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Archivio per il tag: femminile

Docu-film: “Lala” di Ludovica Fales

Lala ha soltanto diciassette anni, frequenta ancora la scuola ma ha già un figlio. Nata e cresciuta in Italia, deve comunque fare i conti con i pregiudizi che quotidianamente colpiscono le ragazze come lei. Lala è infatti una giovane rom, non ha i documenti e per questo non riesce a trovare lavoro. Non potendo avere un impiego, non ha modo di mantenere sé stessa e il figlio. Per questo motivo, il neonato viene allontanato dai servizi sociali, che lo prendono in carico per darlo in affidamento e offrirgli la prospettiva di un futuro migliore. Ma Lala non si arrende: ama suo figlio, vuole crescerlo ed è pronta a lottare per riaverlo. La prima cosa che deve fare, quindi, è procurarsi i documenti, ma non sarà un’impresa facile.

Quella di Lala è la storia di Zaga, una ragazza rom nata e cresciuta in un campo a Roma. La regista Ludovica Fales ha conosciuto Zaga quando aveva diciassette anni e viveva insieme al suo bambino in un appartamento nel quartiere di Tor Bella Monaca. Fales aveva intenzione di filmare Zaga mentre cercava di ottenere il permesso di soggiorno. Tuttavia, dopo più di un anno di tentativi andati a vuoto, la ragazza si rese conto di non avere alcuna possibilità di successo e per questo decise di partire, senza lasciare traccia.

Fales, però, non ha dimenticato Zaga e per dar voce alla sua storia, e a quella di tante giovani ragazze rom costrette a vivere le sue stesse difficoltà, ha scritto un film per raccontarla. Nei panni della protagonista c’è Samantha, una giovane attrice rom non professionista. Samantha non si limita a interpretare Lala – alter ego di Zaga – ma contribuisce attivamente alla costruzione della narrazione: dice cosa pensa di ciò che accade al personaggio, cosa potrebbe provare e in che modo quel che succede a Lala le ricorda alcune vicende della sua stessa vita. Al coro di voci che compongono il film si aggiungono anche quelle di altri ragazzi rom e sinti che commentano a propria volta il racconto con le loro considerazioni personali e le loro esperienze.

Come si legge alla fine del lungometraggio, poco prima dei titoli di coda, ogni elemento della storia è il frutto degli incontri che i giovani attori presenti nel film hanno svolto nel corso di un laboratorio di improvvisazione teatrale durato cinque anni, in cui hanno condiviso la propria interiorità e i propri sogni. Lala è quindi nato grazie a tutti loro e grazie a Zaga, alla cui vicenda la sceneggiatura in primo luogo si ispira.

Il risultato è un gioco di specchi in cui il film riflette continuamente su sé stesso, su quel che vuole comunicare, sui sentimenti che intende veicolare. E, in effetti, ascoltare le opinioni degli attori sulla rappresentazione della storia è la cosa più interessante di Lala: la loro spontaneità e la loro genuina commozione arricchiscono realmente le vicende mostrate e le fanno sentire più vere, più concrete.

Lala è un gioco di specchi in cui si riflettono le esperienze di moltissime ragazze e ragazzi rom e sinti: una storia semplice diventa così un coro di voci in cui si compone un variopinto mosaico di umanità.

Recensione di Silvia Guzzo su MYmovies.it

https://www.youtube.com/watch?v=CfGiiCT3JEY

Letture: “Donne “cattive” Cinquant’anni di vita italiana” di Liliana Madeo

Il mondo va ripensato anche dalle donne, e non solo per ciò che le riguarda: infatti non c’è niente che, riguardando le donne, non riguardi anche gli uomini.

