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INTERVISTA A ROMANO ALQUATI - DICEMBRE 2000


Poi all'inizio del '60 ho conosciuto Pierluigi Gasparotto, che allora viveva già in Via Sirtori, e con lui ho cominciato ad assaggiare le nuove inchieste nelle fabbriche milanesi, e nell'estate del '60 ci siamo trasferiti a Torino, dove io ero già stato a presentare il "Diario di un operaio" di Mothé e qualcos'altro. Dal '60 e la vicenda torinese è cominciata una nuova fase della mia vita, della quale ho già scritto qualcosa un paio di volte e non ho voglia di ripetere.
I fatti vissuti torinesi di cui mi ricordo con maggior piacere sono: i primi colloqui (procurati da G. della Rocca, ma poi allargatisi spontaneamente su indicazione degli stessi intervistati) con operai FIAT nelle loro case; il ritrovamento in un buio antro senza finestre della vecchia Camera del Lavoro in cui rimasi sei mesi con Gasparotto dell'originale del volantino che proclamava l'insurrezione di Torino nel '45; la mia relazione sulle "giovani forze" (letta nel salone della Federazione del PSI nel '61); la redazione con Soave di uno schema di colloquio onnicomprensivo e i colloqui successivi della seconda ondata senza Panzieri di mezzo (sarà lui a rivenirci a cercare nell'autunno del '61); la riuscita dei primi scioperi alla FIAT rinnovata nel '61; lo schiaffone in piena faccia che diedi, al picchetto alla FIAT-ricambi di Stura, da sulla bici (prestata da Angelo Dina a Ivrea) al capitano della celere che aveva cercato di travolgermi con la sua jeep (presente Romolo Gobbi); l'organizzazione a Stura, sotto la tettoia del tram ed in una piola, insieme a Romolo ed a Banzato della risposta all'accordo separato della UIL che diverrà la celebre rivolta di Piazza Statuto, e la redazione (appoggiato sul tetto di un'auto sotto il palazzo della UIL stessa) di un documento che rilanciava la lotta (sempre con Gobbi, Banzato e qualche membro giovane della FIOM); momenti del grande sciopero della Lancia (che fu anche l'occasione dell'inizio della mia rottura definitiva con Panzieri). Le interviste e lo sciopero all'Olivetti di Ivrea. Gli operai che nel '65, tre anni dopo, avevano ancora con sé la copia spiegazzata del Gatto Selvaggio, ecc..


Nel tuo ricordo della tua intricata formazione ed auto-formazione d'adolescente c'è un accenno esplicito al problema della cultura e ad una ricerca di "differenza culturale".

Si, è voluto. Il fatto è questo: io, come d'altronde anche Gasparotto e qualcun altro, Greppi talora ad esempio, fummo sempre trattati in primo luogo dai sostenitori intellettuali nostrani di sinistra di Panzieri e dei "suoi" Quaderni Rossi prima, e poi da sostenitori analoghi di Classe Operaia, ma a dire il vero anche da alcuni collaboratori romani e veneti di queste riviste, come dei bruti rozzi ed ignoranti perché ritenuti privi di "cultura esplicita" umanistica, ossia (alla maniera tradizionale) perché giudicati privi di dottrina storico-filosofica e letterario\artistica. Ma era un giudizio sbagliato: noi tenevamo nascosta la nostra cultura umanistica perché non la consideravamo importante; anzi per certi aspetti allora ci sembrava negativa! Però in una nostra polivalenza, sapevamo di averne anche più di loro, che si specializzavano, ma fuori della specializzazione rispettiva spesso sapevano poco. Loro invece stimavano solo quella! Così ci sentivamo sempre più distanti da tutti quelli di loro fatti così! Questo è un nodo importante.

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