Una nuova droga psicotropica messicana dalla famiglia della Menta 
di R. Gordon Wasson 2
Opuscoli Botanici Del Museo, Università di Harvard
28 dicembre 1962 - volume 20, no. 3
 presentato per la pubblicazione il 24 ottobre 1962
2collega di ricerca, Museo botanico dell’università di Harvard




Per un certo numero di anni abbiamo esplorato gli altopiani del Messico meridionale nel corso di uno studio sul ruolo svolto dai funghi allucinogeni nella vita religiosa degli Indiani. Abbiamo cominciato visitando la sierra Mazateca nel 1953, nella parte settentrionale più montuosa dello stato  di Oaxaca, ritornando là durante  il 1955 ed ogni anno da allora in poi fino al 1962. Una delle prima volte avevamo saputo di una pianta psicotropa che i Mazatechi consumano quando i funghi non sono disponibili. Ma mentre noi ed il nostro collaboratore Roger Heim stavamo concentrandoci sulla difficile operazione di individuare e identificare varie specie di funghi allucinogeni, abbiamo dovuto trascurare per un certo tempo questa pianta che gli indiani impiegano come loro sostituto meno desiderabile. Nel 1960 e nel 1961, ne abbiamo recuperato gli esemplari e li abbiamo presentati per la determinazione botanica a Schultes e ad Epling. Tutti gli esemplari si rivelarono insoddisfacenti per una identificazione specifica. Infine nel settembre e nell’ottobre 1962, quando eravamo a San José Tenango, raccogliemmo materiale soddisfacente per l’ herbarium su cui il Dott. Epling potè basare la sua descrizione specifica. Tenango, a circa 1200 metri di altezza, è vicino e sopra la tierra caliente di Vera Cruz.

Ora identifichiamo una specie di Salvia nuova ai botanici, Salvia divinorum Epling &  Játiva, come una droga psicotropica usata tradizionalmente dagli indiani Mazatec di Oaxaca, Messico , nei loro riti di divinazione. Alla famiglia sempre crescente dei phantastica messicani un nuovo membro si è così aggiunto e per la prima volta una specie delle Labiatae si unisce questo gruppo interessante.

La pianta è nota a virtualmente tutti i Mazatechi. In Huautla de Jimenez (1800 metri) abbiamo visto due o tre piante che vi crescono e un esemplare portato a Messico City è ancora vivo là all’aperto; ma queste piante non fioriscono. Non abbiamo visto mai i semi e non c’è stato nessun indiano che sapesse dirci qualcosa su di loro. La pianta è riprodotta per via vegetativa con talee piantate in terra. Richiede un terreno ricco di humus, piuttosto che l’argilla ed affinché la pianta prosperi l’umidità deve essere costante. Molti, forse la maggior parte, tra le famiglie dei Mazatechi, possiedono una coltivazione privata di piante, ma non sono quasi mai vicino alla casa né lungo i sentieri in cui i passanti potrebbero vederle. Mentre eravamo alla ricerca di Salvia divinorum percorremmo a cavallo in lungo e in largo la sierra Mazateca, in settembre ed in ottobre  1962, ma non l’abbiamo vista mai, nemmeno una volta. Gli indiani scelgono qualche lontano burrone per coltivarla e sono restii a rivelare i punti dove si trova. Non c’era nessun indiano a San José Tenango disposto a portarci alle piante da dove furono raccolti gli esemplari a noi portati. Salvia divinorum sembra essere un cultigeno; se si trovi mai allo stato selvaggio (tranne per le piante che sono state abbandonate o che sono debordate) non lo sappiamo.


Nei periodi precedenti i proprietari  terrieri non hanno prestato attenzione alle crescite dei funghi allucinogeni e di Salvia divinorum ma durante gli ultimi quattro o cinque anni il mercato per i funghi e la possibilità di mercato per Salvia li hanno resi coscienti di un loro valore potenziale, qui. Parecchi episodi sono avvenuti recentemente nelle vicinanze di Huautla in cui il proprietario ha fatto rispettare la sua proprietà privata sulle piante.