« L’Italia che esce dalla guerra, l’Italia che entra nel nuo­vo millennio. Cambiano i costumi, il modo di produrre e di pensare, l’immaginario, le regole della convivenza. Con amori, sangue, vendette, illusioni, utopie, crudeltà, coraggio, inventiva: un romanzo che attraversa mezzo secolo. Da una parte ci sono le istituzioni con i loro ritardi e lentezze, la misoginia dei politici, il moralismo dei giudici, la scuola repressiva, la Chiesa ancorata alla tradizione, la scomunica di ogni ribellione, i faticosi e appassionanti itinerari del rinnovamento, le resistenze del potere al nuovo. Dall’altra parte ci sono i personaggi che – magari in maniere sgradevoli o addirittura criminali, per improvvise esplosioni, a segmenti – trasgrediscono la norma e precorrono i tempi, contribuiscono a far crollare tabù e convenzioni, portano alla luce quanto sta maturando nelle pieghe della società. Figure femminili.
Sono loro – le donne che rifiutano un destino predeterminato e scelgono di buttare all’aria tradizione, gerarchie, persino il rispetto della legalità – le protagoniste delle tante Italie che si scontrano, si ignorano, convivono. Non eroine intemerate. Non vittime. Non controfigure. Donne scomode. Le madri delle ragazze del nuovo millennio. »

Uno scritto di Natascia dal carcere piacentino delle Novate

Un anno e tre mesi sono passati dal giorno del nostro arresto, il 21 maggio 2019, e, forse un po’ in ritardo, è sorta per me la necessità di scrivere due righe pubbliche, dopo le migliaia di pagine private, su tutta questa faccenda.

Per prima cosa mi preme ringraziare le decine di compagni che, in un modo o nell’altro, sono stati per me (lontani ma) presenti durante questi mesi, foss’anche solo con una cartolina: la consapevolezza che fuori da queste mura continui ad esistere il mondo che ho lasciato, con le sue contraddizioni ma anche con il suo carico di slanci e passioni, mantiene in vita, se non organicamente, sicuramente dal punto di vista emotivo e intellettuale. Purtroppo non è stato (e non è) un percorso detentivo “facile” (se mai ne esistano), tra l’estradizione, L’Aquila e l’AS3, ma in nessun momento ho sentito di perdere contatto con il mondo esterno, i dibattiti, la lotta, e di questo posso solo ringraziare i compagni che si sbattono e le persone che mi amano (spesso le due cose
coincidono). GRAZIE.

Detto ciò, va ammesso che l’aver scelto di non espormi “pubblicamente” attraverso nessun mezzo, perché non è mia abitudine e perché reputo che in certe circostanze siano i fatti a parlare meglio di qualunque comunicato, per certi versi abbia creato un po’ di confusione, anche e soprattutto in merito all’aspetto tecnico e processuale. Cercherò di rimediare.

– OPERAZIONE PROMETEO

Il capo d’accusa che ci viene contestato è il 280 del codice penale: “attentato con finalità di terrorismo”, più una sequela di aggravanti come il concorso e, di nuovo, la finalità di terrorismo (come si
applichi l’aggravante di terrorismo ad un reato con finalità di terrorismo è un’astrazione giuridica che ancora non mi è chiara). Niente associazione, niente porto d’armi da guerra, ma l’attentato viene definito “micidiale”, ovvero si qualifica come “attentato alla vita”; la pena parte dai 20 anni, aumentati di un terzo perché “rivolto contro persone che esercitano funzioni giudiziarie o penitenziarie”.

