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ROMANO ALQUATI
SUL SECONDO OPERAISMO POLITICO. Estate 2000


Di Màdera mi convince poco il suo modo di essere più junghiano di Jung, questa maniera (abbastanza di moda) di mettere in sequenza "logica" e "razionale", in fondo, e per contenuti, miti di luoghi e tempi diversissimi, in maniera del tutto autoreferente, come se intorno a ciascun mito ci fosse allora il vuoto, non esistessero interessi e condizioni sociali ecc. Mi pare che per orrore, giusto, del materialismo storico più scemo si cada nella mera razionalizzazione. Dalla padella nelle brace. E' come quel mettere in sequenza logica autonoma ed autoreferente i sogni collegandoli e confrontandoli solo fra loro e codificandoli e perdendo proprio la portata dei simboli, e soprattutto staccandoli completamente dalla persona che ha sognato e\o che ha raccontato il sogno: si fa la cabala pei giocatori del lotto, razionalizzazioni che non capisco a cos'altro servono se non a coprire magie, a sostenere religioni, finti psicanalisti a centomila lire all'ora...
Come ho appena detto, Màdera non è contro Marx, è contro il suo sistema chiuso sacralizzato dai "marxisti". Egli recupera un Marx particolare. Oggi semmai in giro si recupera qualcosina del primo Marx, quello dei "Manoscritti" giovanili e qualcosa di quello dei "Grundrisse". Ma il Marx vecchio, in particolare quello dell'ultimo libro de "Il capitale", non lo recupera più nessuno: il nostro studioso milanese invece lo fa. Con una ragguardevole conoscenza, in senso pure politico, e con continuità e coerenza.
Màdera tira fuori una definizione "nuova" (e strabiliante?) di comunismo che prende dal Marx dell'ultimo libro de "Il capitale". Ai tempi delle minoranze storiche, pure noi dagli anni '50 facevamo una critica al socialismo basata sulla differenza tra proprietà e possesso: la proprietà (dico io) è formale, il possesso è di colui che di fatto decide: nel socialismo reale non decidevano gli operai, e neppure i tecnici... Però Màdera tira fuori da Marx questa definizione: "Il comunismo é il possesso collettivo che consente la realizzazione della proprietà individuale". Questo slogan é più significativo se possesso e proprietà s'intendono come li pongono il diritto ed anch'io... Marx diceva: l'individualità solo nel collettivo altro, ma il collettivo altro solo nell'individualità piena e nella proprietà individuale. Contro l'espropriarci capitalistico. Marx proprio non è marxista! A questo comunismo del tutto diverso - se non opposto - da quello "marxista" e social-comunista storico e degli stessi movimenti e partitini operaisti di sinistra degli anni '70, pure Màdera si riferisce. Allora, un ritorno a Marx, questo si, di buona portata? Tramontata anche da noi la prospettiva del "comunismo operaio" pure a quest'altra idea di Marx potrebbe ora rifarsi l'avvio di un progetto di un "comunismo post-operaio" o "comunismo iper-proletario", per la soppressione dell'iperproletariato, anche come moltitudine?...
Come ho detto, Lenin critica duramente Marx, si accorge di molti suoi limiti. Ad esempio, quasi tutti sanno che Marx è stato entusiasta della Comune di Parigi, mentre Lenin sosteneva che non ci si poteva accontentare di quella, ha criticato più volte l'ingenuità operaista di Marx: gli operai sono per il russo dei "tradeunionisti bianchi"... Anche Lenin, dunque, è "oltre Marx": purtroppo solo per pochi aspetti. Forse per altri è prima di Hegel? Non è comunque del tutto vero che solo peggiora ulteriormente il peggio di Marx come Màdera talvolta sembra pensare! Comunque io sostengo che proprio oggi in Europa ed in Italia riaprire un dibattito spregiudicato su Lenin, i bolscevichi ed i menscevichi, sarebbe importante e si scoprirebbe anche di grande attualità.
Màdera, dal canto suo, sostiene la necessità di andare oltre l'operaismo ingenuo. Così c'è pure una valorizzazione e soprattutto una critica importante di Gramsci. Il milanese non porta invece a fondo le considerazioni su Lenin: ne fa un accenno, ma si ferma lì, a una battuta. La critica di Lenin negli ultimi anni non l'ha fatta nessuno. Silenzio di colpo soprattutto degli ex leninisti! In generale, il leninismo è stato abbandonato da un giorno all'altro attraverso una congiura del silenzio. Chiederei dunque di non lasciare così implicita la critica a Lenin. Non si può far sparire così all'improvviso Lenin come hanno fatto i sopravvissuti ex-leninisti di tutti quei movimenti, senza nemmeno provare a dire perché da quel tal giorno lì non valeva più niente! Questo puzza!
