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INTERVISTA A MARIO PICCININI - 10 GIUGNO 2001


Quali autori, secondo te, possono nell'oggi fornire delle importanti chiavi di lettura critica in un discorso sulla politica?

Diamo una versione minimalista alla domanda, parlo di cosa è probabilmente utile su questo terreno. Intanto vadano prese sul serio tutte le operazioni che ricostruiscano criticamente la strutturazione logica dei dispositivi politici moderni: penso che questo lavoro decostruttivo sia ancora molto importante, non come fine a se stesso, e che vada protratto con radicalità ancora a lungo. Credo che ci sia una riflessione anche di ordine filosofico da spingere avanti su identità, soggetto, soggettivazione. Leggevo proprio poco fa l'intervento di Tronti a un convegno essenzialmente di storici fatto a Piombino su classe operaia e identità. Questo insistere su identità lascia spazio solo alla memoria, manca completamente la questione della soggettività o la riduce a soggetti immaginari dei processi collettivi. E' importante insistere su questo punto sul tema del nesso collettivo-individuale, anche nelle discipline sociologiche, quelle sociologiche ad esempio. E' un passaggio che risulterà decisivo politicamente. Faccio un esempio: credo che dobbiamo rendere conto più di quanto sia stato fatto dell'esperienza storica del socialismo reale. Le file davanti alla Porta di Magdeburgo alla caduta del Muro rappresentano un problema di antropologia politica (cioè non di antropologia) che ci chiede di ragionare non sulla del socialismo come ideologia o avvenire virtuale, quanto sull'antropologia politica degli stati postrivoluzionari, e se vogliamo un po' provocatoriamente sull'antropologia del welfare-state, tirando dentro a questa esperienza, con una riserva politica, anche l'esperienza degli stati di cosiddetto socialismo reale. Credo che ci sia poca riflessione sull'antropologia politica dei dispositivi di sicurezza sociale allargata. In questa direzione costruire un discorso su individualità, singolarità, spazi di soggettivazione, costituisce un lavoro importante da fare. Oltretutto in questo momento mi pare che ci sia una sensibilità comune su questo punto, in termini appena diversi uno come Paolo Virno sta facendo un tentativo in questo senso. Con Mezzadra, Ricciardi e altri abbiamo costruito un network di ricerca su società, che ha questi temi come soglia e strumento critico l'ambivalenza politica dei processi di individualizzazione, di singolarizzazione. Le cose che mi sembrano più interessanti nell'orizzonte di un postmarxismo conclamato come quello francese, penso a Badiou e in prospettiva diversa a Balibar, vanno in questa direzione. Ma sul postmarximo comunque la cosa è sempre un po' tragicomica, un'amica che si chiama Heidi Gerstenberger, una storica molto brava, il cui tasso di ortodossia è credo maggiore a quello di tutti noi, mi diceva una volta di non potere definirsi marxista perché non credeva nelle leggi del materialismo storico! In tema di definizioni resterei almeno provvisoriamente su quella, tutta politica, che dava Lenin, il problema è capire cosa possa significare, consumandosi, oggi.

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