IL METODO DEL CONSENSO (in Teoria)
un metodo decisionale morbido per gruppi forti.
Questo scritto è nato con uno scopo preciso:
aiutare l'assemblea dei soggetti italiani del commercio equo
e solidale a utilizzare una procedura decisionale orientata al
consenso, comunemente chiamata Metodo del Consenso (MC).(nota 1 )
L'intento è stato quello di fornire ai gruppi, specialmente
quelli ispirati alla nonviolenza, degli elementi per una migliore
comprensione e sperimentazione del metodo, ricordando che dal
punto di vista procedurale esistono tante varianti.(nota 2)
Una definizione e qualche
considerazione per iniziare…
Il MC è un procedimento che si svolge
in varie fasi e in cui si usano diverse tecniche di discussione,
analisi e confronto, mediante il quale un gruppo arriva a prendere
le sue decisioni senza ricorrere alle votazioni.
Consenso indica che si è d'accordo su qualcosa, ma non
significa necessariamente accordo pieno di tutti su tutto,
cioè unanimità.
L'unanimità può anche arrivare, ma non è certo
un obiettivo: il consenso punta a far convivere le differenze
, non ad eliminarle.
Perciò in una decisione consensuale vi possono essere diversi
gradi di accordo e molte sfumature riguardo agli impegni che i
diversi membri si assumono rispetto a una determinata decisione,
però il tutto avviene in modo esplicito e globalmente accettato.
L'adozione del MC da parte di un gruppo può avvenire solo
su base consensuale.
Il MC, una volta adottato, non esclude il ricorso ad altri metodi
decisionali, basati o meno sulla votazione, purché tale
ricorso avvenga in base a una decisione consensuale.
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1. LE BASI DEL CONSENSO…
tra etica, pragmatica ed estetica.
Il fine non giustifica i mezzi; i mezzi contengono
il fine.
Il MC nasce dalla convinzione che il rapporto tra mezzi e fini
deve essere coerente. Per esempio se si hanno fini equi e solidali,
i modi per realizzare tali fini dovranno esprimere qui e ora,
concretamente, equità e solidarietà. In pratica ciò
si esprime nel modo di gestire il potere e in particolare nel
modo in cui si prendono le decisioni.
L'uso del potere: il singolo non viene schiacciato
dal gruppo, il gruppo non viene bloccato dal singolo.
Il MC, a uno sguardo superficiale, sembra dare un potere eccessivo
al singolo individuo (o alla piccola minoranza) rispetto al gruppo.
Così sembra che chiunque, magari dopo una lunga discussione,
se gli gira male può bloccare un grande gruppo negando
il suo consenso alla decisione. Ma questo non è altro che
esercitare il cosiddetto potere di veto, che non ha niente a che
vedere col MC.
Il MC dà effettivamente un grande potere al singolo
(a ogni singolo indistintamente!) perché ne riconosce
il valore, la dignità, l'unicità. Ma il singolo
può bloccare il gruppo solo se riesce a mostrare la validità
della sua opposizione, cioè che la decisione che si sta
per prendere è veramente dannosa per il gruppo e/o in contrasto
con i suoi principi fondanti. Se il gruppo riconosce la validità
dell'opposizione allora la decisione può essere bloccata,
altrimenti alla parte avversa viene rimandata la responsabilità
di decidere cosa fare, possibilmente dichiarandolo in termini chiari
ed espliciti.
Dunque, perché il MC funzioni bene, il singolo deve
riconoscere e accettare il potere del gruppo nel determinare
quali problemi possono essere risolti, quali necessitano di più
attenzione, e quali bloccano la decisione: la trappola del veto
sta nell'essere incapaci di riconoscere i limiti del potere individuale!
Il singolo ha il potere e la responsabilità di sollevare
i problemi; il gruppo ha il potere e la responsabilità
di riconoscerli e risolverli.
Attenti al compito e ai rapporti umani.
Gli incontri servono per affrontare e risolvere problemi comuni.
Le buoni soluzioni tengono conto sia degli aspetti concreti dei
problemi, sia delle relazioni tra i soggetti. Se non c'è
un buon rapporto, sufficientemente disteso e fiducioso, anche
semplici problemi possono complicarsi e diventare un grave peso.
È necessario ricordare che nel lavoro di gruppo entrambi
gli obiettivi (di contenuto e di relazione) devono essere sempre opportunamente
curati: l'uno influisce sull'altro.
Distinguere le persone dai problemi e…
concentrarsi sui problemi.
