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INTERVISTA A GUIDO BORIO - 27 OTTOBRE 2001


Se devo fare un'analisi del punto di vista, del modo di essere e di agire di Toni Negri, sicuramente bisogna riconoscere che è stato capace di muoversi sui livelli alti, con una profondità filosofica che gli permette di agganciarsi in una dimensione internazionale, ad un dibattito elevato: questo è certamente uno dei suoi punti di forza. Un suo limite è invece costituito dal fatto che solo raramente è riuscito a collocare il suo far teoria in una dimensione politica di medietà (ad eccezione di due bei saggi usciti scritti alla fine degli anni '60 e poi pubblicati su Contropiano con il titolo "La teoria capitalistica dello stato nel '29: John M. Keynes" e "Marx sul ciclo e sulla crisi"). Gli è mancata la capacità più importante di un dirigente politico rivoluzionario, capacità consistente nell'essere in grado di costruire teoria potente nel rapporto tra movimenti e progetto.
In generale quando ha cercato di assolvere a questo compito ha fatto i maggiori pasticci. I tentativi di costruire forme d'organizzazione politica sono stati completamente carenti, anzi su questi i fatti hanno evidenziato i suoi limiti più grossi. Molte volte ha applicato un modellino abbastanza potente di costruzione dell'organizzazione politica che sull'immediato sembrava funzionare, ma che nel medio periodo è stato completamente inadeguato. Si basava sull'attuare continue forzature pratiche e teoriche, che esaltavano la spontaneità informale o le linee di tendenza non ancora concretizzate, che procedevano rompendo continuamente. Questo modo di muoversi ha fatto sì che la processualità, in termini di radicamento, di consolidamento del tessuto organizzativo e della progettualità, non si consolidasse mai. Il modo con cui Negri è stato all'interno ad alcune esperienze politiche, il modello che ha adottato in determinati percorsi di costruzione di ricerca e di riviste, vedendolo con il tempo, lo si può notare come sempre uguale: cioè, è il cercare di avere una direzione di un processo di costruzione teorica, decentrando a terzi l'articolazione specifica di alcuni temi e categorie collaterali, magari anche importanti. Così pure è costruita l'organizzazione del lavoro, dell'inchiesta che risente molto della dimensione in cui si fanno le cose nell'università.
Quindi, probabilmente lui, consapevolmente o inconsapevolmente, questo modello di intellettuale che ha potere dentro l'università in maniera completamente diversa lo ha riportato anche all'interno delle organizzazioni politiche e del suo far politica, e ciò è sicuramente un aspetto sul quale bisognerebbe ragionare, capendo se è questo il modo di agire più efficiente e efficace per una proposta rivoluzionaria.
In altre parole, credo che vada imputata un po' a tutte le esperienze che hanno girato intorno ai gruppi di Negri, il fatto di non aver mai affrontato il problema della formazione dei militanti politici. Sono convinto che Toni a più riprese abbia inteso l'agire rivoluzionario come suo agire individuale, senza considerare in alcun modo la necessità fondamentale della dimensione collettiva e inoltre abbia inteso la costruzione di un progetto politico come il saper legare attorno a sé persone, esperienze, parti che già esistevano; per cui, in realtà, si tratterebbe di confederare, di mettere insieme, di far stare dentro una stessa stanza o di un'organizzazione soggetti e militanti che già esistono.
Questo limite c'è anche nella teoria che legge molto il soggetto e poco la processualità. Che non si preoccupa del divenire, del piegare e condizionare la tendenza per portarla fuori dalla dimensione capitalistica, ma esalta comportamenti sociali o politici, o la composizione tecnica facendola aderire alla composizione politica, senza porsi il problema fondamentale del cambiamento e della trasformazione rivoluzionaria come passaggio processuale, cioè di costruzione, di liberazione, di contrapposizione "per sé" e contro il capitale. C'è stata invece poca attenzione alla costruzione di un quadro politico militante specifico, e nel fare agire questo soggetto militante nella realtà sociale con continuità, scegliendo dove collocarlo. Nessuna attenzione a qualificarlo a sviluppare delle caratteristiche veramente autonome nel modo di collocarsi, di radicarsi, di agire nella classe: questo è un limite, che poi sulle vicissitudini organizzative si è rivelato come estrema debolezza e fragilità.

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