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La politica del terrore – Pasquale De Feo

La politica del terrore – Pasquale De Feo

carcere di pianosaLa politica del terrore

Quando uno Stato che si ritiene democratico adopera la repressione come progetto politico è la tortura per infondere terrore, la civiltà viene ferita nel profondo della sua essenza. Dalla nascita questo Paese censura le sue nefandezze, raccontando favolette con l’aiuto di pennivendoli salariati. I fatti nel tempo sono stati avvolti dall’oblio, perché uno Stato che si professa di diritto non può dare luce alle tenebre delle sue infamie. Siamo l’unico Paese d’Europa che innalza nell’olimpo degli eroi feroci carnefici con la tessera dell’impunità.
Quando il potere politico istituzionalizza la repressione e la tortura, il meccanismo per legittimarli agli occhi dell’opinione pubblica, è quello di mostrificare chi la subisce, ed esaltare gli allegri aguzzini che la eseguono.
Come moderni principi rinascimentali, i gruppi di potere che gestiscono il Paese, nei momenti di difficoltà politica ed economica, hanno sempre usato la violenza, salvo poi innalzare una cortina fumogena con una repressione generalizzata, scaricando sugli stessi “bravi” che ha adoperato, tutte le responsabilità.
Questo Paese unito con l’annessione del Meridione, imposta col ferro e il fuoco in un fiume di sangue, per saccheggiarne le ricchezze, ha creato un sistema coloniale che dura tutt’ora. E per mantenere lo status quo l’oppressore deve tenere costante la repressione: una volta eravamo un covo di briganti, oggi siamo un covo di mafiosi, domani saremo un covo di alieni (sic!).
La criminalità organizzata di cui tanto si favoleggia è figlia della bestiale occupazione nazi-piemontese, in origine fu reazione politica, poi si tramutò in aperta rivolta contro la crudele occupazione e solo dopo dieci anni di guerra e orribili massacri, con la sconfitta militare dei meridionali, divenne delinquenza comune. Roma (“Forte Apache”) è l’avamposto posto a controllo che nella riserva gli indigeni siano bravi servi, e quando si ribellano, il padrone “paternalmente” manda qualcuno a riportare l’ordine, all’inizio erano tutti generali e prefetti piemontesi oggi sono le procure antimafia.
Ogni ribellione contro un’occupazione straniera finita la sua spinta sfocia in fenomeni di criminalità, si autoregolamentano e percependo lo Stato esclusivamente nella forza bruta del suo apparato.
Chi ha causato la morte economica e sociale del Meridione, continua con i suoi discendenti tale opera: repressione, morte civica, incarcerazione ed espulsione dal corpo sociale.
I pronunciamenti marziali dei politici e dei tanti campioni della legalità che esortano una guerra santa alla criminalità, non li si vede mai fare con la stessa enfasi per sanare la barbarie sociale che sono la causa di questi fenomeni.
Il problema principale è che il tessuto delle istituzioni è imbevuto dalle terribili teorie di Cesare Lombroso, uno scienziato criminale, che affermava come i meridionali erano geneticamente difettati, la conformazione fisica ed etnica portavano a una naturale propensione a delinquere, dunque criminali per nascita, eredi di un’atavica popolazione difettosa, che niente e nessuno poteva sottrarre al loro destino. Non delinquenti per un atto cosciente e libero della volontà, ma per innate tendenze malvagie.
La propaganda piemontese ha enfatizzato la figura dei meridionali poltroni, criminali, barbari, alimentando il razzismo antimeridionale, giustificando la repressione, coprendo il vero fine di sottomettere e saccheggiare il meridione impunemente.
Cesare Lombroso, padre del razzismo antimeridionale, ha inquinato non solo le menti dei cittadini del Nord ma anche le leggi, il sistema penale e l’esecuzione della pena.
Oggi il mostro del razzismo indossa vestiti e usa termini nuovi, ma è sempre quello dell’origine, che ha legittimato la legge Pica che permise massacri e oppressioni indescrivibili.
I meridionali erano ritenuti i “beduini” della loro Africa, rimasti nei fatti i loro “negri”, usati per alimentare il risentimento e l’insicurezza collettiva, convogliata da mirate propagande per l’approvazione di leggi manifesto per un sistema penale con il doppio binario, come nelle colonie.
Credono di risolvere il problema seppellendo migliaia di meridionali nelle prigioni, criminalizzandone ogni comportamento, affinché la schiavitù del tricolore, portata sulle punte delle baionette piemontesi, non venga scalfita.