Quando si affrontano i problemi un aspetto che si tende a dimenticare
è che dall'altra parte ci sono esseri umani che hanno sentimenti,
valori e convinzioni profondamente radicati, differenti storie
e punti di vista, esattamente come noi. Ognuno ha un "io" che
è sensibile e che facilmente può sentirsi minacciato,
e un io minacciato pensa soprattutto a difendersi. Ogni giudizio
sulla persona rischia di danneggiare la relazione e di alterare
il buon clima psicologico che è indispensabile per fruire delle
risorse di creatività e intelligenza di tutti i partecipanti,
risorse senza le quali non è possibile trovare buone soluzioni
ai problemi. Perciò è fondamentale rimanere aderenti
ai fatti, ai termini concreti dei problemi, "attaccando" le idee
e le proposte anche molto fermamente se necessario, ma rimanendo
al contempo interiormente rispettosi verso le persone: "duri
col problema, morbidi con le persone" (nota
3 ). Qui aiuta moltissimo non identificarsi
con le proprie idee, ricordandosi che "le mie idee, non sono
mie!"
Distinguere i bisogni dalle soluzioni
e… concentrarsi sui fondamenti. Nell'affrontare i problemi
si dimentica che il cuore delle questioni non si trova nelle posizioni
di partenza (a volte solo apparentemente contrapposte), ma nei
bisogni, preoccupazioni e convinzioni delle parti coinvolte, cioè
in quelli che alcuni chiamano i "fondamenti" dei problemi. Per
es. spesso si discute (e si litiga) sulle proposte di soluzione
senza avere adeguatamente scandagliato quali sono i bisogni in
gioco: le soluzioni rappresentano la risposta a dei bisogni e lo
stesso bisogno può essere soddisfatto in tanti modi diversi, cioè
ci possono essere tante soluzioni per uno stesso problema. Se
ci si fissa su certe idee diventa impossibile negoziare costruttivamente.
Non si tratta di rinunciare ai propri principi, né di
nascondere le differenze al momento incompatibili, ma solo orientandosi
alla ricerca dei bisogni condivisi si creano le condizioni per
trovare soluzioni cooperative, realizzabili, che aprono verso
il comune cammino.
Inventare soluzioni: generare opzioni
e definire obiettivi fattibili.
Una volta individuati i fondamenti dei problemi è necessario
dedicare un tempo adeguato alla ricerca di soluzioni vantaggiose
per tutti. Qui la fantasia, l'intelligenza, l'esperienza sono
le risorse primarie: spesso si tratta letteralmente di inventare
nuove soluzioni. Questo passaggio può sembrare banale, ma
dal punto di vista pratico la fase dell'ideazione è spesso
trascurata o comunque mal gestita (per es. è frequente che
il brainstorm (nota 4 ) sia pieno di giudizi e commenti sulle idee espresse!).
Non identificarsi (né identificare l'altro) con le idee
facilita moltissimo la ricerca di soluzioni diverse e forse migliori.
Rimanere attaccati alle proposte di soluzione è un'abitudine
frequente che rappresenta un ostacolo non solo al consenso, ma
soprattutto al raggiungimento di soluzioni di buona qualità.
Abbandonare una proposta di soluzione non significa rinunciare
ai propri principi o ai propri bisogni, ma semplicemente ricercare
altre soluzioni.
Operare scelte sulla base di criteri riconosciuti
e trasparenti.
I criteri che sottendono ogni scelta devono essere esplicitati
e riferiti quanto più possibile a elementi verificabili,
o a principi comunemente accettati. I criteri non devono dipendere
dalla volontà o dal controllo di alcuna delle parti in
gioco. È qui che in genere si esercita più o meno
consapevolmente un uso scorretto e manipolatorio del potere per
orientare le scelte verso interessi di parte (per es. con minacce velate,
ripicche, attacchi personali che spostano l'attenzione dai termini
concreti del problema, ecc.)
Saper stare costruttivamente nel disagio (frustrazione,
irritazione, preoccupazione…)
Il MC è in sostanza un processo di gestione costruttiva
e nonviolenta dei conflitti. Il conflitto qui è visto come
fenomeno assolutamente naturale, di per sé né giusto
né sbagliato. Quando un gruppo crea un'atmosfera che facilita
l'espressione del disaccordo e delle emozioni che ad esso si
accompagnano (paura, irritazione, frustrazione e così via), costruisce
le basi per decisioni più funzionali e soddisfacenti.
Perciò facilitare una buona comunicazione è un
fattore chiave: comunicare "è" gestire la relazione e
i conflitti. Ma bisogna riconoscere che anche mediante un uso
perfetto del metodo e un'ottima comunicazione i problemi, che
non di rado sono complessi e complicati, possono rimanere sul momento
irrisolti. E allora?
Se si procede con cura e si alimenta la fiducia, il paesaggio
entro cui si prenderanno le decisioni (perché comunque
e sempre si decide qualcosa) sarà come minimo più
chiaro e comprensibile. E ciò costituisce un buon terreno
per arrivare a decisioni che cercano per quanto possibile di rispettare
i bisogni essenziali in gioco. A volte per es. bisogna accettare
il fatto di non poter decidere su una determinata questione. Allora
saper gestire costruttivamente il disagio personale e collettivo
che deriva da tutto ciò è indispensabile nel processo consensuale:
pazienza e fiducia sono le qualità fondamentali.