Il teorema inquisitorio ha ben poco di concreto: gli inquirenti sostengono di aver localizzato il negozio cinese nel quale sarebbero state vendute le buste utilizzate per il confezionamento degli ordigni (nonostante i saggi grafici cui sono stati sottoposti tutti i dipendenti non collimino con la scrittura che compare sui plichi ricevuti) e possiedono una ripresa di una telecamera di sorveglianza della piazza antistante il negozio in cui Beppe ed io siamo ripresi a uscire dal medesimo. Tutto qua. Usciamo dal negozio senza avere in mano gli acquisti contestati, nessuno scontrino emesso in quell’orario coincide con i prezzi del materiale che si vorrebbe acquistato, nessuna traccia di impronte digitali o DNA, nessuna confessione rubata con intercettazioni ambientali o telefoniche. Ma si sa, due anarchici che fanno compere in un negozio cinese, a due passi dall’abitazione di uno dei due, nella città in cui SI IPOTIZZA e nel momento in cui SI IPOTIZZA che siano stati confezionati gli ordigni… è più che sufficiente. Per concludere, una ricerca informatica effettuata a Genova sugli indirizzi dei destinatari dev’essere opera del terzo compagno che trascorreva il weekend in quella città con loro, Robert. Quest’è, né più, né meno.
Ora, che le procure di mezza italia amino fare castelli in aria è risaputo, questa volta in aggiunta alla solita mancanza di concretezza hanno sfoderato la vena epica e letteraria. Il mito di Prometeo è noto ai più: ruba il fuoco (la conoscenza) agli dei per farne dono agli uomini, e perciò viene punito. Chi in questa rappresentazione si appropri della e si autoassegni la parte di dio, è evidente. E se su certi sacri ruoli non va posato nemmeno lo sguardo, figuriamoci l’impudicizia di far loro arrivare un messaggio così chiaro come una busta farcita di polvere pirica. Stereotipica di Prometeo è
l’IRRIVERENZA. Egli profana un monopolio, in questo caso quello della giustizia, che non compete agli uomini, e la prometeica punizione è più che severa, è fatidica. E dunque, a prescindere dall’inconcretezza degli indizi, qualcuno va punito, e se sono degli anarchici tanto meglio.
Ad oggi, nessun legislatore ha osato scalfire il sovradimensionamento né l’inconsistenza dell’accusa, d’altronde è nientemeno che dagli dei che arrivano le direttive, e Prometeo è di monito a tutti, servi compresi.

– 2 PICCIONI CON 1 FAVA

L’anarchico, inutile dirlo, ha il fisique du rôle: nel disegno iperbolico degli inquirenti capita a fagiuolo. E infatti, il 90% delle cartacce cui ho avuto accesso (inutile dire che gli atti completi mi sono preclusi, visto che si tratta di più di 200.000 pagine e il carcere dimmerda in cui sono capitata non è attrezzato per consentirmi l’accesso al formato digitale) è la solita solfa su cui imperniano TUTTE le operazioni in chiave anti anarchica degli ultimi anni: criminalizzazione della solidarietà, dei rapporti affettivi, travisamento delle opinioni, fantasie morbose da incasellamento questurino.
Lungi da me volermi lanciare in un afflato vittimistico: l’anarchico dello stato è nemico, con l’autorità in guerra e, si sa, in amore e in guerra tutto vale. Non mi aspetto tenerezza, e sono profondamente convinta che l’espressione “un giusto processo” non sia altro che una circonvoluzione a metà tra l’ossimoro e la sinestesia. Ma è bene, a fini d’analisi, parlare anche di questo. Sulla base delle sparate di Sparagna estrapolate direttamente dagli atti del processo Scripta Manent, i ROS dedicano non poche pagine a quello che vorrebbe essere un diagramma linneano della storia dell’anarchismo, cercando a tutti i costi di inquadrare ciò che inquadrabile non è (e partono nientemeno che da Bakunin… che onore!), e di comprendere ciò che, inutile dirlo, compreso non verrà mai dentro alle mura di una questura.
Allo stesso modo viene trattata la solidarietà ai prigionieri, che in questo caso assurge direttamente a movente, essendo uno dei riceventi le buste incriminate Santi Consolo, ex direttore del DAP. E così interessarsi alle sorti di un compagno, o addirittura di un amico, incappato nelle maglie della giustizia, è fattore incriminante; persino inviare una cartolina (firmata) a chi è detenuto assume l’aura del sospetto.

Altro capitolo intero, se non pensassi di starmi già dilungando troppo, si potrebbe dedicare a quella che viene definita “l’analisi della personalità degli indagati”: i toni passano da fantasiosi a paradossali, letteralmente. La partecipazione a un dibattito acceso e attuale (e non solo in seno al “movimento”) come quello sulle tecniche forensi e d’indagine, in particolare sull’utilizzo del DNA e sulla creazione di una banca dati genetica nazionale e internazionale, si trasforma come per magia nell’ossessione del colpevole, assillato dalla costante paranoia di venire arrestato; ogni parola catturata dai microfoni viene letta come criptica (si sa, sono furbi questi anarchici! Quando dicono “Prendiamoci un caffè” in realtà vogliono dire: “Chi porta il C-4?”); svarioni filosofico-esistenziali senza capo né coda, cui nemmeno i diretti interessati saprebbero dare un senso, offrono lo spunto per interpretazioni di colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio. E qui mi fermo perché, letteralmente, potrei andare avanti ore, ma dal paradosso non ci sono conclusioni logiche da trarre.

