uscito il primo disco.
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Sin dall’inizio sono l’unica persona che se ne occupa. Maschio, 31 anni, diplomato in telecomunicazioni. Sono impiegato in un’azienda di componenti per automobili.
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
Svolgo un lavoro che mi consente di non dover pareggiare i conti (che sono negativi) dell’etichetta.
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
Una decina.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Mi piace collaborare con altre etichette perchè è un buon metodo per far circolare di più i dischi, e perché spesso è l’unico modo per racimolare i soldi per produrre un disco.
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Assolutamente sì. L’ispirazione dominante del mio lavoro è il DIY di scuola punk. A mio avviso quella è la più rivoluzionaria esperienza culturale, artistica e politica degli ultimi decenni.
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
E’ un’etica piuttosto vicina a posizioni catalogate come no global, si distanzia da questa definizione perché i promotori delle iniziative no global sono spesso efficaci politicamente ma assolutamente “vecchi” e populisti, oltre che contaminati di business e major, per quanto riguarda arte e cultura. Tanto per fare un esempio i simboli musicali dei movimenti no global incidono per le multinazionali che vengono contestate sui cartelli delle stesse manifestazioni. Quotidianamente, man mano che il mio lavoro assume credibilità, popolarità e diffusione, io mi sforzo di non fare i passi che fanno tutti: compromessi ai fini di vendita, disinteresse per le realtà di base come fanzine, band esordienti, piccole distribuzioni, etc…
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Per quanto mi riguarda: creare una rete di contatti, relazioni tra persone e comportamenti diversi dai valori dominanti di mercato, e coerenti con i miei valori individuali. In pratica: dimostrarmi che sono capace di essere e di fare ciò che vorrei essere e che vorrei fare.
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
Sì e no. Ci sono buone realtà che collaborano tra loro, ma una “scena” è tale quando viene riconosciuta dai media. Ed i media non concepiscono “scene” in Italia, fuorché quella hardcore una decina di anni fa.
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Sì certamente. Io stesso riesco a fare tutto solo grazie ad internet. La mia visibilità ed i miei contatti sarebbero drasticamente ridotti in caso contrario.
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Ottimo equivalente delle etichette indipendenti. Una webzine fatta col cuore si vede anche se non è su carta.
12- Delle messageboard?
Infantili ed autocelebrative.
13- Dei blog?
In generale noiosi.
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
Forse di più: ricevo dischi da tutta Europa, spesso con allegati degli articoli di riviste che dipingono il gruppo in questione come “tra le cose migliori” della scena tedesca, belga, etc… Devo dire che la qualità del rock italiano è mediamente superiore. Trovo comunque molto, molto interessanti i gruppi francesi.
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Penso che le persone (i gruppi sono fatti di persone) siano delle persone migliori se mantengono i loro valori intatti anche quando questi valori vanno a discapito di comportamenti che ne faciliterebbero la fama, la ricchezza economica, etc… Tra questi comportamenti c’è il firmare per una major. Se pratichi i circuiti underground (centri sociali e simili…) e poi alla prima occasione ti getti tra le braccia di chi è la negazione di tutto ciò, sei semplicemente una persona piccola, tradisci prima di tutto la tua dignità, autostima e la tua arte.
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Tantissimo, anzi sono i primi e principali veicoli.
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Tantissimo. Le fanzine sono l’equivalente delle etichette indipendenti per il mondo del giornalismo.
1- Da quanto tempo esiste il progetto Wuck Records in cui sei coinvolto?
Sono partito nel luglio del 2002 iniziando le registrazioni dei primi dischi, anche se come idea ci stavo ragionando su dal 2000 e nel frattempo (2000-2002) ho tentato (invano, ma per colpa del governo taglia fondi, non per l' idea) di ottenere un prestito tramite appunto il prestito d' onore (legge non mi ricordo quale!)…
2- In quanti siete a portarlo avanti? Sei solo o hai l’appoggio di altre persone? Potresti specificare sesso, età e titolo di studio delle persone coinvolte?
Praticamente faccio tutto da solo ma quando c' è molto lavoro mi danno una mano alcuni membri dei gruppi che ho nell'etichetta, sono maschi età circa 25-28 anni: un laureando, un diplomato in musica ed un operaio (circa 3 persone).
3- La label ha una consistenza economica che ti consente di dedicarti solo ad essa o svolgi altri lavori?
Ho iniziato facendo solo questo perché la mole di lavoro è tale che dedicargli solo un po’ di tempo non sarebbe servito a nulla; ma il ritorno economico è minimo, così ora sto cercando un altro lavoro
4- Quante uscite produci mediamente l’anno?
All'incirca 3 all'anno. Nello specifico nel 2002 3 dischi, 2003 3 dischi, 2004 2 dischi e per il 2005 finora 1 più altri 3 entro la fine di questo anno.
5- Usualmente le tue produzioni portano solo il marchio della tua etichetta o preferisci lavorare nel campo delle coproduzioni? Perché?