Un metodo morbido per persone/gruppi forti.
In definitiva questo processo tende a costruire "accordi nel
disaccordo", dove cioè il disaccordo particolare è
dentro una cornice di accordo generale fondato su rispetto e
fiducia reciproci: il consenso riguarda in sostanza la volontà
di continuare a camminare insieme e sperimentare insieme.
Questo consenso di fondo deve però essere basato sulla
fiducia e sulla libertà, altrimenti non funziona, anzi
nemmeno si potrebbe chiamare consenso. Infatti non è consenso
quello che si fonda sulla paura dell'altro o sulla dipendenza
dagli altri. Il MC è un metodo che richiede quindi una
certa maturità e forza interiore dei soggetti che lo usano,
e che usandolo si rafforzano: come la nonviolenza è
l'arma del forte, così il MC è il metodo decisionale dei forti
.
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2. PASSAGGI CHIAVE DELLA PROCEDURA…
Richiesta e Verifica del consenso.
Qualunque sia la procedura attuata, arriverà il momento
in cui qualcuno (in genere il facilitatore) chiederà al
gruppo "La formulazione della decisione è soddisfacente?
Ci sono ancora dei problemi?".
E' importante notare che la prima domanda implica che ci sia
una formulazione della decisione che tutti hanno ben chiara davanti
(e ciò deriva dal lavoro fatto in precedenza): in mancanza
di questa chiara formulazione i rischi di confusione con successive
complicanze e conflitti sono alti.
Nella seconda domanda va notato che non si chiede "C'è
il consenso?", oppure: "Siete tutti d'accordo?": queste domande
infatti non incoraggiano l'espressione di dubbi o perplessità.
Se ci sono persone che hanno perplessità, ma sono intimidite
dal forte supporto del gruppo alla proposta, la domanda: "Ci sono
ancora dei problemi?" si rivolge più direttamente a loro e
gli offre la possibilità di esprimersi.
In questa fase è molto importante rilevare la qualità
delle risposte, soprattutto quelle non verbali e quella del silenzio.
Se nessun ulteriore problema viene sollevato, il facilitatore
dichiara il consenso raggiunto e la decisione viene messa agli
atti.
Problemi, blocchi decisionali e "veto".
Durante il procedimento ci si trova di fronte diversi tipi
di problemi che può essere utile inquadrare allo scopo
di riconoscerli e gestirli adeguatamente.
Riguardo a una proposta oggetto di decisione ci possono essere
per esempio osservazioni che puntano a dei miglioramenti
: si è sostanzialmente d'accordo con la proposta, ma
si ha un'idea per migliorarla.
Altre volte ci possono essere delle perplessità
in merito a una proposta: più che di un vero disaccordo
si tratta di dubbi o riserve.
Questo tipo di problemi si può affrontare con una discussione
più approfondita (magari facilitata da tecniche adeguate)
e in genere, scaduto il tempo, è probabile che si trovi
un accordo consensuale, a meno che i "miglioramenti" o le "perplessità"
non si siano trasformati in disaccordo.
Infine possiamo trovarci di fronte a un disaccordo verso la
proposta, più o meno forte, ma comunque esplicito e chiaro:
qui il problema sollevato è tale per cui la parte avversa
(una persona o una minoranza) è contraria alla proposta
(tutta o in parte). In questo caso bisogna consentire alla parte
avversa di provare la validità o "legittimità" del disaccordo
:
Problema legittimato/non legittimato: quando il disaccordo
è tale da portare a un blocco della decisione, tale blocco
per potere avvenire dentro una cornice consensuale deve essere
in qualche misura riconosciuto dal gruppo nel suo insieme. Questo
riconoscimento è definito da alcuni autori come legittimazione.
La legittimazione avviene quando la parte avversa convince che
la decisione che si sta per prendere è veramente dannosa
per il gruppo o in contrasto con i suoi principi fondanti. In assenza
di ciò abbiamo un "problema non legittimato", dove la parte
avversa non può mai bloccare la decisione del gruppo (potere
di veto), a meno che il gruppo non abbia altre ragioni per farsi
bloccare.
Di fronte a situazioni di disaccordo si aprono quindi due possibilità:
a) il gruppo alla fine riconosce la validità del problema
sollevato, per cui qui e ora ci si trova di fronte un problema
legittimato che blocca la decisione; (nota 5)
b) il gruppo alla fine non è convinto (né a sua
volta riesce a convincere la parte avversa) per cui il problema
sollevato non è legittimato e il gruppo può procedere
nella decisione che intendeva prendere inizialmente (che dopo
la discussione potrebbe anche risultare in parte modificata), lasciando
alla parte avversa la decisione di cosa fare, che per esempio
potrebbe essere lo "stare da parte".
