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> L'esperienza di Classe Operaia in provincia
(pag. 3)

> I rapporti con il PCI
(pag. 4)
INTERVISTA A DOMENICO POZZA - 21 NOVEMBRE 2000
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Qual è stato il tuo percorso di formazione e il tuo inizio dell'attività politica militante?


Io venivo dal Veneto ed è tutto detto, perché questo è stato l'ambiente e quello che si era assorbito in giro, poi andando all'università naturalmente con i miei compagni di studi abbiamo cercato di affrancarci da tutti i tabù possibili e immaginabili di cui eravamo stati vittime. Si tenga presente che noi eravamo in un collegio universitario in cui eravamo sottoposti ad una pressione bestiale. Passando gli anni questo nostro ribellismo, nutrito di letture varie che non c'entravano quasi niente con la politica, dopo ha trovato un punto d'approdo nella sinistra, abbiamo preso la tessera del Partito Comunista, pensando con quella iscrizione di compiere una rottura totale, vedevamo in ciò un punto fermo, "adesso ci iscriviamo al PCI!". Sto parlando del 1960, si tenga presente che quello era il periodo di Cuba, quindi c'era tutto il discorso della liberazione dei popoli coloniali, nel '59 c'è stata la presa dell'Avana, nel '60 c'è stata la storia del Congo, dal '56 al '62 c'è stata la vicenda dell'Algeria e via dicendo. Noi il subbuglio l'abbiamo subito in quel periodo in cui c'erano dei motivi prevalentemente terzomondisti. Dopo di che c'è stato il risveglio sindacale, che è partito più o meno in quell'epoca, ne 1961 se non sbaglio c'è stato il famoso sciopero degli elettromeccanici milanesi che hanno invaso una galleria di Milano e hanno sbaraccato tutto, cosa che non succedeva da anni. Subito dopo c'è stata la montata delle lotte sindacali che sono culminate verso il '63 quando l'Italia era nella crisi del miracolo economico, perché fino allora c'era stato il boom economico e poi c'è stata la crisi, tanto che i democristiani per prendere voti alle elezioni del '63 avevano coniato lo slogan "gli anni felici ritorneranno", questo per dire che in quel periodo c'era la crisi però nello stesso tempo c'era la montata delle lotte sindacali. Noi eravamo iscritti al PCI ma naturalmente per gente così, anarcoidi e ribellisti, il Partito Comunista non era soddisfacente. In quell'anno è poi scoppiato il dissidio tra Cina e URSS, noi eravamo filocinesi. Dopo di che è giunto il collegamento prima con i Quaderni Rossi e poi con Classe Operaia. Questo è il mio percorso personale, quindi siamo diventati operaisti.


Dunque, arriviamo alla fase di Classe Operaia.


Ci fu la rottura nei Quaderni Rossi, con un'ala composta da Beccalli, Salvati, Rieser e altri che sono rimasti di là. Per cui come attività politica di militanza in quegli anni fu un'attività in termini di contatto, di propaganda, di volantinaggio, cercando di cavalcare quelle che erano le lotte di quel periodo.


Qual è la tua analisi di quelle che sono state le ricchezze e i limiti in generale dell'esperienza di Classe Operaia e in particolare del gruppo di Pavia, di cui tu facevi parte?

Sul piano personale è stato un periodo di contatto reale proprio con gli operai. Noi eravamo quattro gatti però si può dire che tutte le sere noi andavamo a fare il giro di tutte le varie fabbriche, non solo a Pavia ma anche in provincia, cercavamo di scovare gli elementi più decisi. Ad esempio, alla Necchi la tipologia degli operai era ben distinta da un reparto all'altro, c'erano i reparti dove erano tutti operai giovani, dove si facevano filtrare determinate considerazioni sul sindacato, e c'erano operai professionali, sindacalizzati, molti del PCI, dove invece il sindacato aveva un'influenza prevalente. Infatti, quando noi andavamo a dare i volantini ci chiedevano: "Ma voi chi siete?". Però, chi siete rispetto al sindacato e non chi siete rispetto al PCI, era soprattutto un discorso di tipo sindacale estremista, di agitare affinché le cose si concludessero con gli scioperi, e qualche volta ci siamo anche riusciti stranamente. Un sabato mattina alle 11 abbiamo fatto uscire tutta la Necchi, e il sindacato è arrivato mezz'ora dopo, arrabbiatissimo.

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