La storia di Arturo Fornaciari
Arturo Fornaciari nacque a Livorno nel 1860. Sua madre, Adele Pons, lo lasciò in tenera età, visto che morì il 19 novembre 1863, secondo quanto è scritto nel registro dei deceduti della comunità valdese di cui faceva parte. Suo padre Pietro faceva il calderaio, ed era originario di Lucca; nonno Arturo raccontava che era cugino di Luigi Fornaciari, funzionario granducale della prima metà dell’Ottocento, e padre del grande linguista Raffaello Fornaciari.
Arturo era impedito a una gamba; orfano, fu educato alle scuole di mutuo insegnamento organizzate da Francesco Domenico Guerrazzi, dove riuscì così bene che verso i dieci anni fu incaricato di insegnare l'abbiccì ai più piccoli. Guerrazzi, per premiarlo dei suoi progressi nello studio, gli regalò una collezione delle sue opere.
Non sappiamo poi molto di Arturo, se non che era un giornalista della Livorno della fine del secolo XIX; una collaborazione importante fu quella con la rivista “Arte drammatica” .
Arturo fondò una agenzia teatrale delle più fiorenti nella Livorno di fine Ottocento. Tutte le maggiori personalità dello spettacolo della Belle époque vennero a Livorno chiamate da lui: dal trasformista Fregoli al tenore Enrico Caruso. Fu anche buon amico di Luigi Pirandello.
Ebbe due mogli e sei figli; Arturo da direttore del teatro Politeama conobbe una soprano, Maria Martelli (il cui vero cognome era Masacci), che nel 1918 sposò, in seconde nozze, e gli dette due figli, Pierino e Marisa. Il primogenito Dino, avuto dalla prima moglie ormai morta, era caduto nella guerra del 15-18, mentre tentava di portare in salvo un compagno ferito.
L'avvento del cinema e la trasformazione del sistema dello spettacolo, ma anche la decadenza della Livorno postbellica, rovinarono Arturo. Agli inizi degli anni Venti era proprietario di un’auto, una limousine, ma dal 1926, quando la famiglia Gragnani trasformò i suoi teatri in cinematografi, Arturo, che ne era il direttore artistico, perse il lavoro e dovette risolversi a vendere tutta la sua collezione di oltre 10.000 volumi pregiati, per aprire una botteghina di cartoleria in via Oberdan, che allora si chiamava via delle Spianate. Fino a pochi anni fa c'era ancora chi si ricordava del suo potente vocione, che usava spesso per chiamare qualcuno o farsi portare ciò che gli serviva: in tarda età Arturo si era completamente immobilizzato.
Repubblicano indipendente, non ebbe mai nulla a che fare col fascismo, se non per gli sberleffi delle camice nere, che si limitavano (bontà loro...) a prendersi gioco di un anziano sulla sua sedia a rotelle. Morì agli inizi del luglio 1940, malato ed affamato: gli fu risparmaita l’odissea della Livorno distrutta dai bombardamenti. Chi l’ha conosciuto all’epoca narra che si privava delle sue razioni alimentari per far mangiare un po’ di più la figlia Marisa.
Nel ricordo di un nonno che non hanno mai conosciuto, i nipoti Pardo e Marco hanno fondato una Associazione culturale che propone la diffusione della cultura musicale e teatrale, nelle molteplici forme dell’esecuzione virtuosistica, dello spettacolo, del corso di apprendimento: dettagliate informazioni in ciascuna delle pagine collegate.