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ROMANO ALQUATI
SUL SECONDO OPERAISMO POLITICO. Estate 2000


Quasi tutti gli intellettuali (piuttosto tradizionali) che girarono intorno alle due riviste videro sempre soprattutto in Asor Rosa, Negri, e Cacciari, e diversamente in Tronti, i grandi intellettuali che dal loro taglio umanistico e tradizionalmente filosofico (secondo quei fiancheggiatori, magari crociani) tenevano su tutto, in queste nostre riviste, ad un livello di qualità alto: contro di noi incolti dell'inchiesta partecipata, ecc. Rozzi e ignoranti... ("I barbari", ci apostrofò un giorno lo stesso Asor Rosa). Però in una certa intellettualità anche italica a mio parere più avanguardistica di loro ci fu chi avvertì (e sapeva) che anche nel discorso "culturale" inteso con una taglio meno vecchio e tradizionale questi "umanisti" avevano ben poco da insegnarci! Questa é una questione molto importante! Quale concezione della cultura umanistica avevano alcuni dei più apprezzati intellettuali dei Quaderni Rossi ed anche di Classe Operaia? Eccetto il Tronti di allora, e forse il Cacciari di allora che ai livelli più alti (ma solo lì) tutt'oggi mi sembra aver retto di più, e talora Toni, seppero davvero dare qualcosa di decisivo e di nuovo a noi della ricerca scientifico-politica sulle fabbriche e sulla società-fabbrica nella politicità intrinseca di ciò? Tutto sommato non ci riportarono indietro, deviandoci da un nostro percorso avviato nel '60? che almeno sul piano della conoscenza ci avrebbe portato un poco più lontano, e con molti meno equivoci?
Comunque sia, Toni non ha mai sopportato le critiche torinesi, nei diversi momenti e tempi, alla sua pratica. E subito cominciò ad avere grande antipatia per Torino e la stessa classe operaia torinese di cui sentiva dire, e antipatia per chi faceva politica con gli operai a Torino: anticipando a Torino a lungo gli altri. Odiava Torino. Come se noi, compresi certi torinesi, l'amassimo... Qui il "dentro e contro" di Tronti, dentro e contro questa città malvivibile, era praticato necessariamente. Già nel '63-'64, anche altri veneti che pure m'invitavano da loro, non credevano a quel che raccontavo e non credettero granché di una lotta d'operai e magari di classe alla Fiat ed a Torino, almeno fino a quando anche a Marghera non scoppiò finalmente lo sciopero del Petrolchimico. Oggi l'antipatia di Toni per il Nord-ovest si è trasformata in odio, anche retrospettivo, con esternazioni perfino ridicole. Aveva ripresa da me la previsione del prossimo "balzo tecnologico", ne parlava, ma quando arrivò lui stava al Parco Lambro ad espropriare alcune salumerie, così non se n'accorse nemmeno. Eppure i suoi lavori migliori e del giusto taglio sono stati i suoi due saggi di Contropiano, col discorso shumpeteriano sulla crisi... Comunque, fra l'altro, per parlare del Negri meno conosciuto, credo che "La fabbrica del soggetto" e "Fine secolo" siano due libri che Negri scrisse all'inizio degli anni '80 (quando era in carcere) piuttosto importanti: come visione della realtà erano ormai, a quel momento, non poco sbagliati, fuori gioco, fuori misura, tardivi (come d'altronde le lezioni su Lenin); però erano ricchi di intuizioni importanti, anche per il futuro. "La fabbrica del soggetto" è un titolo che viene da lontano, nella storia, che sarebbe stato bello ancora una dozzina d'anni prima. Esso conferma semmai ben al di là del produttivismo e del tecno-scientismo sviluppista, e ad esempio pure oltre certe idee gramsciane, che si poteva fare uso della presenza proletaria nella fabbrica del padrone contro di lui (e della classe contro se stessa); sebbene, dico io, alla lunga sarebbe stato ancora del capitalista il maggior vantaggio, in specie senza un ulteriore rilancio. Questo é anche il senso de "la classe che (talvolta) precede il capitale", di cui alcuni facevano un dogma ridicolo: certe lotte vinte dagli operai costringono il capitalista collettivo ad innovazioni, pure grandi, allo sviluppo, in specie premendo sulla sua parte più arretrata. Così c'è stata pure una certa soggettivazione, o ri-soggettivazione, e ri-composizione dei diversi proletari lavoranti... Per un certo tempo. Però quei libri mostrano al contempo vari limiti dell'operaismo, e si pone pure la domanda su chi fosse (o sia) quel soggetto. Se bastasse. Ma esiste ancora oggi il soggetto? Oggi sembra affacciarsi non solo già una nuova soggettività ma anche qualche nuovo soggetto?...