Stare da parte: accettare che una decisione venga presa dal gruppo
nonostante vi sia un convinto disaccordo. Ciò implica,
oltre all'esplicitazione delle ragioni del disaccordo, anche l'esplicitazione
della posizione che la parte avversa prenderà rispetto
alla decisione e al suo impegno nel sostenerla. Quindi la parte
avversa potrebbe legittimamente dichiarare di non supportare (in
modo parziale o totale) la particolare decisione che il gruppo
sta per prendere, ma comunque senza arrivare mai a boicottare la
decisione del gruppo di cui, consensualmente, continua a far parte
(nota 6) .
Come si esce da una situazione di blocco decisionale? Con molta,
molta fantasia, pazienza e fiducia. Gli esperti ci ricordano,
provocatoriamente ma saggiamente, che di fronte a un problema che
al momento appare senza soluzione "esistono almeno altre sette
possibilità" che non sono state esplorate dal gruppo. Ci
vogliono dunque fantasia, creatività, intelligenza, ma non
solo, anche la capacità di stare nel disagio, nella stanchezza,
nella frustrazione. La fantasia ha bisogno della fiducia e della
pazienza, perché in un clima di forte risentimento, di reciproche
accuse e di paura, il tempo e le energie sono investiti per distruggere
e non per creare. La paura è il vero grande blocco.
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E per finire… uno strumento per sperimentare il MC.
Spesso i gruppi arrivano a prendere le loro decisioni senza rendersi
conto delle regole che, sempre e comunque, sono implicitamente
presenti nel processo stesso del decidere: è impossibile
non prendere decisioni, ogni decisione implica un modo di decidere
.
Esplicitare alcune di queste regole, richiamandosi per es.
a principi condivisi, attiva un importante processo di crescita
all'interno del gruppo, aumenta il potere e la responsabilità
individuali e può aiutare a rendere le riunioni più
soddisfacenti ed efficaci: lo strumento qui proposto serve a questo.
Anche in gruppi di lavoro estemporanei questo strumento può
aiutare a creare un clima di maggiore fiducia e chiarezza.
In pratica il punto A andrebbe letto e "rapidamente" approvato
all'inizio della riunione (se ci sono intoppi, è meglio
lasciar perdere il MC: mancano le basi!).
I punti B e C, che hanno valore più di orientamento
che di vere e proprie regole, possono essere semplicemente letti
e non abbisognano di un'approvazione formale, tuttavia è
molto utile verificare la tendenza dei partecipanti riguardo tali
orientamenti, perché nella misura in cui sono condivisi
possono essere richiamati e usati durante la riunione.
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TAVOLA DEI DIRITTI (nota 7 )
A) dichiarazione dei diritti di ogni partecipante.
1. Io ho il diritto di essere trattato con rispetto. Così
gli altri.
2. Io ho il diritto di avere ed esprimere opinioni e sentimenti.
Così gli altri.
3. Io ho il diritto di essere ascoltato e preso seriamente.
Così gli altri.
4. Io ho il diritto di dire "no" senza sentirmi in colpa. Così
gli altri.
5. Io ho il diritto di chiedere ciò di cui ho bisogno.
Così gli altri.
6. Io ho il diritto di cambiare opinione. Così gli altri.
B) ORIENTAMENTI PER UNA COMUNICAZIONE COSTRUTTIVA
1. Usare messaggi "io" di confronto costruttivo.
2. Ascoltare attivamente, e verificare se abbiamo capito veramente
quello che gli altri volevano dire, e viceversa.
3. Fare attenzione non solo ai contenuti, ma anche ai sentimenti
espressi.
4. Distinguere le persone dai problemi e dalle loro azioni:
evitare di attribuire intenzioni agli altri e di giudicarli, attenersi
ai fatti e ai comportamenti.
5. Essere precisi ed evitare le generalizzazioni.
C) ORIENTAMENTI PER COOPERARE NEL CONFLITTO
1. Passare dalla visione "me contro te", al "Noi".
2. Passare dalle "prese di posizione" agli Interessi e Bisogni
in gioco.
3. Concentrarsi invece che sul Passato, sul Presente e sul
Futuro.
4. Passare dall'Impossibile al Possibile.
5. Passare dalla Colpevolizzazione all'assunzione di Responsabilità.
Il METODO del CONSENSO (in pratica)
decidere insieme costruendo fiducia.