Nel periodo della crudele occupazione migliaia di prigionieri furono deportati nei lager dei Savoia, sulle Alpi e nelle isole, tra cui la famigerata Pianosa dell’arcipelago toscano, dove nel pieno della guerra, nel 1863, fu costruita una struttura carceraria sotto impulso della legge Pica; questi lager rispondevano direttamente al ministero dell’Interno e non a quello della Giustizia.
L’Auschwitz, di questi lager, fu il Forte di Fenestrelle, dove le statistiche ufficiali riportano 26mila morti. Situato a duemila metri sopra Torino, i prigionieri (cd briganti) non dovevano sopravvivere più di tre mesi, i loro corpi venivano sciolti in una vasca tuttora esistente di calce viva; i Padri della Patria avevano anticipato i nazisti di ottanta anni.
Anche oggi i lager di tortura del 41bis si trovano tutti nel Centro-Nord del Paese.
L’isola di Pianosa è stata sempre usata ad ogni repressione, essendo lontana da occhi indiscreti. Dalla repressione durante l’occupazione nazi-piemontese, a quella del famoso prefetto Mori, un altro piemontese fatto passare da eroe, quando si comportò come si trovasse in una colonia africana, nessun diritto e calpestando ogni dignità umana degli indigeni-siciliani.
Sempre durante il fascismo, a Pianosa, furono deportati i politici da opprimere e isolare.
Con la fine della Seconda Guerra Mondiale, vi rinchiusero i fascisti da punire. Come anche i combattenti siciliani che insorsero per l’indipendenza della Sicilia.
Negli anni settanta, il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa ristrutturò il lager dell’isola, per l’emergenza terroristica.
Successivamente fu usata per la repressione dei campani-napoletani dal 1981 al 1988.
L’ultima barbarie commessa nell’isola, fu dal 1992 alla sua chiusura nel 1998, dove la disumanità raggiunse livelli aldilà della comprensione umana. Con bonus sugli stipendi e sulle pensioni, forgiarono aguzzini nelle file della polizia penitenziaria, che vengono adoperati ancora oggi. Sono gli stessi usati nella caserma Bolzaneto per torturare i manifestati del G8 del 2001 a Genova.
Qualche anno prima, nel 1991, in sordina, si ristrutturarono le sezioni da “macelleria messicana”: “Agrippa” a Pianosa e “Fornelli” all’Asinara. Mentre il ministro della Giustizia Martelli e quello degli Interni Scotti, delegarono l’ex pm Giovanni Falcone a scrivere le leggi repressive più infami dopo la legge Pica.
Leggi che non potevano passare ma con le stragi Falcone e Borsellino furono approvate.
Falcone prima venne usato per scrivere queste leggi e poi martirizzato per farle votare in Parlamento.
Erano tempi di cambiamenti epocali, era caduto il muro di Berlino e con esso tutto l’impero sovietico, la politica italiana aveva perso i suoi tradizionali punti di riferimento, tangentopoli azzerò il pentapartito che governava il Paese da cinquanta anni, le procure, fino a quel momento accondiscendenti col potere, si scatenarono per portate l’ex partito comunista al potere.
C’erano le liberalizzazioni con la vendita delle imprese statali da gestire e spartire, privilegi e rendite di potere da proteggere, e continuare ad avere mano libera nelle casse dello Stato. Provvedimenti impopolari per entrare nel l’euro e riordinare la politica.
Per garantirsi tutto ciò si utilizzò un metodo già collaudato in passato: la strategia della tensione.
Bettino Craxi nel marzo del 1992 dichiarò in TV: “ed ora inizieranno a scoppiare le bombe”, conosceva bene il modus operandi del sistema dominante di questo Paese: destabilizzare con attentati come a Portella delle Ginestre e stabilizzare con la repressione, per compattare il Paese.
La stagione delle stragi del 1992-93 è stata studiata a tavolino dall’élite che è al potere, da quelli che la storia la fanno e non la subiscono, usando di volta in volta gli interlocutori ritenuti più funzionali, come quei “bravi” di manzoniana memoria. Ogni epoca ha i suoi “bravi” anche se con nomi diversi. Daltronde da più fonti, di grande prestigio culturale, hanno affermato che l’élite al potere usa i “bravi” per proteggersi e negli interventi illegali contro chi mina il loro potere.
