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INTERVISTA A YANN MOULIER BOUTANG - 7 LUGLIO 2001


Penso che probabilmente sarebbe stata utile un'apertura più forte al dibattito con i radicali anglosassoni, a cui veniva tolta ogni possibilità di fare della bella politica: questo spazio civico della politica generale è stato distrutto nei paesi anglosassoni, non esiste, perché esistono lotte radicali, punti di vista radicali, ma questa idea del ceto politico di sinistra che si nutre di una certa tradizione illuministica, poi statale, poi storica, non esiste nel paese, ed è di fatto la condizione generale. Credo che ciò l'operaismo l'abbia pagato, e rileggendolo (perché io ho letto delle cose vecchie dell'operaismo) c'è tutta una parte di retorica che è legata a questa cosa. Per esempio, "Operai e capitale" è stato tradotto in Spagna e io mi chiedo veramente come persone giovani di 25 anni possano leggere queste cose: è stata una riedizione, come leggere "Lenin in Inghilterra" quando tu non hai più quella cultura marxista classica? E' per questo che io penso che dobbiamo ritrovare dei riferimenti, delle ipotesi operaiste: io non ho fatto molto di più che riprendere anche l'ipotesi operaista all'interno del mio discorso sul lavoro salariato, però cambiando di terreno, non più sulla vecchia Europa ottocentesca o novecentesca, ma su un terreno mondiale di confronto di forme di sfruttamento nuove.


Quali sono secondo te gli autori e le figure che possono offrire degli spunti e delle chiavi di lettura politica importanti nell'analisi della presente transizione e in prospettiva futura?

Io sto lavorando con Maurizio Lazzarato, tentiamo di trovare uno spazio che non sia lontano da Marx in un certo modo; lui litiga anche con Toni su delle cose del genere, ma io penso di trovare un luogo di discussione. Poi naturalmente ci sono stati Deleuze, Guattari, Foucault. E' difficile rispondere a questa domanda, perché di fatto a un certo punto a me piace leggere piuttosto la storia di parti sconosciute, storia delle piantagioni, o oggi storia del cognitariato: queste figure ibride che sono esploratori e che sono sempre la frontiera. In queste fase di transizione è gente che sta un po' in un mondo, un po' nell'altro e poi nell'altro ancora, e questo crea una differenza di potenziale interessante. Direi che sono tutte queste figure nella frontiera ad esempio americana, che erano i cacciatori, i contrabbandieri, i pirati, tutto questo tipo di figure ibride dal punto di vista culturale. Mentre invece oggi trovare il corrispondente nella nostra società moderna, calda e naturalmente nascosta, perché non si vede immediatamente. Questi contrabbandieri erano dei marginali nel loro tempo, e oggi qual è questa gente? Allora, per esempio ho trovato queste persone che vivono in Internet, è probabilmente gente che sta elaborando dei valori, un certo tipo di convivialità, che vi assomiglia più o meno, ma questa volta non come delle basi rosse, con tutta questa figura un po' retorica delle basi rosse: vive in un certo mondo, un mondo virtuale che però è anche un mondo effettivo della cooperazione cognitiva, che diventa pure immediatamente cooperazione intellettuale e politica. Prendo sempre l'esempio di questi ricercatori interni alla Monsanto che successivamente alla pubblicazione sull'Intranet della firma del progetto, l'hanno diffuso nel web e hanno raccolto 8000 firme contro questo progetto, e di fatto tre giorni dopo la firma ha dovuto cambiare. Questo è il tipo di organizzazione, è affascinante capire come funziona. Penso ad alcune cose di Romano legate a questa idea, sono di fatto realizzate, sono diventati fatti reali, e oggi funzionano come la ricreazione di uno spazio pubblico e comune che precisamente è tolto nella società classica, che non esiste più, perché la piazza non è più il luogo delle manifestazioni, i comizi e le elezioni non sono più il luogo della politica, e la politica si è spostata su questo tipo di cose. Cioè, l'intelligenza critica del mondo si fa oggi con tutta questa gente che va sul net, prende delle informazioni, e questa è anche diventata forza produttiva, ma anche forza produttiva di denaro, non solo di critica. Leggere tutta questa cultura (perché ci sono vari autori che cercano di sapere come funziona) mi sembra una cosa molto interessante oggi per le ricerche che sto facendo. Ma dire autori precisi non è facile. La cosa più interessante che ho visto recentemente è stata trattata per il nostro prossimo numero sulla critica dell'universale, ragione mestizia, si tratta del concetto della colonialidad del potere, elaborato da gente che cerca di sapere come funzionava e funziona ancora dopo la decolonizzazione un colonialismo del potere interno a tutto, alla politica, alla scienza ecc. E' interno a una geopolitica del sapere, e non più solo a una geopolitica della geografia, della forza. Dunque, c'è il problema di che tipo di sapere, che pensiero c'è ai margini, dentro e contro: ma questo dentro e contro non è più quello dell'operaio dentro la fabbrica, ma è il dentro perché tutti siamo coinvolti nel movimento del capitale mondiale, però è ai margini per avere una visione, ad esempio, di quelli che sono stati emarginati. Cioè, ricostruire il punto di vista della totalità, però non per fare una fusione, ma per guardare questa divisione, questa spaccatura, questa scissione, e quindi la duplicità del pensiero intellettuale che è allo stesso tempo interno alla globalizzazione ma pensa anche a tutto quello che la globalizzazione continua a colonizzare, come continui ad essere un potere coloniale, non solo un potere classico. Un potere che si nutre di cose che sono ben al di là della fabbrica o dello sfruttamento.

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