L'esperienza che recentemente ha portato alla definizione della
"Carta italiana dei Criteri del Commercio Equo e Solidale" mostra,
ancora una volta, che è possibile arrivare a decisioni
importanti senza ricorrere al tradizionale metodo della votazione
a maggioranza. Attraverso un metodo decisionale orientato
al consenso, minoranze e maggioranze possono infatti trovare fondamentali
punti di accordo per proseguire alleati nella costruzione del
loro comune cammino. Con questo articolo, a partire da documenti
ufficiali, appunti e memorie, provo a raccontare tale esperienza
che, a quanto sappiamo, sembra essere unica in Italia in rapporto
a dimensione e tipologia dei soggetti coinvolti. Nel fare ciò,
lo si tenga presente, il mio sguardo tende primariamente a evidenziare
quali sono stati i momenti e le fasi chiave dell'intero processo,
allo scopo di comprendere come funziona in pratica il Metodo del
Consenso.
1. LA PROPOSTA E LA RISPOSTA (settembre 1998)
Il Commercio Equo e Solidale è una realtà
che ormai ha una lunga storia in Italia. Recentemente si è
imposta ai suoi attori la necessità di stabilire dei criteri
comuni per una gestione più trasparente ed efficace delle
attività legate a questa forma alternativa di commercio.
Così, dopo diversi incontri e sollecitazioni a livello europeo, anche
i soggetti italiani coinvolti (importatori, botteghe del mondo
e loro reti) decidono di darsi le loro regole tramite quella che
viene chiamata Carta dei Criteri del Commercio Equo e Solidale.
Nella primavera del 1998, partendo dalle indicazioni della
Carta Europea, si avvia il percorso che porterà alla Carta
Italiana (potendo a tale scopo contare anche su dei finanziamenti
della UE). E qui, per quanto ci riguarda, abbiamo il primo
momento chiave, cioè la decisione, presa all'inizio
del processo, di arrivare ad approvare la Carta senza ricorrere
al tradizionale metodo della votazione in assemblea, bensì
usando un procedimento decisionale orientato al consenso (il cosiddetto
Metodo del Consenso).
A questo punto entriamo in gioco noi (Gianluca Cantisani e
Roberto Tecchio). Veniamo contattati dagli organizzatori che
ci presentano la loro idea chiedendo un aiuto per la facilitazione
dei gruppi di lavoro in assemblea. La nostra risposta rappresenta
il secondo momento chiave: per realizzare un processo decisionale
orientato al consenso sono necessarie una serie di attenzioni
che vanno ben oltre la facilitazione in sede assembleare e che,
in pratica, richiedono una vera e propria assistenza lungo tutto
il cammino. Quindi, se si voleva un nostro aiuto per la facilitazione,
ciò poteva avvenire solo a patto che noi potessimo seguire
da vicino tutta la preparazione dell'assemblea, collaborando strettamente
con gli organizzatori allo scopo di verificare e costruire insieme
le condizioni per attuare il MC. Il comitato responsabile accettò
la nostra proposta e così il cammino si apriva a una nuova
fase.
2. LA PRIMA ASSEMBLEA (gennaio 1999)
Nel settembre del '98 iniziano le prime riunioni del gruppo
di lavoro congiunto (gli organizzatori, della coop. Pangea di
Roma, e Gianluca ed io in veste di consulenti). Sul piano dei
contenuti il nostro compito riguardava esclusivamente la verifica
dei tempi e dei modi che avrebbero consentito a tutti i potenziali
partecipanti all'assemblea di avere tutte le informazioni necessarie
(sui contenuti, sul metodo di lavoro, sulla logistica) per poter
veramente partecipare.
In un primo tempo venne chiesto a tutti i soggetti interessati
di inviare le proprie "carte di criteri" elaborate nel corso degli
anni. (nota 8)I sette testi ricevuti vennero messi a confronto
con la Carta Europea per trovare una base comune e così
si arrivò a una prima bozza "inclusiva", ovvero contenente tutti i
principi espressi dalle carte di criteri inviate che non fossero
in contraddizione fra di loro. Tale bozza, che dal punto di vista
delle idealità rappresentava un testo più ricco
e complesso delle carte di partenza, venne inviata a tutte le organizzazioni
con la richiesta di rimandare osservazioni e proposte entro un
certo tempo. Le proposte pervenute vennero sistematizzate senza
fare alcun tipo di censura, e rispedite a tutti per una ulteriore
fase di elaborazione entro tempi prestabiliti. Il materiale così
ottenuto venne infine riordinato in apposite schede che avrebbero
costituito il testo base per il lavoro delle cinque commissioni
previste in assemblea, e quindi spedito affinché tutti
fossero informati precisamente su quali sarebbero stati i termini
della discussione in assemblea e messi in condizione di comunicare
preventivamente la commissione cui intendevano partecipare. Tutto
questo lavoro preparatorio sui contenuti è stato estremamente
facilitato e praticamente reso possibile dall'uso della posta elettronica
(quasi tutti i soggetti ne erano dotati), ed è stato svolto
interamente dagli organizzatori e noi consulenti non ci siamo
entrati per niente.
