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INTERVISTA A SANDRO MEZZADRA - 3 APRILE 2001


Contemporaneamente si è conclusa anche un'altra esperienza abbastanza importante messa in piedi alla fine degli anni '70, quella della costruzione di una libreria di movimento che funzionava come punto di riferimento per i compagni in centro. Quando sono arrivato io a Genova non esisteva più praticamente nulla per quanto riguarda il tipo di esperienza di movimento a cui io mi riferivo e a cui io ero stato, sia pur in una posizione marginale, a Savona, interno fino a quel momento. C'era un gruppo di compagni a Balbi, all'università, io mi ero iscritto a Filosofia, che avevano rifondato il Collettivo Autonomo dopo gli arresti relativi ai fenomeni di cui parlavo prima. Ho cominciato a lavorare con loro e a un certo punto, insieme a un paio di altri, ho avuto un'idea un po' bizzarra ma che comunque allora mi sembrava la cosa giusta da fare, ossia di provare a ricostruire un tessuto di movimento autonomo a Genova. Ho lavorato a lungo in questa prospettiva sia in città sia ricollegandomi a quello che stava succedendo a livello nazionale, prima con un'internità a quel bizzarro organismo che era il coordinamento nazionale dei comitati contro la repressione, e poi - dopo la rottura con esso - con un'internità invece piena al tentativo di ricostruire il coordinamento dell'Autonomia a livello nazionale, a partire dalla campagna contro la tortura nell'82 e poi soprattutto dalle manifestazioni contro il supercarcere di Voghera nell'83 e contro i missili Cruiser a Comiso nell'estate dello stesso anno. Sono stato interno a questo percorso, che non mi pento in alcun modo di aver fatto, ma che considerato a distanza di un po' di anni rivela molti aspetti di debolezza, perché il quadro soggettivo dei compagni che portavano avanti questo progetto a Genova era piuttosto disomogeneo e soprattutto molto poco radicato in città, molti eravamo studenti fuorisede. Vecchi compagni (di cui poi fortunatamente sono diventato amico e con cui anni dopo, finito il "grande freddo", ho condiviso molte esperienze politiche) mi hanno raccontato che ci guardavano un po' come dei marziani, come dei soggetti estranei alla storia che era stata la loro e che noi in qualche modo pretendevamo di continuare. E poi il nostro riferimento era di tipo essenzialmente universitario e guardavamo la città attraverso le lenti dell'università, avevamo una presa praticamente nulla sulla realtà sociale di Genova. E' un'esperienza che, ripeto, non mi pento in alcun modo di aver fatto ma che, considerata a distanza di qualche anno, denota a mio giudizio limiti consistenti non soltanto locali, ma anche nazionali. Gli aspetti più negativi di quell'esperienza sono sicuramente quelli legati ai dibattiti interminabili (tanto è vero che di tanto in tanto vengono fuori ancora adesso) sulla questione della dissociazione. Il riferimento al dibattito sulla dissociazione è in qualche modo importante perché è stata un'altra questione su cui ci sono state molte incomprensioni e su cui abbiamo incontrato delle difficoltà nei primi anni '80 a uscire dal ghetto in cui ci eravamo rinserrati. Poi nell'86-'87 le cose sono un po' cambiate, abbiamo messo in piedi da una parte un movimento significativo all'interno delle scuole e dall'altra un comitato che lavorava sulla questione degli spazi sociali: quello è stato veramente il momento (diciamo '85-'86) in cui io stesso ho avuto l'impressione di essere finalmente genovese nel mio fare politica, di muovermi in sintonia con qualche processo che, per quanto marginale, aveva degli elementi di realtà. Lì si è costruito un percorso che era in continuità con l'altro, ma anche con alcuni elementi di discontinuità che poi passano attraverso una prima esperienza di centro sociale nell'87-'88 che era l'Officina, poi c'è il movimento della Pantera e successivamente, negli anni '90, il lavoro, su basi molto diverse rispetto a quelle del passato, con gli immigrati.


Come si è sviluppato questo percorso politico con gli immigrati?

Io proseguo in chiave autobiografica. Dopo l'85 avevo molto rarefatto le mie presenze a livello nazionale perché onestamente non credevo più nel tipo di progetti che avevo contribuito a portare avanti negli anni precedenti. Dopo l'88-'89 per un periodo mi sono un pochino tirato fuori dalle vicende genovesi, sia pure mantenendo rapporti e un interesse di fondo per le cose che avevo fatto: nel frattempo mi ero infatti iscritto all'università a Bologna, avevo cominciato a studiare in modo più serio di quanto non avessi fatto fino a quel momento, e sentivo comunque anche l'esigenza di un periodo di pausa, di "sospensione" di un'attività militante che durava senza sosta da dieci anni. Anche se poi dentro la Pantera ci sono stato, ho fatto delle cose ecc.; ma sono davvero ritornato a fare politica attivamente nel '93, quando c'è stato questo susseguirsi di scontri nel centro storico di Genova fra abitanti autoctoni (o presunti tali) e abitanti immigrati.

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