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INTERVISTA A ROMANO ALQUATI - DICEMBRE 2000


Così cominciai presto a sostenere, inascoltato, anche in sedi politiche pure operaiste o di comunismo critico, purtroppo critico più del PCI che della tradizione comunista in generale, non solo la necessità di passare pure per i singoli anche a proposito dei membri della classe operaia, dicotomica e no, pei singoli o gruppi, ecc., d'accordo abbastanza (ma con riserve) con l'amico Renato Rozzi. Ma anche, in collegamento con ciò, sforzandomi di capire com'erano davvero e di cosa davvero deprecavano e combattevano o si sentivano vittime, o avevano bisogno e desiderio e cosa sognavano, ecc., gli operai: i vari tipi di operai. Perché ci era già evidente che non c'era un'operaità sola, ma ce n'erano diverse e compresenti; e l'egemonia passava dagli uni agli altri, a seconda ed in interazione con trasformazioni economiche e sociali, e di altro, ma sempre più a seguito anche di interazioni con precise politiche culturali che anche il padrone italico cominciò presto a fare, anche con nuovi mezzi di comunicazione di massa: dai rotocalchi stampati e la radio ed il cinema alla TV. Io sono solito dire che il padrone ha vinto a cavallo fra gli anni '70 e '80 più coi rotocalchi che con le stesse nuove tecnologie, pure spettacolarizzate! Oggi tutto questo è archeologia, interessa gli storici! Penso da tempo che ormai l'operaismo comunista e socialdemocratico, come dice Pentenero, sia uscito dall'immaginario iperproletario, e bisogna girare pagina.
Orbene, la (loro) soggettività. Come l'intendevo allora? Direi: ciò per cui si è veramente se stessi, distinguendola quindi anche dall'identità... Direi: l'insieme delle condizioni che fanno il vero soggetto, con sua autonomia e originalità ed intenzionalità e capacità d'iniziativa personale e di gruppo e nel gruppo. E così era anche questione di una soggettività collettiva. Qualche spunto ho trovato dopo in diversi scritti di Toni Negri, il quale si dichiarava per l'appunto filosofo del soggetto... Ma poiché il soggetto in questo senso mostrava di essere in vero abbastanza e sempre più raro, presto mi accontentavo di molto meno. Certo, la soggettività proletaria\operaia andava letta soprattutto nei movimenti e nelle lotte. Ma senza escludere anche il momento dei singoli, ed approcci piuttosto antropologici (però evitando lo psicologismo: per questo la fenomenologia...).
Ma ci si può chiedere perché mai questioni così elementari ed ovvie erano negate o rifiutate anche all'interno di una cultura politica comunista? Per rispondere un pochino ri-uso anch'io alcune comode distinzioni, come fra l'altro quella fra soggettività politica e soggettività operaia che usate anche voi. E che si potrebbe poi incrociare con la distinzione che pure voi fate fra militanti operai e proletari e militanti politici, cercando di non finire a parlare del sesso degli angeli... Fu per questo che all'inizio degli anni '70 ho messo gradualmente al centro la formazione, il grande baricentro della formazione (e della comunicazione, della conoscenza, dell'intrattenimento, la questione difficile e complessa del piacere, ecc.) e il "grande ambito" della riproduzione della capacità-attiva\lavorativa umana-vivente (in mercificazione): e della tecno-scienza applicata a ciò. La formazione dell'intera personalità nella capacità-lavorativa, per il lavoro\occupazione e per la sopravvivenza e riproduzione, e quindi anche quella della soggettività, proletaria, operaia, politica... E magari ipotizzando che il grande padrone mondiale, verso la globalizzazione o quella ulteriore, magari perseguiva una loro sovrapposizione e convergenza verso un'unica cosa. Inclusa certa contro-formazione alla conflittualità ed alla lotta. Pure per dei fini, con del senso.
Comunque si può anticipare una risposta semplificata alla suddetta domanda, come ipotesi: la cultura e tradizione politica e religione comunista storica immaginava gli operai (professionali) come gli eroi del lavoro e della tecnoscienza che si sacrificano con ogni virtù pel bene della collettività. E chiuso! Con un dogmatismo robusto e contagioso. Puri angeli del bene; il male se c'era era tutto delle componenti parassitarie del capitalismo, del fascismo e semmai dell'oscurantismo cattolico. E la soggettività? Ma gli eroi della rivoluzione s'identificavano davvero con gli eroi del lavoro?
Nei secondi anni '80 in qualcuno dei miei libretti ho rimesso in giro una definizione nuova e più ibrida della soggettività in cui era in primo piano la dimensione "culturale", a metà fra la concezione umanistica e quella antropologica della cultura. Adesso mi rifaccio a quella. E' fondamentale premettere anche qui che di per sé la soggettività ed anche quella proletario\operaia implica qualcosa d'autonomo ma in sé non è nient'affatto antagonistica. Pertanto se talora qualcosa d'antagonistico appare dobbiamo spiegarcelo, chiederci come mai. Ed allora ciò è magari spontaneo (quanto? come?) od è stato indotto da altri, e da chi e come e perché e con che conseguenze. No? La contro-soggettività è stata sempre abbastanza rara: quando la si intravede bisogna osservarla a fondo; e magari qualificarla in certa progettualità?, farla crescere ed usarla?

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