Sul piano metodologico invece il nostro lavoro riguardava la
stesura del materiale informativo inerente il Metodo del Consenso
(MC), la preparazione di strumenti specifici per il lavoro dei
gruppi e per la facilitazione, la ricerca e il coordinamento
degli altri facilitatori (si prevedevano un centinaio di partecipanti
all'assemblea e dunque dovevamo essere almeno cinque facilitatori
per cinque gruppi di lavoro in contemporanea). Nella scelta
dei facilitatori abbiamo seguito il criterio "esterni, ma non
estranei" , cioè persone che fossero vicine e sensibili ai
temi del commercio equo, ma non facenti parte dei soggetti coinvolti
nell'assemblea; inoltre i facilitatori avrebbero agito dentro
regole esplicite note a tutti, in particolare con l'impegno
a non entrare mai nel merito dei contenuti delle decisioni, ma
solo sulla dinamica del lavoro di gruppo facilitando una comunicazione
nonviolenta orientata al conseguimento degli obiettivi espliciti
che il gruppo aveva. I passaggi chiave del MC inerenti
questa fase sono stati secondo noi essenzialmente due:
a) lo spostamento del potere decisionale dalla sede dell'assemblea
plenaria all'interno dei gruppi di lavoro (che erano formati in
modo equilibrato in base alla rappresentanza). Ogni gruppo aveva
infatti un preciso numero di articoli su cui doveva confrontarsi
per arrivare a una decisione finale che, se consensuale, sarebbe
stata vincolante per l'intera assemblea; in caso diverso gli articoli
sarebbero rimasti in sospeso e rimandati all'assemblea successiva.
Alle plenarie, oltre alla funzione elettiva delle cariche, veniva
lasciato il compito della ratifica delle decisioni prese nei
gruppi di lavoro (dopo però un'accurata presentazione dei
contenuti di tali decisioni), con eventualmente la produzione di osservazioni
e raccomandazioni. Questo decentramento del potere, richiedendo
fiducia e capacità cooperative, tende a generare fiducia
reciproca e a sviluppare capacità collaborative che sono
elementi fondamentali per costruire un cammino comune: un'assemblea
non produce solo decisioni sugli articoli, ma anche rapporti
umani.
b) L'affidamento ai facilitatori anche di alcune fasi dell'assemblea
plenaria, realizzando così una conduzione coordinata e
affiatata tra presidenza dell'assemblea e facilitatori.
In conclusione questa delicata tappa del cammino è stata
segnata da risultati largamente apprezzati, come è chiaramente
emerso nel momento della valutazione finale in plenaria
(notiamo che è rarissimo avere momenti di valutazione
finale nelle assemblee, specialmente così numerose, e questo
per noi è già un chiaro segno della qualità del lavoro
svolto): in concreto un bel pezzo della Carta era stato scritto
di comune accordo e non ci si sarebbe ritornati; la fiducia reciproca
e la speranza di poter superare le divergenze e anche vecchi
attriti attraverso un metodo di lavoro nuovo erano aumentate.
3. LA SECONDA ASSEMBLEA (giugno 1999)
Possiamo vedere il processo decisionale orientato al consenso
come un cono dalla base larga che va via via restringendosi verso
la cima: così ora la seconda assemblea aveva il compito
di affrontare solo i punti rimasti in sospeso.
Per la sua preparazione e conduzione svolgiamo sostanzialmente
lo stesso lavoro dell'assemblea precedente, sempre attento a favorire
la massima partecipazione di tutti, a informare, spiegare, diffondere
il potere della conoscenza di contenuti e metodi. Sapevamo che
questa volta l'assemblea sarebbe stata più difficile dell'altra,
perché le questioni in sospeso anche se poche erano complesse
e contenevano nodi che sarebbero inevitabilmente venuti al pettine.
Inoltre c'era la consapevolezza che da qui doveva uscire ultimata
la Carta: niente più punti in sospeso.
In proposito sapevamo di dover prestare particolare attenzione
sia al lavoro nelle commissioni (infatti i nodi che non si risolvono
in un piccolo gruppo che ha a disposizione un certo tempo, difficilmente
si potranno risolvere in un gruppo numericamente molto più
grande che ha a disposizione un tempo in genere minore, come è
appunto il caso delle assemblee plenarie), sia alla gestione
della plenaria dove è più facile che la manifestazione
del disaccordo provochi reazioni a catena fortemente emotive.
Ma per quanto si possa fare un buon lavoro preparatorio e una
buona facilitazione (ammesso che vengano fatti) l'emersione di contrasti,
tensioni, conflitti, avviene quasi sempre perché ciò
è parte integrante del gioco del prendere decisioni.
