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INTERVISTA AD ALBERTO ASOR ROSA - 24 OTTOBRE 2001


Diciamo che si tratta di giovani intellettuali militanti secondo me non identificabili con le pulsioni giovanili contemporanee, che semmai si sono presentate qualche anno più tardi attraverso il '68, ma in processi rispetto a cui onestamente io credo che noi abbiamo influito abbastanza limitatamente: dire che abbiamo precorso i movimenti giovanili del '68-'69 mi sembrerebbe un po' presuntuoso e arrogante, anche se qualche cosa può essere passato. Secondo me non c'era il senso di una rappresentanza, non facevamo distinzione, un problema giovanile in quanto tale non l'abbiamo mai affrontato, mentre le altre tre cose sì erano molto rilevanti, erano materia del dibattito con il tentativo di costruire anche una forma di cultura politica nuova. All'interno di questo gruppo di Classe Operaia, dopo la separazione dal gruppo sociologico (definito in maniera molto schematica), la circolazione era fortissima: le differenze originarie, sia pure magari attraverso litigi furibondi, tendevano a osmotizzarsi, è stato un periodo bello e anche divertente.


Rispetto al nodo della cultura (così come su quello della politica) è indubbio che l'esperienza operaista abbia portato degli importanti elementi di critica e novità. Complessivamente, però, quanto è riuscita a mettere fino in fondo in discussione la concezione della cultura (a sinistra prevalentemente intesa come cultura umanistica) ossificatasi nel Movimento Operaio e nella tradizione socialcomunista e il modello dell'intellettuale organico? Quanto è riuscita a creare altro e quanto ha avuto dei limiti?


Quello che posso dire è che in quel periodo tra il '62 e il '68 ci sono state alcune uscite specifiche su questo terreno. Sui Quaderni Rossi Coldagelli e De Caro pubblicarono le tesi sulla ricerca storica, io pubblicai le tesi sulla cultura e la classe operaia, poi nel '65 uscì "Scrittori e popolo" che andava ad abbattere un quasi dogma della tradizione intellettuale com'è vista, Mario Tronti in ogni intervento che faceva proponeva una versione del marxismo diversa da quella dominante. Più in generale (anche se oggi la rievocazione può apparire un po' grottesca data la qualità dei problemi), praticamente ogni uscita nostra era volta a cercare di criticare e demolire la vulgata culturale comunista dominante, cioè quella della produzione idealistica e gramsciana. Facevo prima i nomi di Della Volpe e di Colletti, i quali in qualche modo (forse non più a questa altezza, ma sicuramente negli anni precedenti, in quelli formativi) avevano spinto in questa direzione poiché anche loro, diversamente e su terreni differenti, erano estranei alla versione gramsciana e nazionalpopolare della cultura comunista dominante. Sinteticamente si potrebbe dire che loro (anche Colletti) intanto riportavano l'attenzione sulla lettera dei testi marxisti, spingevano a rileggerli direttamente. Tronti in "Operai e capitale" usa ampiamente la teoria marxista ma in una forma completamente diversa da quella tradizionale, fino a rovesciare persino alcune impostazioni non solo della vulgata marxista ma del marxismo inteso nel suo senso più stretto. Quindi, una battaglia culturale c'è stata. La domanda su che effetti ha prodotto, di fronte a tutta la storia successiva, è forse una domanda non dico mal posta, ma che non serva tanto a capire quello che è successo. Diciamo che si scavò una nicchia di presenza. Al silenzio degli inizi ha corrisposto poi un'apertura di dibattito anche violenta nel nostro caso, quindi non era del tutto innocuo questo tipo di posizione; ma naturalmente cose di questo genere non sono destinate a passare direttamente nella maggioranza, se no sarebbero diverse e sarebbero la maggioranza. Da parecchio tempo io ho smesso di credere all'idea di un processo in cui c'è una presenza che viene misurata in base agli effetti che produce: se usassimo questo criterio di misura dovremmo arrivare rapidamente alla conclusione che è del tutto innegabile che la storia è malvagia e traditrice, ma questo si sa in partenza. Quindi, è importante il movimento vitale che uno crea e i cui effetti forse sono ancora da valutare fino in fondo, magari si potranno vedere tra qualche anno, forse si sono persi.

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