La tradizione ordinovista (che a Torino fu molto forte) oggi continua un pochino soprattutto con qualche rifondatore, magari vicino o dentro il residuo sindacato: rimane purtroppo l'idea della gerarchia delle competenze, e gerarchia formale, per di più, d'inquadramento, che diventa anche nell'immaginazione di certi "marxisti", gerarchia della capacità rivoluzionaria, la gerarchia delle competenze per costoro si ribalta senz'altro in questa. Il discorso sul General Intellect si basa sul pensare che più si è forti di competenza (tecnico-scientifica) e più si è costruttori del comunismo (nel vecchio significato). Anche le reti o le nuove tecnologie e competenze sono intese e vissute così. La composizione tecnica viene sempre letta come composizione politica. Si tratta di un'idiozia, la stessa che ha caratterizzato la tradizione social-comunista in specie ai tempi dello stalinismo. In essa e nel suo tecno-scientismo e produttivismo la struttura del partito ricalcava la struttura della competenza tecno-scientifica o addirittura del comando nella produzione, e poi viceversa: dunque, chi era capo nella produzione era capo nella cellula, mentre semmai dovrebbe essere spesso il contrario. Lo avversavano solo gli anarchici... Ma nella rivoluzione culturale cinese almeno in apparenza era stato per un poco l'opposto: chi aveva meno competenze e soprattutto meno potere aziendale estrometteva coloro che n'avevano di più. Ciò fu uno scandalo anche fra i nostri intellettuali democratici: ad esempio si vedano alcuni film esemplari e di gran successo e prestigio i quali qualche anno dopo denunciarono quello scandalo! Avevano un punto di vista "borghese", si, ma anche la concezione socialcomunista\collettivista e della sinistra democratica ha quasi sempre coinciso con questa! Eccezione, l'obiettivo di Mao nella rivoluzione culturale era quello della sostituzione di una gerarchia basata solo sulle competenze del lavoro capitalistico e sulla scolarità per questo con una gerarchia politica, differente, più sua, anche nell'organizzazione del lavoro, negli apparati: sparare sul partito!... Che oggi si estingue da sé. Si trattava sempre del dover scegliere tra due o più violenze, di andare così contro un nemico "esterno" a noi. Purtroppo, oggi le competenze sono tutto più o meno per tutti!
L'esempio storico già più importante era stato per noi semmai quello che riguardava l'aristocrazia operaia all'inizio del '900, spesso idealizzata, angelicata... Ma la stessa individuazione d'operai (in senso lato di tecno-proletari) e così militanti almeno potenziali collocati in punti strategici della rete della produzione ed accumulazione del capitale per combatterla, non era e non è affatto la stessa della tecnolatra gerarchia politica per competenze tecniche: il pensare che la competenza tecno-scientifica sia già o almeno possa rovesciarsi facilmente in coscienza politica antagonista! Per cui ad esempio i baroni dei policlinici o dei politecnici... E' idiota! Nemmeno il padrone capitalista, ragiona così. Forse dei tecnocrati di sinistra, di quelli che sognano la scuola media e l'università privata confindustriale... Ma già prima della prima guerra mondiale per gli stessi proto-socialisti anche a Torino la formazione dei militanti non era volta ad acquisire maggiore competenza tecno-scientifica per il lavoro-specifico; ma si usava questa militante per negare quella lavorativa, per "negare" la stessa condizione proletaria. La stessa classe. In sostanza per "negare" se stessi. In questo modo si formava dunque una nuova soggettività, pure antagonista. Già Gramsci nel '17\'18 si poneva in questa dimensione: la formazione era quella come militante, non per insegnare nozioni per la produttività (come invece faceva il mutuo soccorso). Poi di qui si torna indietro. Nondimeno fra gli anni '60\'70 poi non pochissimi operai giunsero a negare consapevolmente se stessi, e la stessa classe operaia; e con vari esiti. Il nodo era formare semmai i militanti comunisti non alla tecnica o alla scienza ma alla lotta, ad un'organizzazione alternativa, magari per scopi alternativi. Ma questi obbiettivi? E d'altronde c'é chi come me da decenni cerca anche di sperimentare un uso critico, alternativo, della scienza, cambiando qualcosa dei contenuti e soprattutto dei metodi correnti. Tempo perso?
Fra l'altro, la cosiddetta "composizione di classe" di cui mi sono occupato malvolentieri per qualche mese nel '65\'66 su Classe Operaia, era in verità l'articolazione tecnica della forza-lavoro, del capitale-variabile: nella divisione tecnica del lavoro-specifico. E' significativo che essa resta quella di cui parlava ancora Negri qualche anno fa, e spero che oggi l'abbia dismessa: essa è relativamente statica (si muove quasi solo nell'innovazione, che si muove nel solco dell'accumulazione capitalistica, però spostando avanti l'ambivalenza): si osserva come è strutturata in quel momento la gerarchia e la divisione tecnica del lavoro, delle competenze, e la si ricalca: si cerca di costruire lì sopra l'organizzazione politica. Quella che c'interessava in altre sedi era invece la ri-composizione politica, che implicava un processo in atto, ed era quindi almeno dinamica e riproponeva la questione della spontaneità e dei militanti, ecc. E' mai esistita un'effettiva e piena spontaneità, fin dalle origini storiche? E non solo in Europa? E si riferiva molto alla contro-soggettività: singolare o perfino individuale, e collettiva. In questo senso si può dunque esplorare anche oggi di ri-composizione, magari plurale, per convergenze parallele; il che non significa affatto omogeneizzazione, ugualizzazione, indifferenziazione, magari nel vuoto, ecc. (come magari intanto avviene per larghe maggioranze...), ma convergenza degli antagonismi differenti anche dentro l'iperproletariato globale, almeno potenziale. Possibilità, opportunità o no di ri-inventarla, perché adesso non sembra che ci sia granché, nella conflittualità odierna. Ma forse riuscendo a guardare con occhiali nuovi... Ma?
In fine ripeto: io non ho ripreso l'idea di mettere al centro l'autonomia più o meno operaia e proletaria da R. Morandi, ma piuttosto da Castoriadis (e paradossalmente dallo stesso Lenin); orbene, sia Tronti che Negri (e prima Panzieri) nutrivano un grande disprezzo per questo pensatore libertario (Castoriadis), un po' folle, il quale però diceva già quarant'anni fa alcune cose che Toni Negri dice solo adesso. E che lo disprezzasse Tronti, comunista in senso stretto e classico da sempre, e da sempre nel PCI, si capisce; ma Toni?: mi disse che quello là non lo interessava perché era "istituzionalista". Bo?

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