Nel nostro caso è accaduto che uno dei
gruppi di lavoro, non avendo affrontato adeguatamente al suo
interno un articolo della Carta, ha portato in plenaria a uno
scontro dove le parti avverse hanno finito col tirare in ballo
vecchie questioni e risentimenti. Questo è stato il momento
più difficile e delicato dell'assemblea, superato grazie
a quella co-conduzione affiatata tra presidenza e facilitatori
(che è stata in gran parte ovviamente improvvisata e perciò
pure disordinata in alcuni momenti), nonché al potenziale
di fiducia presente in assemblea che derivava sia dall'esperienza
precedente molto positiva, sia dal buon clima psicologico prodotto
dal metodo di lavoro usato anche in questa occasione.
Senza scendere troppo nei particolari (che però, attenzione,
sono molto utili per capire come si può praticare il MC),
diciamo che il primo passaggio chiave di questa fase è
stato l'aiutare l'assemblea ad accettare la frustrazione e depressione
provocata dal mancato raggiungimento dell'obiettivo tangibile
e fortemente atteso di avere la Carta ultimata (l'articolo controverso
era importante e la sua sospensione lasciava uno spiacevole senso
di incompiutezza della Carta).
Una volta accettata l'idea di rimandare la decisione sull'articolo
controverso a una sede specifica, il secondo passaggio chiave
è stato il definire con precisione tempi e modi per
uscire dall'impasse e risolvere il conflitto. Infatti decidere
di affrontare domani un problema che abbiamo oggi richiede molta
lucidità, perché se non si pongono oggi le condizioni
chiare per affrontare domani il problema, domani quel problema
potrebbe tanto ulteriormente complicarsi da diventare praticamente
irresolubile. E così vengono stabiliti: a) data e luogo dell'incontro,
nonché i soggetti che avrebbero dovuto organizzarlo; b)
i soggetti che legittimamente avrebbero dovuto incontrarsi e confrontarsi
per tentare di risolvere la questione; c) i criteri di fondo sul
modo in cui gestire la questione medesima, quali: la presenza di
almeno un facilitatore esterno, l'uso del metodo del consenso,
una clausola di uscita di fronte all'eventuale mancanza di una
decisione consensuale sul punto in questione.
È in questi casi che secondo noi la gestione
dell'assemblea facilitata da persone esterne può dare i
migliori e più evidenti risultati. Comunque la facilitazione
non fa miracoli, e nella migliore delle ipotesi può aiutare
a risolvere solo quei problemi che potenzialmente il gruppo è
in grado di risolvere, aiutandolo ad esprimere il suo potenziale positivo
come nel nostro caso è stato per la capacità di
accettazione e di gestione del conflitto. D'altra parte accade
spesso che persone e gruppi che hanno la capacità potenziale
di risolvere i loro problemi non riescano invece a uscirne, e anzi
ne rimangano alla fine schiacciati. Per esempio col metodo della
votazione a maggioranza simili impasse vengono generalmente risolte
a colpi di emendamenti, in cui il più furbo/esperto/forte alla
fine la spunta: ma a quale prezzo?
4. COOPERARE NEL CONFLITTO (settembre 1999)
All'incontro (che secondo noi aveva un carattere
più vicino alla mediazione di un conflitto che a una facilitazione)
erano presenti oltre al facilitatore quasi tutte le parti interessate
(dodici persone). Dopo un'introduzione tecnica a cura del responsabile
organizzativo dell'incontro, il facilitatore propone un giro di
presentazioni che invita a condividere anche gli umori e le attese
di tutti i partecipanti; poi illustra la procedura di lavoro
chiedendo ai presenti di esprimere il proprio assenso o le eventuali
perplessità. Il consenso esplicito dei partecipanti chiude
questa fase iniziale di fondamentale importanza.
La procedura di lavoro proposta si svolge in tre fasi:
la prima punta all'individuazione dei bisogni cui l'articolo
in questione dovrebbe rispondere; la seconda punta alla ricerca
delle soluzioni che potrebbero rispondere ai bisogni comuni individuati
e riconosciuti; la terza punta alla scelta della soluzione ottimale.
La prima fase viene aperta con un brainstorming;
quindi viene avviato il confronto cercando di far emergere con
chiarezza diversità e somiglianze in rapporto ai bisogni
individuati. Qui abbiamo un momento chiave quando il gruppo raggiunge
l'accordo su una serie di "bisogni condivisi" (dove condivisi
non vuol dire che tutti li sentono come propri, ma che tutti li
riconoscono come legittimi e quindi da tenere in considerazione
e degni di una risposta), e sull'opportunità di scrivere comunque
un articolo che tratti i punti in questione (alcuni all'inizio
dell'incontro erano per la soppressione dell'articolo in questione).
E così va via la mattinata.
