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INTERVISTA A SANDRO MEZZADRA - 3 APRILE 2001


Penso che ci sia da parte di Tronti, fin dai primissimi anni '60, questa ansia di trovare sul terreno del lavoro, quindi sul terreno della fabbrica, degli elementi di concretezza soggettiva che sul terreno della valorizzazione, quindi della società, gli sfuggivano continuamente di mano. Per cui molto spesso, rileggendolo oggi ovviamente, si ha l'impressione che anche l'assoluta densità e concretezza storico-sociale del soggetto operaio che all'interno della fabbrica viene analizzato da Tronti, rechi traccia di quella natura appunto fantasmatica che gli deriva da una vera e propria ansia e angoscia di ogni elemento di soggettività invece sul terreno più largamente sociale, dove predominano i consumi, dove predominano elementi di integrazione e di anomia. Da questo punto di vista credo che, rileggendo il Tronti degli anni '60, si potrebbero trovare (e c'è qualcuno che sta cominciando a farlo) dei collegamenti interessanti con la sociologia americana di quegli anni: l'impressione è che il suo soggetto sia un po' pensato sul rovescio della sociologia americana degli anni '50 e '60, insomma da Galbraith a David Riesman, "La folla solitaria". Sarà che sono un po' influenzato da un testo che ha scritto un compagno milanese che si chiama Damiano Palano, che ho letto giusto ieri e che argomenta proprio questo tipo di influenza, tutta da dimostrare naturalmente. In Negri invece il soggetto è sempre pensato con caratteri di pienezza assoluta. E questi caratteri di assoluta pienezza del soggetto sono quelli che diventano poi in Negri predominanti a partire dagli anni '70, quando trovano filosoficamente una sorta di sanzione attraverso la riscoperta di Spinoza (e non mi sogno minimamente, a questo proposito, di mettere in discussione la straordinaria carica innovativa che ha avuto la rilettura dell'olandese proposta da Toni: il punto è semmai che non mi convincono certe trasposizioni meccaniche di categorie spinoziane sul terreno della lettura critica del presente). Però, nel complesso, per quanto secondo me Negri negli ultimi anni sia stato anche più attento di Tronti a recepire quanto di nuovo viene dal dibattito internazionale e via dicendo, credo che ci siano degli elementi di sostanziale parallelismo nello sviluppo teorico di questi due autori. Io, ripeto, personalmente non sono molto convinto né dall'una né dall'altra immagine del soggetto che ci viene proposta, perché ho l'impressione (e questo appunto riguarda una buona parte dell'operaismo italiano, Tronti e Negri non sono tutto l'operaismo italiano ma sono sicuramente una buona parte) che ci sia un tratto molto formale, per dirla in due parole, dell'immagine del soggetto che emerge dall'esperienza dell'operaismo italiano complessivamente considerata, se la si legge in termini teorico-concettuali. Poi se si vanno a vedere le mediazioni pratiche, i rapporti con le lotte, soprattutto negli anni '60, è ovvio che il giudizio è diverso. Però, ho davvero l'impressione che non ci sia nell'operaismo italiano lo spazio per una riflessione sui processi di costituzione della soggettività, che sono anche processi che costringono, tanto più nel nostro presente, a ragionare con gli elementi di scissione della soggettività, gli elementi di sostanziale deprivazione che caratterizzano le figure contemporanee della soggettività. Faccio un esempio: noi oggi stavamo parlando delle questioni delle migrazioni, e io su questo ho scritto alcune cose, sto continuando a scriverne, e una delle tesi che ho avanzato l'ho tra l'altro ripresa da un lavoro affascinante e di grande interesse fatto da un operaista non italiano ma francese, cioè Yann Moulier, che è comunque assolutamente influenzato dallo sviluppo dell'operaismo italiano. Una delle tesi che ho dunque avanzato, sulla scorta appunto di questo lavoro di Yann, è che delle migrazioni debba sempre essere posto in rilievo l'aspetto soggettivo. Questa è una tesi che nella mia esperienza politica ha avuto un versante immediatamente polemico: il migrante nell'immaginario della sinistra italiana ha fatto capolino tra gli anni '80 e gli anni '90 come soggetto sostanzialmente debole, come soggetto meritevole di assistenza se non di carità nelle componenti di cultura politica più influenzate dal volontariato cattolico all'interno della sinistra. Porre invece in evidenza gli aspetti soggettivi delle migrazioni significava dire che qui siamo di fronte a delle figure soggettive che hanno comunque una capacità di incidere sul loro destino. E la categoria che io ho proposto di impiegare è quella di diritto di fuga: il diritto di fuga praticato dai migranti come elemento di dinamicizzazione sociale, a cui si contrappongo i limiti posti alla mobilità del lavoro dal capitalismo lungo l'arco intero della sua storia. Leggere le migrazioni in questo modo secondo non è poi particolarmente originale perché, ripeto, da questo punto di vista riprendo molte cose da Yann Moulier, ma sicuramente produttivo. Leggere cioè le migrazioni nel campo di tensione determinato da una parte dalla critica pratica della divisione internazionale del lavoro che con la decisione di abbandonare il loro paese i migranti esercitano; dall'altra parte la proliferazione dei confini contro profughi e migranti come ultima figura in cui si esprime una tendenza che caratterizza nel suo ciclo lungo il capitalismo storico.

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