Usualmente portano il mio marchio perché a me piace realizzare le mie idee ma ho già fatto una coproduzione nel 2003, una compilation italiana con 16 gruppi stoner, è il lavoro congiunto delle bands, dell'etichetta e di un portale musicale italiano; un prossimo split marchiato W.*uck Records sarà promozionato e distribuito da un' etichetta tedesca... Secondo me con la collaborazione si va avanti, l'egoismo o il lavoro singolo per se stessi non servono a nulla. mi piace realizzare le mie idee ma mi piace anche lo scambio, il confronto e la collaborazione!
6- Ritieni che la tua label sia da considerare un progetto Do It Yourself? O ti occupi solo di promuovere band indipendenti al di fuori di questa etica?
Ritengo che tutto quello che fa parte di un piccolo sistema al di fuori della grande produzione sia un do it yourself perciò penso di esserlo anche io a tutti gli effetti, anche se mi pare di capire che la maggior parte della gente ritenga il do it yourself una cosa prettamente hardcore.
7- Esiste una qualche etica a cui fa riferimento questo progetto?
8- Quali sono i motivi per cui nasce una etichetta indipendente o D.I.Y.?
Non so di preciso ma per me è una cosa personale, cioè sono sempre stato abituato a trovarmi una strada da solo se non ce n'era già un'altra, E in Italia la musica è considerata davvero pochissimo, immaginiamoci cosa ne può essere per gruppi o generi del sottobosco, non possiamo mica essere tutti quanti assoggettati al Grande Fratello, no? Che razza di esseri umani saremmo!!!
9- Secondo te è corretto parlare di una “scena” indipendente in Italia?
Ritengo che esistano più scene (hardcore, rock'n’roll, metal, alternative, postrock, stoner etc...) il problema a mio avviso che sono disarticolate, cioè ognuno pensa al proprio e basta ed in una nazione come la nostra che non ha strutture (rock club per concerti??? Pochi, qualche centro sociale o locale/pub ben poco attrezzato), mercato(quanta gente c' è in Italia che compra i dischi italiani di gruppi sconosciutissimi...pochissimi!), secondo me è un continuo darsi la zappa sui piedi. Penso che ogni scena possa pensare a se e basta solo quando ci sono risorse per tutti o quasi tutti, qui in Italia non ci sono risorse perciò la scena indipendente esiste solo perché sparsi nel territorio ci sono persone, gruppi, fanzine, label etc...... Non so se sia chiaro questo concetto!
10- Credi che Internet sia attualmente di aiuto per musica di nicchia come quella indipendente o autoprodotta?
Penso assolutamente di sì in quanto chi è un po’ interessato nella ricerca di roba non propinata dalle TV, riviste e radio che puntano sul commerciale, internet sia l' UNICA fonte. Si può arrivare dove nemmeno il giornalista o il dj più preparato possono arrivare nel tempo e nello spazio!
11- Cosa ne pensi delle webzine?
Ce ne sono miliardi, penso che alcune abbiano grande visibilità, altre no, ma penso sia una questione di saturazione del mercato perché chiunque può farsi la webzine... Comunque sono molto felice che esistano, ovviamente danno spazio anche a me cosa che invece un Rumore o Rocksound o una rivista d'oltralpe difficilmente farebbe, è una concezione diversa ed è meglio così!
12- Delle messageboard?
Non so che siano! Non sono un conoscitore hi-tech...Sono troppo antico!
13- Dei blog?
Se sono quei siti stile diario privato, non mi interessano manco un po’!
14- Credi che la scena indipendente in Italia abbia avuto lo stesso sviluppo che nelle altre nazioni europee? Perché?
Assolutamente no, penso comunque che dipenda dalle nostre radici culturali, sociali ed economiche, penso che spesso gli italiani si siano adagiati sugli allori di quello che in Italia si otteneva mentre gli europei girano in lungo ed in largo fregandosene dei propri confini... Non so se sia chiaro questo!
15- Ritieni che band che si sono formate all’interno del circuito underground indipendente debbano sempre rimanere fedeli ad esso? La tua opinione cambia quando vengono usati altri canali di promozione, come spesso avviene con l’intervento di major o management interessati?
Discorso lungo pure questo... Io sono per il lavorare onestamente e se si ottiene qualcosa, allora prendersela, bisogna anche valutare ogni singola evoluzione, però in linea di massima non mi precluderei nulla, ma prima voglio ragionarci sopra... Io personalmente mai e poi mai mi svenderei, perciò i compromessi si fanno sempre ma devono essere compromessi onesti (del tipo un produttore artistico con cui lavorare insieme) non del tipo ti faccio diventare famoso per un anno ma sei il mio pupazzo!
16- Che funzione pensi che abbiano avuto i centri sociali nella diffusione della filosofia D.I.Y. in Italia?
Sinceramente non saprei dirti molto, in Sardegna non esistono i centri sociali!!! Per quel poco che ne so avendone frequentati sporadicamente alcuni penso siano stati molto importanti, sopratutto tra gli anni ‘80 ed i primi ‘90, erano posti nei quali si potevano vedere concerti o esposizione d'arte alternativi (nel vero senso della parola) perciò un tipo di approccio alle cose che non seguiva i soliti canali
17- E le vecchie fanzine cartacee?
Svolgevano un ruolo fondamentale per il mantenimento in vita delle sottoculture, cioè dell'underground... Ora soppiantate da internet.