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INTERVISTA A GIAIRO DAGHINI - 1 AGOSTO 2000


Rispetto ai Quaderni Rossi e a Classe Operaia, qual è la tua analisi di quello che era il dibattito interno e delle varie posizioni che si esprimevano? Qual è il tuo giudizio politico su queste due esperienze?

Fin dall'inizio i gruppi sono stati delle avventure appassionanti ma sempre pieni di problemi, anzi di scazzi terribili tra i loro componenti ed era inevitabile che fosse così perché si lavorava senza una carta, senza percorsi tracciati. Nei gruppi si lavorava su territori in parte sconosciuti, non si era dentro il quadro di un partito, non dentro il quadro di una ideologia precostituita, ma sia con le idee sia con le forme di organizzazione si andava non dico a vista, ma insomma in momenti continui di divenire e quindi di ricerca. La cosa grossa, almeno come l'ho vissuta io, è stata la sperimentazione e la teoria. A parte il tormentone dell'entrismo o no nel partito (il famoso "dentro e contro"), la questione veramente importante posta in quella esperienza era quella di uscire dalle forme tradizionali della politica di partito e/o di sindacato attraverso l'inchiesta operaia, attraverso incontri diretti di democrazia di classe, e di far emergere le forme specifiche di una pratica politica operaia. I Quaderni Rossi e Classe Operaia sono stati in questo senso la nascita dell'opposizione di sinistra in Italia e, assieme alle lotte operaie di quegli anni, assieme a Piazza Statuto (che aveva fatto paura a tanti...), assieme a Gatto Selvaggio hanno dato inizio a quello che diventerà la nostra storia dell'operaismo. Sono state un'esperienza grossa, inaugurale. Così come alcuni momenti teorici importanti che nascono lì, penso al commento di Panzieri al "Frammento sulle macchine", o ai testi di Tronti in "Operai e capitale", là dove scriveva dell'aspetto immediatamente politico delle lotte sul salario, e della forza "pagana" dell'invenzione operaia. La cosa che posso dire ancora è che a Quaderni Rossi e a Classe Operaia erano in pochi, ma che mettevano in giro una energia tale che ne ha smossi molti. Io ci stavo soprattutto per imparare; il territorio per me allora era Milano, con il suo fantastico movimento di cultura e di lotte dei metalmeccanici e della Pirelli che cominciavano ad entrare in città...


Arriviamo dunque al periodo de La Classe, con Torino che ha una certa centralità: è un momento chiave, in cui poi si delinea la divisione tra Potere Operaio da una parte e Lotta Continua dall'altra.

Il valore emblematico di Torino è quello di un grande movimento nella città e dentro-fuori la fabbrica, quando questa ha ancora un valore enorme di centralità di classe e di elaborazione di pensiero politico, e l'operaio, o anzi meglio gli operai sono il soggetto individuale e collettivo di una storia che si sta facendo. Direi che gli eventi, gli scioperi, la lotta politica, anche il lavoro di resistenza umana che si è dato a Torino attorno a Mirafiori, e contemporaneamente alla Volvo in Svezia e in altre grandi realtà di fabbriche europee nel '69-'70, sono probabilmente l'ultimo grande ciclo di lotte in cui la classe operaia è soggetto storico trainante per una modificazione, per un cambiamento di società. In questo senso eventi come La Classe, come Potere Operaio, come Lotta Continua, come Avanguardia Operaia, con delle connotazioni molto diverse, in quegli anni, tra il '69-'70, e poi con la lotta Fiat emblematica per tutti gli anni '70, tentano di capire, di cavalcare, di essere guidati da questa cosa qui. La Classe giornale e struttura d'intervento si fa a partire dai compagni romani attorno a Piperno e Scalzone, si fa attorno a ciò che resta di Classe Operaia nella regione di Milano dopo il '67 - e lì ci lavoro con Sergio Bologna soprattutto -, si fa con un rapporto forte nel Veneto e infine attorno a Dalmaviva a Torino, proprio quando sta per cominciare i suoi sommovimenti il vulcano Fiat nella primavera del '69. Ma quel che è importante è che La Classe si concentra fin da subito sulla Fiat, e alcuni di noi inizieranno nella primavera del '69 un intervento che durerà fino all'autunno e oltre. È' su quel giornale che scrivo i primi testi suscitati da quei grandi eventi. Il nostro intervento alle porte delle fabbriche e nelle riunioni notturne alle Molinette, si fa con assemblee e comitati che sempre più si vengono caratterizzando come organi diretti, senza mediazione, di potere operaio. Questi comitati operai che si liberano dalla tutela del sindacato, ci fanno incontrare con i primi processi di autonomia che si esprimono in forme di organizzazione.

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