Dopo la pausa pranzo comincia la seconda fase,
in cui si cercano le soluzioni ai suddetti bisogni comuni. Dopo
aver verificato se a questi veniva data risposta in altri articoli
della Carta già definititi e approvati (cosa che accade
di frequente, e anche in questo caso ci si accorge che in parte
è così), ci si concentra su una delle proposte di
soluzione preparate e circolate durante il periodo antecedente l'incontro,
che in sostanza riformula il testo dell'articolo tenendo conto
delle diverse posizioni emerse in assemblea (operazione di grande
utilità, ideata e preparata dal gruppo di lavoro congiunto,
che ha consentito di arrivare più preparati e uniti all'incontro
stesso considerato pure che c'era l'estate di mezzo).
A partire da questa proposta, attraverso momenti di discussione,
confronto, aggiustamenti e riformulazioni del testo (dove il rischio
maggiore è di perdersi nella discussione di aspetti che
non sono pertinenti all'oggetto della decisione, sprecando tempo
preziosissimo) si entra nella terza fase della procedura dove
il contenuto dell'articolo prende a poco a poco una fisionomia
sempre più chiara e condivisa, fino al raggiungimento di
una formulazione finale che ottiene un buon grado di consenso esplicito
e che, secondo i partecipanti, rappresenta certamente un passo avanti
rispetto alla precedente perché promuove una maggiore fiducia
e collaborazione fra le varie organizzazioni. Abemus Cartam!
In definitiva questa esperienza nel suo insieme
rappresenta secondo noi un buon esempio di come possa funzionare
il MC. E se ci domandiamo che cosa ha reso possibile questo buon
risultato, in sintesi la nostra convinta risposta è che se da una
parte consulenza e facilitazione hanno avuto un ruolo fondamentale,
dall'altra senza dubbio c'erano anche tutte le condizioni necessarie
(e indispensabili!) per il successo, prima fra tutte il desiderio
sincero dei partecipanti di guardare al futuro e di superare le
vecchie paure lavorando per un obiettivo comune.
note:
1 - L'esperienza, che pare essere
unica in Italia per dimensione e tipologia dei soggetti coinvolti
e per l'adozione esplicita del metodo del consenso, è riportata
in un articolo che mi può essere richiesto e che si può
trovare anche nel sito web di PeaceLink alla rubrica "capire
il conflittto per costruire la pace" curata da Giovanni Scotto.
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2 - Una fonte molto utile cui ho fatto
riferimento è il testo statunitense di C.T. Butler e A.
Rothstein, tradotto da amiche e amici delle PBI (peace brigade
international) di Vicenza, che ho rivisto a partire dalla mia
esperienza decennale nell'uso (tentato e sempre più convinto)
del MC all'interno dei gruppi di cambiamento sociale ispirati alla
nonviolenza che ho frequentato e frequento. Il suddetto testo (circa
40 pagine) e altro materiale sul metodo, può essere richiesto
direttamente alle PBI Vicenza (e-mail anshanti@libero.it), o a
me. Invitiamo tutti gli interessati a segnalarci le loro osservazioni
su questo scritto e a collaborare alla ricerca e sperimentazione del
MC (segnalandoci soprattutto esperienze di applicazione del metodo)
che troveranno sbocco in una futura pubblicazione.
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3 - Vedi Fisher e Ury "L'arte del
negoziato", Ed. Mondadori.
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4 - Il brainstorm è una tecnica
semplice e per questo anche molto diffusa, ma per poter fruire
delle sue grandi potenzialità (vi sono dei testi interamente
dedicati ad essa) bisogna stare attenti: la tecnica è semplice,
ma non è facile.
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5 - Va notato che vi sono casi in
cui è la parte avversa a sostenere la necessità
di adottare una determinata proposta, mentre è la maggioranza
ad opporsi: anche qui è la parte avversa che dovrà
ottenere la legittimità, altrimenti la sua proposta verrà
bloccata. Quindi, in definitiva, il blocco si colloca sempre sul
piano decisionale inerente una proposta, mentre a un livello decisionale
"superiore" c'è sempre il consenso (per es. si decide
di non decidere). È' per questo che a rigor di termini
non ha senso parlare ordinariamente di "blocco del consenso",
perché quando si arriva veramente al blocco del consenso
vuol dire che il gruppo si è spaccato.
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6 - Sembra che non esistano metodi
in grado di garantire un gruppo da eventuali dolorose separazioni,
però attraverso il MC è possibile arrivare a separazioni
assai meno distruttive e violente. D'altra parte chi l'ha detto
che bisogna stare sempre e comunque insieme?
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7 - Questa scheda è tratta
da "programme overcome violence", pubblicazione a cura del World
Council of Churches (P.O. Box 21100, 1211 Geneva, CH), traduzione
e adattamenti miei.
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8 - I criteri oggetto di discussione
riguardavano tutti i molteplici aspetti del commercio equo e solidale,
per es. "che caratteristiche deve avere un prodotto per rientrare
in questa categoria, e quindi chi e come lo certifica; che caratteristiche
devono avere produttori, importatori e botteghe, per rientrare
in questa forma di commercio; che cosa s'intende per commercio
equo e quali sono le sue finalità;….".
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