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INTERVISTA A MARIO PICCININI - 10 GIUGNO 2001
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Qual è stato il tuo percorso di formazione politica e culturale e gli inizi della tua attività militante?


Sono nato nel '51 a Vicenza e mi sono iscritto alla fine del primo anno delle superiori alla FGCI diventando uno dei cinque studenti medi di una FGCI ancora segnata dalle magliette a strisce del '60 e venendo catapultato, come avveniva spesso con gli studenti, in segreteria nel giro di un anno. Quindi, la mia formazione è stata nei canali della gioventù comunista nella posizione atipica di uno che proveniva da una famiglia non operaia, di ceto medio impiegatizio, all'interno di un'organizzazione non solo operaia ma anche operaista, per cultura o subcultura, e che vi era arrivato attraverso l'esperienza dei giornali studenteschi e la cultura dell''impegno'. Un'esperienza molto giovanile, tra i 14 e i 17 anni, però fatta paradossalmente dalla testa dell'organizzazione: a 16 anni mi sono trovato ad essere commissario della FGCI a Schio, cioè nell'area industriale più grossa della provincia di Vicenza, che ne faceva una delle prime dieci aree in Europa per numero di addetti all'industria in rapporto alla popolazione attiva. Ricordo che lì c'era un gruppo di compagni, tutti più vecchi di me, segnati da esperienze di emigrazione, gente che se n'era andata giovanissima e che tornando avevano avuto un ruolo di promozione nelle lotte in alcune medie fabbriche del tessile. Era un gruppo che aveva tenuto con l'organizzazione un rapporto ondivago, che stentava ad andare oltre la tessera, ma che si era reso disponibile quando tentammo di dare vita a un intervento politico di fabbrica. Con questi ci furono le prime discussioni in cui si mettevano in dubbio gli orientamenti prevalenti di allora: la pace, il dialogo con i cattolici, le consulte giovanili, l'unità dei movimenti giovanili della sinistra. Ci fu ad esempio - ricordo ancora con emozione episodi di questo tipo - una riunione al circolo di Schio, preparata n gran parte su materiali che venivano da fuori del partito, sulla rivolta di Newark per spiegare che si trattava di roba in cui c'entravano gli operai, c'entrava la lotta di classe con questi lavoratori tessili che non erano più ragazzi e che si rapportavano a me che venivo da un liceo classico di città, raccontandomi "ah, sì, noi italiani in Belgio...". Questo è stato un pezzo di percorso per me importante, dove gli aspetti di ideologizzazione e di esperienza si sono, anche se in maniera a volte assolutamente immaginaria, comunque mischiati, producendo - come è avvenuto credo per tutta una generazione - una radicalizzazione politica che nel giro di due anni, nel '67-'68 mi ha portato fuori del partito, ma con un idea di organizzazione larga, con un'immagine di movimento di classe tutto sommato non intellettualistica e non di gruppo. L'uscita dalla gioventù comunista fu ovviamente un affare complicato: i soliti mesi di grande difficoltà, "si esce o non si esce", mentre nel comitato federale cominciavano le espulsioni, chi espelleva veniva espulso sei mesi dopo, con un senso generale di deflusso, di abbandono della nave in ordine sparso. La mia uscita avvenne su posizioni maoiste, il che mi pare l'inevitabile compromesso tra la cultura dominante in FGCI e la percezione del carattere travolgente e ineluttabile dei mutamenti in corso. In partito, me ne sono reso conto ovviamente solo più tardi, le cose erano decisamente più complesse e la componente di sinistra che attorno a Romano Carotti gestiva la segreteria aveva una cultura politica più innovativa e sensibile alle nuove qualità delle lotte operaie, con cui riuscirò ad interloquire positivamente solo anni più tardi. Ho un ricordo vaghissimo dei numeri di Classe Operaia che giravano in federazione e venivano fatti sparire dai tavoli, e che a me allora risultavano del tutto incomprensibili. Nel frattempo nel '67 avevamo costruito nel mio liceo un gruppo di studio che leggeva "Lire le Capital" e i Cahiers Marxistes-Leninistes: la schizofrenia più assoluta insomma, dove le cose marciavano mediate dall'esperienza organizzativa che avevo io e con qualcun altro che avevo tirato dentro dell'esperienza dei giornali studenteschi, che è stata abbastanza grossa, specialmente con il crescere del movimento contro la guerra del Vietnam.

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