I Mazatechi che parlano Spagnolo si riferiscono a Salvia divinorum come hojas de la Pastora , o ai hojas de María Pastora (“foglie della Pastora “o” foglie di Maria la Pastora”) e questa è inoltre la traduzione del nome in Mazateco 3  ška 4 Pastora (3 la cifra in apice indica il tono della sillaba, che è il più basso dei quattro toni in Mazateco). Il nome Mazateco è curioso. Nella tradizione cristiana non si pensa alla vergine Maria come ad una Pastora. Il concetto di “Pastora” è una sopravvivenza del pre-Cristiano dueño de los animales , “il signore degli animali,” che appare grandemente nella tradizione degli indiani meso-americani ? Un’associazione pagana potrebbe così santificarsi tramite l’aggiunta del nome della Vergine.

 Salvia divinorum  è, nelle menti dei Mazatechi, solo la più importante di parecchie altre piante, tutte Labiatae, che considerano quali membri della stessa “famiglia.” Salvia divinorum è conosciuta come la hembra, “la femmina.” Il macho, o “il maschio” è il Coleus pumila  , di origine europea. Poi vi è un nene, “il bambino,” ed un ahijado, “il figlioccio,” che sono entrambi le forme del Coleus Blumei . Alcuni indiani insistono nel dire che queste altre piante sono similarmente psicoattive, ma non le abbiamo provate; altri dicono che sono soltanto medicinali.

Non abbiamo trovato riferimento all’uso di Salvia divinorum negli scritti del sedicesimo e diciassettesimo secolo. Abbiamo trovato soltanto due passaggi che possono riferirsi a Salvia in autori moderni. Il Dott. Blas Pablo Reko, un pioniere nel lavoro di campo etnobotanico messicano, discutendo dei funghi allucinogeni, aggiunge (cfr. Mitobotánica zapoteca, Messico, 1945, p.17) una frase che, tradotta, suona così:

Non possiamo mancare  ad accennare qui ad un’altra pianta magica le cui  foglie producono visioni e che i Cuicatechi ed i Mazatechi (nei distretti di Cuicatlán e di Teotitlán) chiamano “la foglia di divinazione.” Le foglie secche che ho ricevuto non permisero la loro identificazione scientifica.

Ciò si riferisce probabilmente a Salvia divinorum dei Mazatechi. Vi è un riferimento più lungo in un documento scritto da Robert J. Weitlaner (“Curaciones Mazatecas “in A.. Nac. Anthrop. Hist. 4, no. 32 (1952) 283). Mentre Weitlaner era in Ojitlán, un villaggio Chinanteco, ha incontrato un nativo di Jalapa de Díaz, una vicina città Mazateca, che gli parlò dell’uso fra i suoi concittadini di una pianta conosciuta come Yerba de María.

Yerba María assomiglia piuttosto alla yerba mora , ma ha le foglie un po’ più larghe. Soltanto queste sono usate, mettendole in acqua. In primo luogo le foglie vengono spremute insieme nelle mani, l’acqua non va bollita e sono usate per scopi molto specifici. Quando il curandero va nella foresta alla ricerca di questa pianta, prima di tagliarla deve inginocchiarsi e pregare verso di lei. Non sono stregoni; ma le foglie sono tagliate soltanto quando sono necessarie, dopo la preghiera.”

Per esempio, se qualcuno sta soffrendo di una malattia ed i medici non conoscono che cosa la causa, allora con questa pianta divinano la malattia. Il curandero che porta le foglie in primo luogo chiede alla persona ammalata se è abituato a prendere l’alcool, perché, quando un uomo non prende l’alcool, si prescrivono cinquanta foglie; quando prende l’alcool, allora se ne prescrivono 100. La persona ammalata beve l’acqua in cui le foglie sono state spremute. A mezzanotte, il curandero va con lui e un’altra persona in un posto in cui non vi è rumore, come per esempio una casa isolata, in cui il paziente prende la pozione. Aspettano 15 minuti che la droga entri in azione ed il paziente stesso comincia a dichiarare il genere di malattia di cui soffre. Il paziente si trova in una condizione semi-delirante, parla come in una trance e gli altri ascoltano attentamente che cosa dice. Agita i suoi vestiti, come se con l’aiuto della pianta si sia liberato dai piccoli parassiti [ causa presunta, nella mente indiana, della malattia ]. All’alba il curandero bagna il paziente con la stessa acqua da cui ha bevuto e subito dopo il paziente è curato.

