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INTERVISTA A ROMANO ALQUATI - DICEMBRE 2000


Ad esempio, in seguito, benché avessi fatto lavoro professionale in vari istituti di ricerca scientifica (a cominciare dalla Soris di Cominotti) e malgrado io mi sia laureato a Torino prima nell'indirizzo economico con una tesi d'econometria con dentro molta matematica e matematica\statistica, e dialogando con Contini e soprattutto Egidi (già all'avanguardia allora in Italia nella matematica per le scienze sociali), e fossi uno dei rari in Italia ad esempio a conoscere Lazarfeld e ad aver fatto ricerche multivariate alla Hymann, analisi fattoriali ecc., per il semplice fatto magari che parlavo ed usavo pure nel giro operaista di metodi qualitativi, non sono stato creduto perfino da taluni accademici umanistici del nostro entourage un vero "scienziato" sociale. E' una vicenda esemplare, per questo voglio riprenderla. E' stato proprio l'aver sempre tenuto per me la mia formazione umanistica come una vicenda di gioventù e comunque strettamente privata, a farmi ritenere da quasi tutti d'estrazione sociale proletaria. La cosa ha avuto anche risvolti buffi.
Fra l'altro ho fatto anche qualche esplorazione "empirica" di quali erano le funzioni effettive della "cultura umanistica" nella nostra società dopo il boom. Anche questo è stato molto importante! Ho già avuto modo di dire e scrivere che la questione della "cultura esplicita" è una delle tre o quattro che nel giro dell'operaismo politico è implicitamente presente come un nodo importante, un vertice di un poligono, che però rimaneva sullo sfondo e non é mai stato granché tematizzato in quelle riviste. E' molto significativo l'uso che fin dai suoi esordi cattolici ne ha fatto sempre Toni Negri, il quale fra l'altro fu di estrazione sociale piuttosto umile (mi pare figlio della maestra di Poggio Rusco), il che ai miei occhi aumentava il suo merito. Essendo anche diventato barone in una disciplina più utile di quella di altri, parlava del "lavoro culturale" come faccenda di tattica, una specie di copertura necessaria anche ad uscire dall'isolamento, ottenere sostegni nell'arretratezza del mondo della sinistra culturale ed accademica italiana: Toni era consapevole dell'ambiguità della faccenda; ed anche il Cacciari del pensiero negativo, a sua diversa maniera, e poi allora Tronti, il Tronti di allora. Ma altri in specie a Roma? Buio pesto! Per me esemplare è stata la vicenda di Asor Rosa: la più divergente dalla mia.
Due parole su quest'esempio. Il fatto che conta in queste misere storielle è che malgrado certe prese di posizioni nietzschiane contro i valori e ciò che poi si riduce ad un valore, ad esempio questo figlio del ferroviere, mi pare, (Asor Rosa) abbisognava di un'emancipazione personale mediante un ingresso, tradizionalmente specialistico inoltre, nella cultura umanistica accademica; per cui contraddiceva poi in tutta la sua pratica "professionale" certe sue sparate trasgressive: lui voleva salire dove io era nato, e dopo il mio tracollo ed espulsione da quel mondo ne avevo piuttosto disprezzo. Inoltre un altro nodo era quello dell'importanza che si dà alla propria professione: alcuni di noi l'avevano messa in secondo e terzo piano o non l'avevano neppure: vi avevano rinunciato! E di quale professione uno va a scegliersi: noi anche per sopravvivere, come proletaroidi, noi della ricerca partecipata e conricerca cercammo di fare dei lavori che potessero servirci anche per la nostra militanza politica! A Torino, fra l'altro, era colto da un lato Soave, dall'altro Rieser. Ma Panzieri?

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