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ROMANO ALQUATI
SUL SECONDO OPERAISMO POLITICO. Estate 2000


Il nodo di Marx che nel recente passato è tornato di più nei dibattiti teorici è quello del formidabile "Frammento sulle macchine" nei "Grundrisse". Alcuni di noi l'avevano scoperto leggendoli in francese all'inizio degli anni '60. I Quaderni Rossi lo pubblicarono, mi pare, nel '62. Con questa faccenda a mio parere da allora sempre fraintesa del General Intellect, che metterebbe completamente fuori gioco la teoria del valore\lavoro di Marx; la quale però fra noi era già molto dubbia e usata magari solo "tatticamente", per altre ragioni a cavallo fra gli anni '50 e '60. Nondimeno già da allora, dai primi anni '60 io rompevo le scatole a coloro che si limitavano alla prima parte di quel profetico frammento ricordando che subito dopo Marx dice in sintesi pressappoco: "ma il capitale è limite a se stesso e non può fare a meno di misurare il valore col lavoro ed il lavoro col tempo, anche intensificato", e così la teoria del valore\lavoro cacciata dalla porta ritorna dalla finestra. Ritorna! E' ancora tutta lì, in Marx! E magari per qualcuno il frammento non faceva altro, malgrado tutto, che riproporre la contraddizione fra le misteriose forze produttive e gli imprecisati rapporti di produzione... E gira questa assurdità del General intellect di per sé alternativo al capitalismo, mentre ne è sua forza produttiva! Ed è singolare il fatto che è stata proprio l'industrialità tayloristica a metterci sulla sua strada. Comunque a qualcuno pareva già allora che, almeno in Occidente, ormai la tecno-scienza facesse tutto lei, anche o innanzi tutto le macchine. Oggi ormai lo pensano quasi tutti! Ma questo è falso!
Oggi però si ri-propone pure un'interpretazione diversa di quel "Frammento": la contraddizione del pur ambivalente capitalismo con certi momenti e forze che lo muovono, che già aveva visto quel Marx lì come potenziale, quanto mai tecno-scientista, è forte e comporta proprio il fatto enorme che da tempo ci si propone, almeno come ipotesi di ricerca..., il fatto di una forte trasformazione del capitalismo. Tantopiù con la grande ondata e "canto del cigno" delle lotte operaie degli operai ricomposti degli anni '60\'70: grande ondata internazionale che ha avuto conseguenze ben più profonde di quel che crede Màdera: sboccando in una sorta di comunismo capitalista... E sfociando nel ridimensionamento (e magari verso l'estinzione) delle classi dicotomiche, dello stato, della proprietà privata, ed altro (della dipendenza fissa del salariato ad es.). Ipotesi... In cui adesso si avvantaggia il capitalismo. Tanto che alcuni tardigradi comunisti collettivisti nella sola proprietà formale che ieri ne sognavano l'abolizione adesso vorrebbero tornare indietro e salvarne qualcosa, perché non si ritrovano più niente in mano. Ma rispetto alla sostanza del frammento marxiano c'è chi ha risposto: "se il capitale è a partire da un certo momento storico, adesso già arrivato, irriducibile limite e contraddizione a se stesso, allora magari la conseguenza è che da questo momento esso può cominciare a morire, che il capitalismo fa passi verso la propria estinzione". Questa è una risposta con la quale ci si deve confrontare! Estinzione la quale però si pensa, fra costoro, che sarà lunga; richiederà molto tempo: ben più di un secolo. (Forse) il capitalismo ha cominciato a finire; od almeno a trasformarsi radicalmente a livelli medio-alti, ed oggi si comincia a vederlo, in specie nei dintorni della rete? Sebbene noi affermassimo già dai tempi del boom che il capitale aveva davanti ancora almeno centinaia di anni, contro quelli che a partire dall'"Imperialismo" di Lenin predicavano che coi monopoli i capitalisti erano, già dagli anni '50 o prima, all'"ultimo stadio": cosa falsa, perché invece finora poi sono sempre saltati fuori altri stadi nuovi imprevisti ed inattesi, e magari peggiori dei precedenti; mentre invece quest'altra ipotesi dell'avvio lento verso un futuro magari prossimo declino perlomeno di un certo capitalismo-classico di mercato per un ipercapitalismo di neo-mercato e reticolare e biotecnologico, ma pur sempre basato sul profitto, è ben diversamente importante! Comunque evviva!
Ma allora si presenta anche una questione più grossa e più profonda, che mi ripropone un'altra volta l'amico Guido Davide Neri (il quale però non crede al declino del capitalismo e tantomeno che questo possa avvenire ad opera della tecnica, e che comunque poi ne verrebbe il "socialismo" e neppure un "neo-socialismo"), ma s'intravede ad esempio in alcuni scritti dello stesso Tronti, e Cacciari di qualche anno fa, negli anni '80: si può dire più o meno: "noi abbiamo fatto l'errore di attribuire al capitalismo una serie di trasformazioni molto grandi e profonde dell'umanità, del suo pensare e sentire, che in verità hanno preceduto il capitalismo consentendo anche la sua affermazione, ed esso le ha sussunte magari dando talora loro una certa curvatura anche tenendole un poco nascoste nel suo profondo e riproducendole un poco "dietro" e dentro di sé; ma adesso (secondo alcuni ottimisti in questo (per molti) presunto visibile declinare del capitalismo) almeno in certi aspetti, queste dimensioni precedenti restano e si riproducono un'altra volta - almeno la terza - , mostrandosi come le vere questioni grosse della nostra condizione sociale (ed "umana") in senso ampio, e noi ce le ritroviamo davanti. Adesso dobbiamo affrontare proprio queste, permanenti dietro il capitalismo che comincia a cedere e ad andarsene...". Ebbene qualcosa del genere intorno a noi qualcuno lo sussurrava già nel passaggio dagli anni '50 agli anni '60. Ed il nodo non è tanto piccolo, e nemmeno facile da affrontare. Cosa si risponde a costoro? Perché anche a partire da Marx qualcosa si può rispondere...