La gente dice che con questo bagno va via la condizione di ebbrezza prodotta dalla pianta che il paziente ha preso.

Quando vi è una questione di furto, o si sono smarrite delle cose, il curandero ascolta quello che dice l’uomo che ha preso la pianta, e in questo modo i fatti vengono chiariti.

 

             In Jalapa de Díaz vi è un uomo che si chiama Felipe Miranda che ogni tre o sei mesi si reca sulle montagne a raccogliere le piante. E’ un ottimo curandero e si ritrova in buone condizioni economiche. Dicono che coltivi e utilizzi la pianta, ma egli non rivela di che genere di pianta si tratti.”

 

L’ identificazione di Salvia divinorum è stata lungamente attesa. La pianta è presente durante l’intero anno ed i Mazatechi non esitano a parlarne, poiché hanno molte meno inibizioni riguardo a lei rispetto a quando si parla dei funghi sacri. Negli ultimi anni Huautla è cambiata notevolmente, l’autostrada l’ha raggiunta nel 1958-59 ed il  neonato traffico dei funghi psicoattivi ha laggiù il suo centro relativo. Fra gli ospiti di Huautla ci sono stati un certo numero di botanici e di micologi. A Messico City le hojas de la Pastora sono un frequente tema di discussione nei gruppi botanici. È difficile capire come la pianta abbia evitato la classificazione fino ad ora.

 

Sulla base delle nostre informazioni, la zona di diffusione delle hojas de la Pastora rimane confinata alla zona Mazateca e forse alle zone immediatamente attigue dei Chinantechi e di Cuicatechi. Ma può darsi che sia conosciuta ed usata altrove. Attenderemo con curiosità i rapporti degli informatori da altre regioni dopo la pubblicazione di questo articolo. Ololiuqui (Rivea corymbosa (L.)  Hallier filius) è conosciuto fra i Mazatechi, ma sembra che  per le divinationi preferiscano le hojas de la Pastora alla “semilla de la Flor de la Virgen “ seme del fiore della Vergine, “ il nome che i Mazatechi danno all’ololiuqui.

 

Mercoledì, 12 luglio 1961, ho mangiato le “ hojas de la Pastora “ ed ho avvertito i loro effetti. Ero in Ayautla, ospite in casa di Doña Donata Sosa de García. Mi presentarono ad un certo numero di curanderas: Augustina Borja, Clementia Unda, María Sebstiana Carrera e Sara Unda de la Hoz.

La sera di quel giorno, le prime due sono venute alla casa poco prima delle 11 ed Augustina Borja ha effettuato la cerimonia in una grande stanza degli ospiti. I presenti erano Irmgard Weitlaner Johnson, mia figlia Mary X. Britten (‘ Masha ‘), Doña Donata e sua figlia Consuelo (‘ Chelo ‘). Augustina Borja era la figlia d’un curandero morto circa dieci anni prima. Le sue stesse figlie spesso l’ accompagnano quando viene interpellata per una guarigione e sono esse stesse apprendiste curanderas. La sera che passammo con lei, venne con Clementina Unda. Facevano attenzione di orientarsi verso l’ est mentre preparavano la base per la cerimonia. Nel paese dei Mazatechi i riti sono sempre orientati così o il più possibile in quel senso; mai all’ ovest, che è considerato sinistro. Augustina stava eseguendo la cerimonia- ella aveva preso i funghi, piuttosto che las hojas; queste le avevo richiesto particolarmente io, dato che non le avevo prese mai prima di allora. Entrambi, i funghi e le foglie sono contati a coppie. Le fogli sono accoppiate per bene, facendo attenzione ad unire  foglie perfette, senza parassiti. Durante la preparazione della cerimonia, le foglie sono disposte una sull’altra, ogni paio è faccia a faccia con il successivo.

