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INTERVISTA A LAUSO ZAGATO - 1 NOVEMBRE 2001


Il discorso teorico e politico di rottura (non di rottura formale, perché non era per queste cose) fu a Torino nel '71, quando lui disse una cosa che lì per lì mi parve stupida, la prima volta che Guido diceva una cosa che mi appariva tale: poi mi sono accorto che era una cosa intelligente, anche se credo che fu giocata male politicamente. Guido disse: "La fine dello sviluppo in un posto è sviluppo altrove". Lui non voleva assolutamente lasciare il discorso classico operaista sullo sviluppo, mentre noi ci preparavamo ad affrontare lo Stato-crisi, con ciò che sul piano dell'elaborazione teorica, politica e dei nostri anni successivi intendevamo noi per superamento dello Stato-crisi. Ma quello di Guido non era un discorso opportunista, e si mise in quella sede a parlare di ciò che stava avvenendo in India e degli investimenti lì. Io resto del parere che c'è una forma non di opportunismo soggettivo ma di opportunismo politico detta così, però c'era anche un'intuizione politica notevole sull'unità dell'economia-mondo. Come discorso di fase non poteva reggere e non aveva senso, si mandava tutti a casa; però, magari facendo lo stesso una parte delle cose che dovevamo fare in quel momento, ma avendolo come punto di riferimento teorico e generale non sarebbe stato male, perché in realtà su alcune di quelle cose alla lunga, vent'anni dopo, è venuto fuori che aveva ragione. Eravamo un po' prigionieri di una visione eurocentrica, anche se l'operaismo è stato il primo a superare certi limiti della nazionalità, però è rimasto prigioniero del mondo sviluppato occidentale, per cui cosa significassero gli investimenti nel Terzo Mondo all'inizio degli anni '70 non lo avevamo ben capito, se non come modo di sfuggire alla forza qui. Comunque, eravamo un po' prigionieri della lunga polemica con i guevaristi, con gli m-l ecc. e quindi non lo capivamo. Mi ricordo questo discorso di Guido così ricco di futuro lungo, anche se non era elaborato per essere un'alternativa alle proposte di breve termine dell'ultimo periodo di Potere Operaio e poi dell'Autonomia, non aveva quella caratura, non lo aveva nemmeno pensato così; però, aveva moltissima ricchezza strategica sul futuro del capitalismo mondiale, come spesso capitava Guido era parecchio avanti.
Lui si è trovato a disagio in carcere, perché era dentro con persone che erano di gran lunga più giovani di lui, con i ragazzi del '77 insomma. Se io mi trovassi in galera con i miei studenti di adesso sarei sicuramente molto a disagio; lui invece se la cavò alla grande. A distanza di anni i detenuti comuni di Padova ancora si ricordavano delle battute di Guido sulla colpa delle loro mamme e delle loro fidanzate perché facevano tutto loro e li lasciavano incapaci di farsi il letto, di pulire, perché quelli ne combinavano una peggio dell'altra.
Un'altra cosa da mettere in rilievo è il Guido didattico, docente culturale, politico, scientifico e via dicendo, questo è anche il lavoro che ha fatto a Scienze Politiche ed è descritto in quell'elogio che ne fa Luciano. In realtà, scritta da lui abbiamo questa cosa per certi versi geniale ma così lontana quando è uscita che è "Sul sindacato e altri scritti": bisogna che passino altri anni perché la si apprezzi in pieno, è necessario provare a ripensare quel periodo di dibattito sul sindacato e allora il libro di Guido apparirà in tutta la sua importanza. E' uscito almeno dieci anni troppo presto, quando queste cose avevano perso di importanza, fa i conti con una dimensione storica, ma bisogna aspettare che torni in primo piano per essere resa in tutta la sua brillantezza. Devo dire che mi interessa molto dell'ultimo Guido ciò che scrisse sulla scienza e sulla tecnica, quella è la cosa che mi sta più a cuore e che mi ha anche creato alcune rotture psicologiche con il mondo di Seattle e simili. Ci sono suoi scritti dell'ultimo periodo e soprattutto degli anni '70 che ha lasciato fra adepti e adepte scientifici quando lavorava nel movimento dei precari sull'uso delle nuove tecniche e sull'immateriale. Gli appunti, le cose che ha scritto, detto o pensato Guido tra il '76 e il '79 io non ho mai avuto il privilegio di vederle; la fase elaborativa e la sua riflessione su quel periodo in corso non l'ho vissuta perché si erano diversificati i percorsi. Questi scritti dopo il '77 sul lavoro precario all'università e con alcuni elementi di riflessione sull'immateriale non sono dattiloscritti ma sono appunti di lezioni e dibattiti a cui ha partecipato: sono sicuramente cose che andrebbero recuperate.


Quali sono state le ricchezze e i limiti delle esperienze operaiste in generale (al di là della diversità di percorsi da cui sono contrassegnate) e nello specifico veneto?

Dopo il '68 si entra in una dimensione diversa, cambia anche il soggetto. Secondo me, si tratta di un'esperienza preziosa, molto avanti: potrei dire che era tutto bello, in realtà non lo era perché eravamo anche una piccola banda di paranoici, c'era pure un'autoesclusione da circuiti sociali e pratici, c'erano asprezze e miserie. In quel periodo tutta la ricchezza del mio vivere giovanile e studentesco consisteva nello stare qui e andare a giocare a carte, un altro faceva il musicista, ognuno aveva il peso del mantenersi nell'isolamento socioculturale, e poi cambiavi.

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