Infine:

– SUI TERMINI DI CUSTODIA CAUTELARE

Parecchie volte, ultimamente, mi è stato domandato per corrispondenza: “Ma come? E i tuoi termini non scadono più? Non esci?”. Giusto per chiarire: il termine indicato dal codice penale per questo tipo di reato è di 1 anno, ovvero avrebbe dovuto scadere il 21 maggio 2020. Ma poi, a marzo, il covid. A quel punto escono, a distanza di circa un mese, due Decreti Presidenziali che prorogano di poco più di 30 giorni ciascuno TUTTE le scadenze e le prescrizioni. La GIP di Milano, ad oggi non saprei spiegare il perché, tiene in considerazione solo la prima proroga, e fissa allo scadere del 90° l’udienza preliminare, che congela definitivamente i termini, il 22 giugno.
Nel corso dell’udienza si sentenzia l’incompetenza territoriale della procura milanese in favore di quella di Genova, tutti gli atti vengono inviati a nuovo giudice e… sorpresa! Il conteggio dei termini di custodia cautelare riparte da zero!
Si è poi svolta una prima udienza preliminare a Genova il 29 luglio, con rinvio all’11 novembre. Il ché significa che quando avremo fatto 18 mesi di carcere preventivo sapremo, forse, quanto tempo passerà ancora prima che inizi il processo. Quest’è. Vi rimando alle considerazioni di cui sopra in merito al “giusto processo”.

E su questi tecnicismi chiudo questa lunga ma doverosa disquisizione, con l’idea di renderla “pubblica” attraverso i soliti canali. Molte altre cose vorrei aggiungere, ma non è questa la sede.

Un abbraccio fraterno a tutti i compagni, compreso mio padre, uno più stretto a quelli rinchiusi.

In ogni caso, nessun rimorso.

Salud y Anarquìa

Nat

Bambina detenuta alla Dozza di Bologna

BASTA BAMBINI IN CARCERE!!

Ci è giunta all’orecchio la notizia che all’inizio di agosto, nel carcere bolognese della Dozza, è stata detenuta una bambina di 4 anni assieme alla madre migrante per ben quattro giorni prima di essere scarcerata dal tribunale del riesame. Siamo inorriditi dal fatto che possa riaccadere, nonostante le numerose polemiche e i diversi tentativi di rimediare a questi orrori giudiziari, che ancora nel 2020 un bambino possa vivere in carcere, ancora di più se in isolamento come in questo caso dovuto alle misure anti-COVID. Ad oggi la legge proibisce l’internamento di bambini di età superiore ai tre anni che anzi devono essere collocati assieme al genitore in sezioni del carcere dedicate come gli ICAM (Istituti a Custodia Attenuata per detenute Madri) o in case-famiglia. Al momento sono presenti cinque ICAM sul territorio nazionale: alle Vallette di Torino, a San Vittore-Milano, a Cagliari, a Lauro e alla Giudecca di Venezia. Troppi bambini vivono oggi dietro le sbarre: 33 sparsi sul territorio nazionale di cui uno nel carcere di Forlì.

Scritto dal carcere femminile di Brieva per la compagna per cui è stata chiesta l’estradizione

Ripubblichiamo:

Pochi giorni fa, quando ormai avevamo dato per scontato l’estradizione della compagna arrestata lo scorso 13 aprile, riceviamo la notizia che la consegna allo stato tedesco verrà posticipata di un mese, proroga decisa della audiencia nacional, in risposta a una richiesta fatta dal nostro avvocato in quanto gia in corso prima dell’arresto della compagna la preparazione della documentazione per il matrimonio.