Storicamente ci sono stati tre filoni di critica a Lenin che circolavano nei nostri dintorni già alla fine degli anni '950. Uno (passato poi attraverso la volgarizzazione dei socialdemocratici del primo dopoguerra) è quello fra l'altro della Luxemburg, che ha dato poi origine al filone consigliare: in sostanza è quello che respinge il bolscevismo come "guardiano notturno della rivoluzione". Il secondo filone critico è quello che sostiene che i bolscevichi hanno preteso di fare l'ingegneria delle anime, decidendo cosa è bene e cosa è male per gli altri al posto degli altri, negando loro il diritto di scelta e financo d'espressione, di comunicazione ecc.; e li accusa di sopraffazione ecc. (come se intorno ai lavoratori altrimenti ci fosse il vuoto, non ci fosse la potenza formativa del capitalismo, una sopraffazione molto più forte, che appunto ripropone la questione centrale della formazione). A me in particolare questa critica ricorda quelli che Kosik aveva chiamato "le anime belle"! In Màdera c'è soprattutto un terzo nucleo critico. E' un poco la questione che ho già detto e ripetuto prima e sta nel problema del feticismo: di settori o momenti della piccola borghesia che (come noi) vogliono salire al potere (centrale e generale, perfino) essendo appunto o mostrandosi operaisti, lavoristi, scientisti, tecnicisti, sviluppisti, ecc., e quindi con la forza contrattuale della forza-lavoro unita, oltre la concorrenza interna; ma anche con qualcos'altro... Questione già accennata anche del ruolo effettivo degli intellettuali organici (e dei limiti della spontaneità, ecc.). Della politica come ascensore della piccola borghesia ambiziosa ma povera: il potere, si sa, serve a realizzare gli ideali...
Con una certa relazione col feticismo voglio accennare ad un altro nodo scabroso, di quelli che fanno indignare anche bravi democratici più intelligenti della Rossanda. A Torino fin dagli anni '60 mi è apparso vistoso che c'erano stati e c'erano ancora capitalisti piuttosto grandi, ancora in carica, in funzione, in Europa e nel mondo, i quali avevano colto certe negatività del loro stesso sistema, e della tecno-scienza e del modo in cui la loro civiltà la utilizzava, ed in certo senso "se ne vergognavano" e comunque se ne dispiacevano, e non solo sognavano di liberarne l'umanità, anche perché pensavano che il capitalismo alienava pure loro, ma si erano impegnati contro ciò anche più a fondo, con maggiore radicalità non solo di Adriano Olivetti, ad esempio, ma della stesso movimento operaio social-comunista storico; di solito più tecno-scientista di loro. Io non sono mai stato "tecnofobo" e neppure "scientofobo". E non lo sono nemmeno oggi. Ma affermo che il modo superficiale e spesso disinformato con cui la cultura democratica soprattutto italica ha guardato a certe grandi vicende storiche degli anni '30 è poi purtroppo sboccato in una riconferma (stalinista, in fondo) del tecno-scientismo e del progressismo e sviluppismo e produttivismo economicista del Movimento operaio "ufficiale"; e fino alla sua base! E più di quelli stessi socialcomunisti democraticisti di cui anche Màdera dice che sono stati in fondo da noi anche i più convinti ed effettivi e spesso eroici realizzatori del cattolicesimo.
Questi libri di Romano Màdera sono importanti dal punto di vista teorico, e soprattutto nella parte distruttiva; ma non permettono di intervenire granché sulla "realtà esterna". Egli propone una pratica complessa di "sincretismo solidale", che egli spera si allarghi a macchia d'olio, soprattutto in aspetti formativi: comunque si spera, si tende, si mira, ma si esclude un'organizzazione che intervenga ad accelerare, ad intensificare e soprattutto a coordinare: si ritiene che il pluralismo lo escluda, e debba essere spontaneo; ma neppure a questo io mi sento del tutto estraneo, perché a metà degli anni '70 anch'io con altri ho praticato momenti di conricerca formativa che avevano vari aspetti e presupposti comuni con la pratica dei maderiani oggi. Ma mentre noi sperimentavamo anche quello, con molto altro, loro adesso si affidano solo a quello, che certamente è al suo interno già d'enorme complessità. E tuttavia a mio parere tuttora non esclude davvero altro, di praticarlo insieme ad altro. Non solo nel sincretismo con altri, parallelamente, ma convergendo parallelamente anche nel colpire e negare qualcosa. Sarebbe l'odiata dialettica che Màdera attaccava già nel '77? Per il resto sembrerebbe talvolta che si debba aspettare che succedano le cose, che altre forze antagoniste agiscano (stanno già sempre agendo...), valorizzando magari degli aspetti o degli eventi che in questi termini maderiani non sono mai stati molto valorizzati. Però più in generale si può dire che, una volta che le cose sono successe, si può al massimo fare il giornalista, o quello che io chiamo il "turista sovversivo". O parlarne, o commentare. E non è poi così, facile e vero che non si discute e non s'interpreta, come lui vuole... Comunque Màdera rifiuta un orientamento neo-leninista: valorizza gli antagonismi, ma non accetta di starvi dentro e di orientarli in nome di una qualsiasi "astratta verità che viene da fuori". C'è una forte condanna di chi vuole muoversi come organizzatore, o élite avanguardistica: in sostanza vi è una forte condanna pure del ruolo (tradizionale?) del militante. Oggi sono tutti libertari. Bene. Ma per riprendere consapevolezza e controllo, e progetto, questa propensione anti-organizzativa è proprio tutta indispensabile?

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