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INTERVISTA A TONI NEGRI - 13 LUGLIO 2000

L'unica cosa sicura è che dopo il '68 non si ragiona più nella stessa maniera in cui si ragionava prima: questo lo vediamo nella nostra piccola storia e possiamo vederlo anche nella storia grande. Qui siamo veramente in un mondo completamente nuovo e chi non lo capisce peggio per lui: il mutamento è stato assolutamente radicale, se Dio vuole è finito il socialismo, ci si rende conto?, è finito un secolo e mezzo di storia organizzata o anche di più che si apre dalla rivoluzione francese in poi, e tutto questo finisce tra il '68 e l'89, finisce e non tornerà se Dio vuole. Solo che a questo punto si tratta di capire in questa nuova situazione che cosa si fa, come si ri-inventa il mondo della sovversione, e cioè il mondo della potenza: e qui siamo tutti noi che continuiamo a produrre. Però, esiste uno sfruttamento che sta nella divisione, più che nell'accumulazione di quantità specifiche di pluslavoro credo che stia fondamentalmente nel comando, nell'esercizio del comando che diventa sempre più parassitario dal punto di vista produttivo, economico, quanto invece diventa più pieno dal punto di vista del disciplinamento del controllo. Queste sono tutte cose che nascono dopo, almeno per quanto mi riguarda sono cose che io ho imparato in Francia. Quello che è molto importante, per esempio, è quanto l'operaismo italiano sia stato importante su autori come Foucault, Deleuze e questi qui: ha proprio costituito parte della loro esperienza, che poi hanno rovesciato nel loro discorso e che oggi può essere in parte recuperato. Questo è molto, molto importante, io scherzo spesso dicendo che bisognerebbe veramente sciacquare i nostri panni nella Senna, ma proprio con questo giro che c'è stato. Quello dell'organizzazione credo che sia un problema di ri-invenzione di un'antropologia politica reale: si tratta di capire che cosa sono i corpi oggi, che cosa significa lottare, su che bisogni, quindi quali sono le forme di coordinamento, di cooperazione, le forme specifiche, si tratta veramente di mettere in piedi proprio una nuova antropologia. Il marxismo da questo punto di vista veramente l'abbiamo scavato fino in fondo, a questo punto bisogna inventarsene un altro di marxismo; il marxismo resta comunque utile, fino in fondo, sempre, però ce n'è proprio un altro da scavare.


In un tuo articolo nel primo numero di Posse c'è un pezzo in cui dici: "[...] Quello che vive, nel contesto biopolitico globale, vive contro il biopotere dei padroni [...]". In che senso? Chi vive è spontaneamente contro? La soggettività espressa è di per sé antagonista? La composizione di classe è di per sé antagonista?

No, assolutamente, ci mancherebbe altro, il per sé antagonista è solamente un'illusione, un sogno di uno spontaneismo che non esiste. Io credo che effettivamente le condizioni della riproduzione generale oggi siano le condizioni nelle quali la riproduzione del genere umano (non del genere femminile o maschile) sono tali per cui non c'è più bisogno di quell'organizzazione capitalistica, o del comando capitalistico, nell'organizzazione della produzione che prima era dato. Quando dico questa cosa, esattamente come prima quando dicevo che non c'è più un rapporto di misura e che quindi è un rapporto parassitario quello che si pone, lo dico in questi termini: non c'è più un rapporto tra comando, valore e lavoro, tutte le relazioni in proposito sono saltate ed è bene che siano saltate, non è che sono nascoste, sono proprio saltate. Il valore del lavoro non si dà più in qualche maniera fuori da quello che è il sistema della sua estrazione: si dà dentro, non c'è più fuori. Da questo punto di vista io mi diverto a dire che siamo in un'età postmoderna, il moderno è finito, anche se poi parlo di età, parlo di ontologia postmoderna e non il mondo di pure finzioni. Quello che mi interessa, in questo caso, è il fatto che le condizioni nelle quali il lavoro umano si riproduce, produce ricchezza, non esigono più delle funzioni di comando: quindi, il comunismo è pensabile, il comunismo è attuale da questo punto di vista, non c'è più bisogno di programma di transizione. C'è bisogno di rivoluzione comunque, anche se nessuno più sa definirla perché parlare di rivoluzione e parlare di organizzazione è la stessa cosa evidentemente, non è che chi parla di organizzazione parla di organizzare l'egemonia, che cavolo significa? Organizzi l'egemonia per la rivoluzione, di Gramsci puoi parlare solo in questi termini. C'è tutto questo tentativo di sociologizzare sistematicamente Lenin, Gramsci e tutta la tradizione del discorso organizzativo: o hai questa espressione di potenza che ci sta dentro a questo discorso o se no dici le barzellette.

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