Nel 1992 era tutto pronto, nel giro di qualche mese iniziò la politica del terrore con i rastrellamenti e le deportazioni di massa in tutto il Meridione, con la sceneggiata di mettere i missili terra-aria sull’isola di Pianosa come se i reclusi provenienti da tutte le carceri d’Italia, con l’arrivo nell’isola l’avrebbero fatta attaccare con gli aerei; la mostrificazione prendeva forma, con la demonizzazione più sfrenata e un’ordalia forcaiola di disumana barbarie. Lo Stato si lasciò dietro alle spalle preoccupazioni di tipo garantiste legalitarie o formali, orpelli democratici buoni per altri tempi. Si ritornò ai tempi del generale piemontese Enrico Cialdini, quando la legge Pica imperava in tutta la sua nefandezza. Resero talmente cieca la popolazione italiana da rasentare la stupidità. Chi consentì tutto ciò? Furono i media che convinsero la gente che gli arrestati fossero mostri senza diritti; mostruoso è stato lasciare il destino di migliaia di meridionali nelle fauci dell’apparato repressivo.
Consapevole di essere il braccio armato di una politica che si basa sulla “pancia” della gente, diedero fondo al goebbelisiano che alberga in ognuno di noi, dando il via alla politica terroristica.
Saziarono l’opinione pubblica col più bieco giustizialismo, indottrinandoli non della realtà, ma complici nel divulgare una realtà artificiosa per legittimare una repressione crudele e spietata per altri fini.
Una maschera ideologica per nascondere non solo la verità sulle stragi di Stato, ma anche l’infamia delle torture e leggi repressive. Hanno addomesticato la gente con la loro complicità, autentiche “penne armate” della propaganda per sostenere la democrazia della prepotenza e dell’arroganza.
La logica criminale dei salotti dei potere, che non si preoccupa delle macerie che lascia dietro di sé, ma gli interessa solo i propri interessi e l’impunità.
Sono riusciti a far metabolizzare alla gente che tutto sarebbe cambiato con le nuove leggi e le repressioni, ma come è descritto nel Gattopardo “cambiare tutto per non cambiare niente”, e profeticamente anticipa la realtà odierna “quelli che verranno dopo di noi saranno peggio delle iene e degli sciacalli”, non si sbagliava Tommaso di Lampedusa, questa classe dirigente è una bestia nel senso più dispregiativo del termine.
Negli ultimi venti anni si sono spolpati il Paese ingoiandosi ogni cosa e hanno portato il debito pubblico da 700 miliardi di euro a duemila miliardi di euro.
La gente non arriva più a fine mese, pertanto non si è arricchita quest’ultima, ma i soliti noti.
Ancora oggi tanti “savonarola” cianciano, aizzando le folle, che i problemi del Paese e l’arretramento tecnologico e le infrastrutture del Meridione sono colpa della criminalità. Una barzelletta che non la beve più nessuno, perché dovrebbero spiegare come facciano paesi come l’USA, Messico, Brasile, Francia, Russia, Cina ad avere un PIL che galoppa, avendo una criminalità che a confronto quella nostrana, è meno che quella di bulli di quartiere.
La verità è che in Italia il tema criminalità e la sua repressione, è diventata uno strumento politico che occupa i programmi dei partiti, serve a fare carriera e a rifarsi una verginità.
Poche persone sono state accusate delle stragi, ma a pagare sono stati migliaia di meridionali con deportazioni, torture e alcune centinaia di morti nei lager del 4l bis. I tribunali ormai sono dei plotoni di esecuzione con condanne a livello industriale, senza nessun diritto e rispetto per la difesa.
Nessuno si sognerebbe di affermare che i reati non devono essere perseguiti, ma l’uso che si fa della giustizia e le perenni emergenze con le leggi anticostituzionali non ha eguali nel panorama occidentale; con mezzi illegali non si sconfigge la illegalità ma la si alimenta.
Le politiche di repressione con le nefandezze che ne derivano hanno la funzione di alzare una nebbia per impedire alla popolazione di aprire gli occhi per capire il ladrocinio che si perpetua nei loro confronti. L’informazione è stata avvelenata un po’ alla volta negli ultimi venti anni ed ora la gente si è abituata al veleno quotidiano mediatico e al furore giustizialista dei vari savonarola campioni della loro” legalità.
Questi due decenni sono paragonabili alla “colonna infame” di Manzoni.
Diceva Albert Einstein che il mondo è pericoloso non ha causa di chi fa del male ma a causa di chi guarda e lascia fare. Durante il fascismo solo dodici professori rifiutarono di giurare al regime fascista. Il coraggio dei pochi. Per la tortura del 4l bis e delle leggi terroristiche che innescarono questo furore giustizialista, si ribellarono solo in due, gli ex On.li Tiziana Maiolo e Vittorio Sgarbi.
