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INTERVISTA A MARIA GRAZIA MERIGGI - 21 APRILE 2000


Ho letto in tante memorie di militanti della nuova sinistra l'impressione di avere dato al movimento operaio; io sinceramente non ho mai avuto questa impressione, ho avuto quella di avere ricevuto, ascoltato. Certamente abbiamo avuto delle meditazioni, la classe operaia economica, scientifica spesso ha coperto la realtà sociale e, se vogliamo, anche umana degli operai al plurale. Però, tutto sommato, penso di avere imparato, per esempio, a disciplinarmi a delle vicende collettive, all'ascolto. Poi, quando si hanno vent'anni, queste mattine fredde davanti alle fabbriche, le riunioni dove per la prima volta si confrontano linguaggi diversi sono state momenti di formazione importantissima, di passaggio rapidissimo all'età adulta. Ho imparato moltissimo.
Successivamente sono venuta a Milano, perché veramente volevo vedere e confrontarmi con la grande realtà industriale e, inoltre, fare anche un'esperienza mia personale della grande città. Sono arrivata a Milano nel '71, qui mi sono laureata, non ho aderito a Lotta Continua, ma ho invece incontrato, necessariamente (a Milano non potevi farne a meno), i CUB, i movimenti di base. Questi avevano un aspetto molto interessante, erano anche delle realtà in cui venivano coinvolti impiegati, tecnici, cioè tutto quel mondo giovanile che veniva dalle scuole serali e che non era l'operaio-massa torinese, ossia non era la figura che passava bruscamente come si vede nel libro di Balestrini dalla passività all'antagonismo radicale. E secondo me Balestrini vi ha messo anche del suo, e naturalmente non del meglio; però, insomma, degli Alfonso li ho conosciuti anch'io; di certo, per esempio, il rapporto con le donne, quello con l'etica comunista proletaria di questi ragazzi rendeva difficile fare con loro una struttura organizzata. Invece, il mondo dei CUB (che poi avrebbe formato Avanguardia Operaia e Democrazia Proletaria) era fatto di militanti che avevano già iniziato un percorso di autoformazione, quindi la loro contestazione del sindacato aveva un'autorevolezza che a me è sembrata più convincente. Quindi, ho conosciuto Mosca, Emilio Molinari, i compagni della Borletti come Lina Barbieri: si era formato un coordinamento di operai e studenti che si incontrava dalle parti di via Tolstoj a Milano e che poi è rimasto per anni e anni il mio punto di riferimento; successivamente è diventato Collettivo di Democrazia Proletaria. Con loro ho fatto un percorso per me importante. Dunque, io ho "usato" l'operaismo come lettura dei fatti e come mia strada, senza però seguirne le scelte organizzative "ortodosse". Del resto molti oggi riconoscono che ci sono stati tanti modi di interpretare poi nella pratica l'operaismo. Ho partecipato al convegno Manifesto - Potere Operaio sotto il tendone nel '71, allora si andava un po' a vedere le proposte organizzative che emergevano dai movimenti; però, non mi ha convinto quell'incontro, un po' politicistico, di quadri iperleninisti e di intellettuali separati dal movimento, erano in fondo un corpo che cercava un'anima e viceversa. Dunque, era poco convincente, però anche lì ho conosciuto dei compagni che poi hanno continuato a lottare sul territorio milanese anche bene, validamente. Comunque, la mia esperienza è stata soprattutto in quell'ambito di cui parlavo prima. Nel frattempo, ero precaria alla Statale, addetta alle esercitazioni (poi ho avuto una borsa rettorale), e indubbiamente quelli che la pensavano come me non erano in buonissimi rapporti con il Movimento Studentesco della Statale. Senza rievocare chissà quali scontri, una volta ci fu un'assemblea sulle lotte operaie in Polonia con lo slogan (magari un po' ingenuo) "Detroit come Torino come Stettino" e fummo strattonati via malamente da un militante, il quale poi ha a sua volta aderito a Democrazia Proletaria e, sul ricordo di quello, siamo diventati anche molto amici. Insomma, eravamo un po' all'opposizione culturale, anche perché davamo una lettura di Marx molto diversa, a partire dal marxismo occidentale, dalla lettura immediata della politicità dei conflitti sociali e tutte quelle cose che sono risapute: quindi, la riproposizione di Stalin come padre dei popoli proprio non ci convinceva.
Dunque, noi, giovani (uno si chiamava Renato Nichelatti, che poi si è perso un po' per la strada, non umanamente, è una persona deliziosa, ma ha smesso di studiare, o meglio: di pubblicare), ci siamo trovati naturalmente ad incontrare il gruppo di Aut Aut, cioè Pier Aldo Rovatti, Roberta Tomassini. E' quindi nato questo incontro tra teoria e politica.

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