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INTERVISTA A YANN MOULIER BOUTANG - 7 LUGLIO 2001


Da quel momento lì mi sono stancato della "sceneggiatura" francese, non ho più partecipato veramente a Information et Corrispondance Ouvriere e a tutte le altre cose perché il discorso mi sembrava vecchio, anche se avevo interesse a leggere le critiche di Lenin e a seguire tutta l'agitazione perché come studente partecipavo ai collettivi antiautoritari. Però, per il discorso politico ho incontrato questo Beppe Bezza, che era molto interessante, un personaggio un po' strano, e lui mi ha portato la cosa decisiva che è stata Tronti. Io non parlavo per niente l'italiano, non sapevo neanche leggerlo, però, dato che avevo vissuto in Brasile dai 13 ai 17 anni, mi è diventato facile impararlo e poi leggerlo. Bezza aveva firmato un tipo di accordo con Edition et Documentation Ouvriere, che era un posto famoso in cui si facevano delle traduzioni, e Robert Paris, il famoso curatore di Gramsci, cercava di far tradurre il libro di Tronti; poi sono stato coinvolto in questa storia dal '70 fino alla pubblicazione, che è avvenuta nel '77, però il testo era finito nel '74. Questa è stata la mia formazione: facendo la traduzione di "Operai e capitale" ho cominciato a leggere un po' sistematicamente sia Marx sia Lenin, perché per il resto avevo piuttosto una formazione di critica, mi interessavano molto Scholieau, Cardan, i rapporti di produzione in Russia, il che era una discussione importante, avevo letto tutta la tradizione di Pannekoek e gli altri. Sono tornato a vedere Tronti, è stata una cosa interessantissima, dopo di che ho incontrato anche i compagni portoghesi che erano in gran parte ex del PC clandestino, e durante quel tempo avevano pubblicato due o tre pamphlet sull'Angola e lo sciopero operaio nel Limburgo; ho lavorato con loro, poi con alcuni studenti della Scuola Normale abbiamo fatto un gruppetto. Abbiamo fatto anche il go between tra questi gruppi, gli italiani (che progressivamente si sono rivelati più o meno tutti di Potere Operaio) e i gruppi francesi, quelli più prossimi, cioè Vive la Revolution e gli altri. Nel '71 sono andato ad un convegno organizzato da Potere Operaio a Firenze, con Lapo Berti e tutti gli altri: all'inizio io ero piuttosto legato a gente come Sergio Bologna, decisamente Alquati mi interessava molto, c'era tutta quella parte di Potere Operaio che era più operaista, la più trontiana, la meno soggetivista. Nel '73 ho incontrato Negri, e fino al '79 non ho smesso di essere coinvolto nella storia italiana piuttosto che in quella francese.
Dunque, la formazione è tata tipicamente operaista, ho letto tutto quello che veniva prodotto, come si diceva erano i più grandi marxisti del mondo, però probabilmente troppo intelligenti, come sosteneva Lapo Berti: "siamo talmente intelligenti che lo prenderemo nel culo!". Pensandoci un po' da capo, erano specialmente un paio le cose che mi interessavano: come capire questa società dal punto di vista della fabbrica, ho avuto sempre una curiosità che ho imparato dagli operaisti, che oggi mi serve anche professionalmente, per i funzionamenti materiali del processo di lavoro, ma leggendoli come processi politici o come concentrato della politica, per riprendere il nostro caro Lenin, cioè il vedere questo tecnico come concentrato della politica, come controllo ecc. Questa mi sembrava una rivoluzione epistemologica. Dunque, interesse per gli operai, per i movimenti sociali, per il basismo, per la democrazia di massa, e d'altra parte interesse intellettuale come paradigma. Io mi sono un po' autoformato, prima dei vent'anni non sono stato coinvolto nel marxismo tradizionale come formazione didattica. Dopo di che io sono stato un autodidatta, con maestri come Alquati, Negri, Bologna e gli altri, si trattava veramente di una generazione straordinaria. In Francia sono stato molto isolato: è infatti molto curioso il fatto che sia rimasto completamente estraneo al paesaggio politico-teorico francese. Non condividevo né l'idea politica dei maoisti, né quella dei cristiani di sinistra, da Clavel a tutti quelli che si definivano sartriani, poi non condividevo neanche gli althusseriani che erano tutti tornati attorno al partito, né Althusser. Avevo tutti i riferimenti in un altro paese, è stata un'esperienza di emigrazione teorica. Per di più ho fatto delle iniziative militanti, nel '73 abbiamo organizzato alla Scuola Normale un seminario che probabilmente era molto emblematico di quello che io cercavo inconsciamente: da una parte abbiamo fatto venire Negri, Daghini, in un dibattito sul concetto di capitale, sulla crisi della legge del valore, al tempo in cui Althusser mandava le persone a vedere e queste non capivano niente di quella cosa lì; poi, dall'altra parte, abbiamo fatto un incontro con gli operai dell'auto con Romano Alquati e alcuni altri. Il peso politico di queste cose era però quasi nullo, tranne che per un piccolo circo non aveva riferimenti massicci. Naturalmente durante questi anni ci sono state discussioni con gli italiani, coordinamenti internazionali a Zurigo, e lì io mi sono confrontato con questa storia del partito, con la fase leninista di Potere Operaio, e probabilmente c'era chi aveva la percezione immediata del limite della questione, già Alquati e Bologna erano molto dubbiosi su questa cosa dal '72, di fatto nel '73 è diventato chiaro.

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