Di nuovo a proposito del trascorso "secondo operaismo politico"

Procedo ancora senz'ordine. Premetto: non lo dico per campanilismo, perché fra l'altro io sono lombardo, ma sono tuttora convinto che Torino, poi città onirica, sia riuscita malgrado tutto ad essere il centro e l'avanguardia anche del capitalismo industriale "classico" e manifatturiero, ossia del tangibile, italiano; ossia di quello scientifico che negli anni '60 chiamavano neo-capitalismo, taylor\fordista; e della classe operaia e dei grandi gruppi sociali operai e delle loro lotte in quest'Italia arretrata, ed anche della militanza operaia (ed operaista) e così anche dell'elaborazione di una politica di parte operaia. Almeno dal primo dopoguerra fino all'inizio degli anni '70, allorché si sentiva già la prossima "sconfitta" storica e catastrofe dei movimenti che guardavano a quella classe-operaia. Ma, rivedremo subito, non sconfitta della lotta internazionale di quegli operai, i quali finché furono "avanguardia di massa" fecero passare nel capitalismo alcune delle trasformazioni fondamentali nelle quali tuttora ci troviamo nell'ambivalenza odierna (nella quale, ripeto, adesso il maggior vantaggio l'ha il capitalista sociale e collettivo): il capitalismo sa usare pel suo sviluppo le vittorie parziali dei suoi nemici contro di lui, ne ha bisogno! Dall'altro lato magari, dal '72-'73, il primato passò alla Milano delle grandi assemblee operaie autonome. Torino, coi suoi bellissimi dintorni, che chiamavo la città manchesteriana, perché c'erano tutti gli stabilimenti disseminati fra le abitazioni, non c'era ancora la tripartizione delle zone urbane. Però erano stabilimenti frammisti in una città sabauda, ancora anche in buona parte monarchica! Che ancora oggi considera Agnelli come il nuovo monarca. E forse i Savoia con la loro eredità erano davvero ancora il suo bello! Invasa da quasi seicentomila ex-contadini soprattutto meridionali e maschi e piuttosto giovani. Ma non c'era che una borghesia ristretta, una limitata piccola borghesia di ex servi di corte ed ex barotti. Un deserto che si ravvivava un poco solo nei grandi scioperi. Io lavoravo con la Soris e Cominotti e con la futura IRES. Andavo ad intervistare anche dei cosiddetti imprenditori da archeologia industriale. Lasciamo perdere.
L'"avanguardia di massa": la dizione... credo d'averla inventata proprio io e mi piace ancora. Essa scandalizzò molti stupidi. A me pare che come un obiettivo si possa quasi riproporre oggi, magari con altro un ossimoro: "l'élite di massa"? Élite dispersa e plurale... Tele-ricomponibile, ma sempre plurale. Però magari non più qui! Avanguardia di chi? A quel tempo del proletariato al livello arretrato italiano. Ma oggi? Nell'arretratezza italica odierna?

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