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INTERVISTA A GUIDO BORIO - 27 OTTOBRE 2001


Quando lo scontro di classe cresce, al suo interno si muovono solitamente sempre più forze organizzative che propongono diverse progettualità fondate su sezioni di classe o ambiti di proletariato che hanno composizione politica differente. In questo muoversi si evidenzia una contrapposizione che ha come fine l'egemonia politica. In questi momenti si producono quasi sempre delle dinamiche particolari. La proposta più forte riesce a polarizzare la situazione nel breve periodo e acquista una potenza trainante. Si instaurano così dei rapporti di forza anche all'interno delle componenti della soggettività e dei movimenti di classe. Questo rapporto di forza interno alle soggettività collettive diventa abbastanza importante perché, sebbene può essere ribaltato da dinamiche di movimento, in genere dà forza alla forza politica maggiore. Così avviene che la forza è data non tanto da una progettualità adeguata, ma dalla posizione nel rapporto di forza interno alle soggettività e alla classe. La forza dell'uno è sancita dalla debolezza degli altri e viceversa. Per questo si produce sovente un effetto polarizzante che porta tutti a misurarsi e a cercare di competere sui tratti salienti della proposta della forza o delle forze trainanti. Il percorso proposto da queste, diventa l'unico effettivamente considerato e concretamente praticato. Ciò porta alla determinazione di rapporti di condizionamento difficilmente eludibili, anche perché tutto quello che si va a muovere al di fuori o in contrapposizione a queste egemonie rischia di essere continuamente depotenziato, annullato o disperso.
Ciò è avvenuto anche negli anni '70 quando ha prevalso la dimensione lottarmatista, che era inadeguata ma ha prevalso togliendo spazio di movimento a tutto ciò che si muoveva in una dimensione antagonista: tutte le proposte che agivano in quel momento in qualche modo ne sono state coinvolte o hanno dovuto confrontarsi con quella dimensione che allora, per i motivi sopra detti, ha acquisito un peso politico condizionante. Già allora, non è che non si capissero gli esiti di quei percorsi, ma diventava difficile sottrarsi a quelle dinamiche se non individualmente. Un'alternativa andava costruita in altro modo: collettivamente contrapponendo un progetto adeguato capace di contrapporsi a questa tendenza, non accettando di misurarsi sullo stesso terreno di competizione armata, ma perseguendo un progetto di effettiva autonomia politica della sezione di classe che tendeva ad essere anticapitalistica.
Riflettendo anche oggi io considero la posizione intermedia della militanza politica come baricentrale, quindi d'importanza fondamentale. E questo lo dico non tanto per l'esperienza personale maturata, ma proprio perché, secondo me, è questa la dimensione centrale per qualsiasi progettualità che abbia il fine di creare rotture delle compatibilità capitalistiche e da queste far scaturire una possibile alternativa antisistemica. E' questa una soggettività politica che viene ad avere contemporaneamente autonomia e dipendenza perché fa tramite, collegando e potenziando, tra quanto c'è e avviene a livello di massa e quanto si progetta a livello teorico in elaborazione rivoluzionaria. Rompe le due dimensioni spurie della spontaneità senza indirizzo, o dell'astrattezza finalizzata alla separazione dalla teoria dalla politica. Intorno a questa baricentralità si dà progettualità e processualità. E' il livello intermedio che permette di agire e muoversi consapevolmente tra un livello di massa e un livello di élite. Sempre in questo su e giù, c'è anche la reale possibilità di evitare che un esasperato e ripetuto tatticismo si sostituisca ad un'effettiva progettualità politica. In questo muoversi senza uno sguardo capace di osservare orizzonti più ampi, e di mirare a fini effettivamente antisistemici, si ricade quando si tenta di costruire un percorso in cui si coniugano solo agitazione e militanza immediata.

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