 Per gli indiani è consuetudine consumare le foglie sgranocchiando la dose con i denti  incisivi. Ciò si rivelò impossibile per me, a causa del loro gusto; e sono stato trattato come una persona senza denti. Data l’assenza di un metate (lastra di pietra per pestare) a portata di mano, Augustina ha compresso le foglie con le mani ed ha raccolto il succo in un bicchiere. Questo fu certamente un metodo poco efficiente. Una certa quantità di acqua vi è stata aggiunta. Ho bevuto il liquido scuro, circa la metà di un bicchiere, il risultato della spremitura di 34 paia o 68 foglie in tutto. Mi fu detto che gli indiani vomitano frequentemente consumando le foglie, il che è facile da credere, tuttavia, riuscii a trattenere il liquido.

Dopo aver mangiato funghi, senza più confusione, la nostra curandera iniziò a intonare il suo canto, in lingua Mazateca, con vigore. Continuò per due ore, con una voce piuttosto monotona. Ne ho registrato un nastro ma devo ancora trovare qualcuno che lo traduca in Inglese o in Spagnolo.

 

L’effetto delle foglie si è manifestato prima rispetto a quello che sarebbe stato se avessimo usato i funghi; era meno ampio ed ha avuto minor durata. Non vi fu il minimo dubbio riguardo l’ effetto, ma non è andato oltre quello iniziale dei funghi- colori danzanti in disegni elaborati e tridimensionali. Se una dose maggiore avrebbe prodotto un effetto più grande, non so.

Uno o due giorni prima degli eventi che ho narrato, la curandera Maria Sebastiana Carrera ci aveva fornito molti particolari sull’uso delle foglie e aveva persino salmodiato le parole della cerimonia dopo il suo uso. Aveva rifiutato di ammetterci ad una cerimonia reale perché i suoi vicini (e senza dubbio lei stessa) avrebbero considerato le cerimonie davanti a degli stranieri un dissacrazione e uno scandalo. Persino mentre era in corso, quando la sua sessione con noi stava volgendo al termine, era scoppiata in lacrime incontrollabili, e cadendo sulle sue ginocchia ha elemosinato il perdono per cosa aveva fatto. Ci aveva riferito ugualmente le importanti leggende cosmologiche che ancora sono credute dentro fra i suoi conterranei, che spero di pubblicare altrove.

 

 Il 9 ottobre 1962, il nostro gruppo si trovava a San José Tenango. Questa volta consisteva del Dott. Albert Hofmann, sua moglie Anita, Irmgard Weitlaner Johnson, Herlinda Martinez Cid (che fece da traduttrice con i  Mazatechi) ed io. Attraverso i buoni uffici di Roberto Carrera, il figlio di Aurelio Carrera di Huautla, siamo stati presentati a Consuelo Garcia, di circa 35 anni, una curandera vigorosa e attraente, che quella notte ha effettuato per noi un rito divinatorio. Ha utilizzato soltanto foglie, non funghi. Le ha pestate sul suo metate, dopo averle passate attraverso il fumo di copal e ha compiuto una cerimonia completa. L’ acqua venne aggiunta alla massa che si staccò dal metate, il tutto fu passato attraverso un setaccio ed poi abbiamo bevuto il liquore. Ho preso il succo di cinque paia di foglie e la sig.ra Hofmann quella di tre paia. Entrambi abbiamo percepito gli effetti, che erano come li ho descritti nella cerimonia avvenuta l’ anno prima in Ayautla.

 

Sembrerebbe, ricapitolando, che siamo alla soglia della scoperta d’un complesso di piante Labiatae psicotrope della famiglia della menta. Sappiamo quindi che Salvia divinorum è così utilizzata nella sierra Mazateca ed anche il Coleus pumila con due  altre “ forme “ di C. Blumei , secondo alcuni degli indiani vengono impiegati in modo simile.

home