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INTERVISTA A MARIA GRAZIA MERIGGI - 21 APRILE 2000


Bonomi la pensa diversamente, ritenendo che i centri sociali abbiano esclusivamente la funzione di produttori di socialità artificiale.

Questa è la sua tesi, ma non mi pare proprio che sia così, anche perché se fosse solo socialità sarebbe una socialità che può produrre una certa ansia. E' una socialità dove anche le forme della comunicazione continuamente rimandano ad un mondo spaccato, non è che sono solo dei luoghi irenistici. Ma lui dice anche altre cose. Quando Bonomi ha scritto il primo testo, "Il trionfo della moltitudine", io sono rimasta veramente molto colpita, perché mi sembrava che fosse il primo, in quei tempi in cui pareva che si fosse smarrito il senso della materialità dei processi, che diceva no, che Berlusconi non vince per la televisione, cioè la destra non è un effetto di una battaglia culturale, è proprio passata dentro al corpo sociale. Poi, però, ha un po' reso stereotipata la sua analisi, continuamente ripropone questa fine del lavoro tradizionale e stenta a vedere che, invece, il lavoro è onnipresente, nella manifattura, nelle produzioni materiali la concretezza della fatica è presente ma non solo in Kampucea o in Corea, ma anche qui. Quindi, lui ha avuto una notevole idea, ma l'ha un po' sociologizzata, però lo ritengo uno di quelli che hanno dato un contributo importante, almeno in una certa fase, a dare uno sguardo in profondo nella società.


Non credi che in tutta una serie di analisi (come quelle sul general intellect, di Negri ad esempio) si faccia una fotografia (peraltro da verificare) di una composizione di classe e si esalti una soggettività e dei comportamenti che, però, vanno in una direzione di sviluppo capitalistico? Anche per quanto riguarda il discorso sul sincretismo antagonista di Màdera, si parla sì di conflitti, ma che il più delle volte non sono forme di alterità rispetto al capitalismo, anzi vanno in un senso funzionale ad esso e non certo alla lotta di classe.

Sì, ne sono perfettamente convinta, la penso esattamente così e resto inquieta del fatto che questi, che sono stati a modo loro certamente dei comunisti, non percepiscano l'imbarazzo di questo spostamento, di questo loro derapage. Questo mi sembra per Virno (io faccio un po' fatica a leggerlo, scrive in modo talmente difficile), è così sicuramente per Màdera e per lo stesso Toni Negri: è come se di Marx loro avessero preso solo il fascino per il pensiero radicale.
Io, per esempio, da Toni Negri continuo ad imparare che non si fa la morale al capitale; quando mi disse: "Come fa una donna come te a stare con i proudhoniani della nuova sinistra?", non era vero che la nuova sinistra fosse proudhoniana, comunque io proudhoniana non lo sarò mai. Ma era un'indicazione che ancor oggi faccio mia, a cercare di misurarmi col presente. E' vero che le forme del conflitto di classe possono assumere, per tutta una fase, anche le forme della resistenza comunitaria rispetto a precedenti forme di socializzazione; ma questo non è mai un modello evolutivo. Facciamo un esempio storico. La Prima Internazionale è stata spesso una resistenza alla trasformazione capitalistica, non importa che si dichiarasse marxista; il Partito Operaio era fatto proprio da lavoratori manuali assolutamente privi di una conoscenza di Marx (a parte che lo conosceva pressoché solo Labriola in Italia, quindi non era lì la discriminante), ma avevano la fortuna di non conoscere neanche tanti altri autori che avrebbero loro impedito di avere una percezione chiarissima che la trasformazione capitalistica e la dimensione del lavoro salariato erano un orizzonte ormai ineludibile, attraverso il quale bisognava passare per andare verso un'altra forma. Se loro (Màdera, Virno e gli altri) volessero dire, per caso, non si ferma la macchina, ci devi passare attraverso, sarei d'accordo, però non sono d'accordo con l'esaltazione di soggetti che vivono dentro a questi processi e vi aderiscono: la trasformazione del militante in imprenditore di se stesso a volte è stata una soluzione indispensabile, sociologicamente, se io non lavorassi all'università, probabilmente mi dovrei dare da fare anch'io per valorizzare me stessa, in quanto dovrei mangiare, però questo non mi sembra rivoluzionario. Sono d'accordo, anche questa è la cosa che mi inquieta, che loro non percepiscano in molti casi proprio questo. Adesso poi le ultime evoluzioni di Toni Negri in direzione mistica non le ho seguite.

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