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INTERVISTA A PIER ALDO ROVATTI - 6 GIUGNO 2000
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La scorsa volta aveva parlato della presenza in Aut Aut di persone provenienti dall'esperienza operaista (aveva ad esempio citato i nomi di Piana e Daghini): qual era, tra la fine degli anni '60 e gli anni '70, la composizione e il dibattito interno alla rivista? A sua volta, qual era il rapporto tra Aut Aut, e più in generale l'intellettualità, e i movimenti?


Non è facile la sintesi, perché la differenza tra le cose che si raccontano dopo tanti anni e quelle che avvengono è che le cose che avvengono, tornando a quelle cose lì, sono in gran parte casuali: poi dopo tanti anni uno le mette insieme ma rischia anche di fare delle polpette ideologiche. Avevamo già parlato del fatto che Aut Aut fin quando c'era Paci era una rivista che non voleva essere accademica, quindi stava a cavallo, quando arriva il '68 la rivista è molto sensibile e pubblica un numero su quello; nel frattempo Paci aveva anche aperto il discorso "che farne di Marx?". Però, fino a quando c'è Paci, cioè fino ai primi anni '70, non c'è una pratica redazionale della rivista: in sostanza è lui che la fa, servendosi delle persone che ha più vicino, innanzitutto delle due persone che ha più vicino e per un certo periodo poi di una, che sono io (l'altra era Veca), e comunque facendo da lui. Quando poi Paci lascia la rivista, ancora prima di morire (perché in sostanza la delega, però non solo per questo, ma per il fatto che c'è la pressione degli avvenimenti), allora la redazione diventa aperta, io la chiamerei proprio così. In un secondo momento poi si struttura, infatti da un certo punto in avanti, direi proprio dalla fine degli anni '70 inizio '80, si definisce un gruppo di persone che vengono poi nominate sulla rivista stessa e che più o meno, con variazioni, sono le persone che ci sono anche oggi. Negli anni '70 avviene un fenomeno interessante, che va abbastanza al passo con altre realtà di questo genere: in sostanza la rivista, che inizialmente è collocata a sinistra già per riconoscimento precedente, che ha una posizione fortemente antidogmatica, ha una sensibilità e una credibilità critica. Dunque, ci sono due elementi: uno è la sensibilità e l'altro è il fatto che si suppone, da parte esterna, che la rivista abbia degli strumenti di elaborazione teorica, e da questo punto di vista c'è una garanzia maggiore. La differenza tra Quaderni Piacentini (che allora era la rivista di riferimento) e Aut Aut, è che su Quaderni Piacentini si andavano a leggere gli interventi, i documenti, le prese di posizione e via dicendo, però non si attribuiva ad una rivista del genere un cervello: la cosa curiosa di Aut Aut è questa, ossia che in definitiva la rivista è considerata un luogo di elaborazione teorica. Quale sia poi il risultato di questa elaborazione è difficile dire, ma certamente tutto quello che accade intorno alla questione dei bisogni e alla teoria dei bisogni è forse il nucleo di riferimento: ci sono molti numeri della rivista che poi tengono conto di tale questione, io isolerei questo come il punto forte della faccenda. La teoria dei bisogni, Marx e la teoria dei bisogni, la teoria dei bisogni rispetto al dibattito che c'era in Italia e che poggiava piuttosto sulla parola desiderio (Bologna ecc.) nel '76. E poi rispetto a tutta la storia della rivista, perché era stato Paci che aveva avviato un discorso sulla fenomenologia del bisogno, quindi anche sulla radicalità del bisogno, sul carattere non economicistico della parola bisogno e via dicendo. Quindi, è su questo background che possiamo chiamare, per intenderci, teoria dei bisogni, o teoria dei bisogni radicali, che avviene l'aggregazione: in sostanza accade il fatto che Aut Aut diventa un polo di aggregazione. Di chi? Intanto Piana e Daghini non c'entrano niente, sono figure assolutamente esterne alla rivista, anche se vi hanno scritto, ma negli anni '70 loro non ci sono. Invece compaiono altri personaggi: compare un gruppo di persone che vanno dai più giovani (che potevano venire attraverso il canale università), a intellettuali già operanti (che venivano dall'esterno, da Milano stessa, o anche da luoghi non milanesi), e certamente la parola che aggrega è operaismo. Per cui avviene, per un po' di anni, questa identificazione tra Aut Aut e una rivista che tutto sommato si è collocata nei dintorni dell'operaismo. Ciò comporta tante cose, certamente l'episodio Toni Negri ha a che fare con questo. Faccio un nome che è comparso poco sulla rivista ma che ha accompagnato alcuni anni di queste nostre riunioni (le quali erano aperte, per cui una volta ci potevano essere venti persone e un'altra trenta, erano un po' delle piccole assemblee, in cui poteva venire anche una persona che non era stata invitata): Lapo Berti. Questi è stato uno che è venuto spesso alle riunioni, ha anche scritto qualcosa sulla rivista (non molto), ma era presente.

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