Nel momento in cui arriva la decisione del tribunale, la compagna veniva trasferita nel carcere femminile di Brieva (Avila), da dove crediamo stessero preparando il volo verso la Germania.

Da li ci ha fatto arrivare questo scritto che pubblichiamo immediatamente.
Attualmente la compagna si trova nuovamente nella prigione di Soto del Real (Madrid), in isolamento e con possibilitá di cortile con altre detenute, fino almeno il 30 giugno, data in cui termina la proroga che consente la celebrazione del matrimonio.
Nel frattempo facciamo appello a continuare a mostrare la solidarietà con la compagna per le strade, a dimostrare il nostro appoggio con tutte le combattenti imprigionate e mostrare il profondo disprezzo al sistema che le mantiene sequestrate per difendere il suo miserabile ordine.

Scritto della compagna arrestata il 13 aprile:

“Compagne e compagni, scrivo dal carcere di Brieva, Avila dove mi hanno appena portato dopo un mese e mezzo di detenzione nel carcere di Soto del Real, Madrid, sempre in Fies e in regime di isolamento. Avrei voluto scrivere prima ma le comunicazioni e informazioni sono molto lente e limitate, per questo non l’ho fatto fino adesso.

Apprezzo profondamente tutti i gesti e dimostrazioni di solidarietá e sostegno.
Li ho sentiti così forte che hanno attraversato i muri, le sbarre e tutti i sistemi di sicurezza e controllo. Per quanto ci provino, non riusciranno mai a rompere o frenare la nostra volontà e la nostra determinazione a ribellarci contro questo mondo di miseria totale in cui ci obbligano a vivere.
Sono precisamente le condizioni più difficili quelle che ci danno più forza e determinazione per avanzare ed affilare la varie possibiltà di conflitto che abbiamo, sia qui dentro che fuori. Le lotte per la liberazione da ogni forma di oppressione e autorità sono molteplici, come lo sono le metodologie e le giuste e legittime pratiche di lotta.
Dal semplice rifiuto a riconoscere qualsiasi autorità, all’attacco o esproprio di una banca.
La cosa più importante delle azioni è che possano essere comprese di per se ; gli obiettivi, il fine e il valore.

Quando le differenti lotte si intrecciano tra loro in un contesto più ampio, si complementano rafforzano, rompendo con la separazione tra il politico e il quotidiano/personale; perché tutte le decisioni personali che prendiamo durante la nostra vita finiscono per essere politiche così come le scelte politiche influenzano direttamente la nostra vita privata.

È evidente che bisogna stare attente ad ogni passo che facciamo per non cadere nelle grinfie dello stato e dei suoi servi.
Ma sappiamo bene che lottare ha il suo prezzo.
Lo stato e i media rispondono ogni volta con maggiore repressione e con persecuzioni mediatiche sempre più pressanti, rivolte a tutte quelle che gli si mettono contro.

Per ora sono qui, ma probabilmente presto verrò estradata in germania. Mi sento forte per poter affrontare questa situazione e tutto quello che verrà. Soprattutto orgogliosa delle nostre idee, dei nostri valori e delle pratiche anarchiche, della vita che abbiamo scelto e che continuiamo a scegliere ogni giorno.

Forza e solidarietà a tutte e tutti combattenti, perseguitatx e detenutx!
La lotta continua, non ci fermeranno mai!

01/06/2016

Carcere di brieva (avila, Espana)

puntata 33, stagione 1, 15 maggio 2014

Puntata n° 33 (stagione 1) – del 15 maggio 2014

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puntata 15, stagione 1, 9 gennaio 2014

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notiziario puntata 9, 28 novembre 2013

NOTIZIARIO 9, PUNTATA DEL 28 NOVEMBRE 2013
-SPECIALE VIOLENZA SULLE DONNE-

Questo notiziario lo vogliamo dedicare alla situazione delle donne che subiscono violenza, come ci ha ricordato il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Continua a leggere »

puntata 2 – stagione 1, 10 ottobre 2013

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