I fatti che avvennero, nel 1992 quando iniziarono la politica del terrore, possono essere paragonati a quelli dei tempi del Malleus maleficarum (il martello delle streghe), manuale scritto nel 1487 da due domenicani e usati dai tribunali dell’inquisizione. Tempo in cui gli inquisitori avevano potere assoluto. Gli unti e gli eletti del Signore imposero il credo della spada e del castigo divino, trascinando cordate di maghi e streghe sui roghi, nel plauso generale di una società assuefatta alla violenza gratuita “legale”, al sospetto, alla persecuzione, all’annientamento, dove le streghe non c’erano furono create e si moltiplicarono.
La legge Scotti-Martelli del 1992 ha azzerato ogni garanzia, instaurando la pena di morte, la tortura e la legittimarono dinanzi al CPT e l’ONU nel 1995 sostenendo che con queste misure avevano sconfitto la mafia, estorcendo notizie con la delazione.
Con l’ergastolo ostativo hanno reintrodotto la pena di morte espropriando la vita delle persone. Con l’art. 4bis hanno eliminato ogni residua speranza. Con il 41bis hanno elevato la tortura a norma e azzerato qualunque contatto umano. La repressione e la tortura sono al servizio e difesa del potere dominante, mai della giustizia. Tutti i regimi si sono serviti e si servono della costruzione di un nemico comune per manipolare le persone e ottenere il consenso, descrivendo il nemico sempre e allo stesso modo: brutto sporco e cattivo.
Un sistema che considera la giustizia uno strumento per esercitare il monopolio della violenza non potrà avere rispetto della vita umana e dei suoi diritti. Per questo motivo creano accuse e storielle mediatiche per la criminalizzazione di chi è sacrificabile e coprire tutte le nefandezze di un potere criminale, che dal 1992, anno d’inizio del terrore giuridico e penitenziario, non solo è diventato il Paese più corrotto d’Europa, ma del mondo occidentale, e la corruzione aumenta ogni anno.
Ho sottolineato più volte Meridione e meridionale per evidenziare la continuità di metodo repressivo, attuato prima con la legge Pica nel 1863, e poi con la Scotti-Martelli del 1992: due mostruosi meccanismi giuridici per opprimere il Meridione.
La legge Scotti-Martelli quella dell’ergastolo ostativo, dell’art. 4bis e 41bis è stata emanata per il Meridione e contro i meridionali; i meridionali sono sempre colpevoli perché esserlo è un reato da 150 anni.
Il 90% dei reclusi italiani sono di origine meridionale; il 100% dei reclusi nel regime del 4lbis sono meridionali; il 100% degli ergastolani ostativi sono meridionali; il 90% dell’applicazione del famigerato articolo 4bis sono meridionali. I numeri non possono essere manipolati, perché i fatti sono fatti il resto sono chiacchere. L’unica cosa che è cambiata dall’origine, è che la repressione non la effettuano più i nazi-piemontesi, l’hanno delegata agli stessi meridionali, come si faceva nelle colonie africane con gli Ascari che reprimevano i loro connazionali, con la legittimazione dell’elitè al potere collaboratori dei colonialisti.
Nel regime di tortura del 4l bis la polizia penitenziaria è tutta meridionale.
D’altronde anche la magistratura nella maggioranza è meridionale. Discendente da quel 10% di magistrati che i nazi-piemontesi non esautorarono, come fecero con l’altro 90% che non si adeguò ai suoi progetti. Quel 10% furono fedeli esecutori delle loro barbarie e per questo premiati, come continuano ad esserlo tuttora i loro discendenti.
Il nuovo ministro della Giustizia Cancellieri è riuscita dove altri avevano fallito, convincere il presidente della Toscana Rossi ad accettare la riapertura di Pianosa, in modo soft come nel 1991. La storia si ripete, il clima politico ed economico di crisi può far concepire al principe un’altra stagione di sangue e repressione come nel 1992.
Come nel passato, l’isola di Pianosa vuole essere luogo da usare per torturare lontano da occhi indiscreti. Nessun uomo passato in questi inferni potrà cancellare la sofferenza patita dal suo animo; il potere della memoria è spaventoso.
Ancora oggi questo Stato “democratico” si nasconde dietro le reticenze dell’apparato repressivo, dimenticando che verità e legalità devono essere uguali per tutti e nessun stato d’eccezione può portare alla sospensione dei diritti.
Continuano anche a emanare sequele di provvedimenti legislativi annunciati con le fanfare e squilli di tromba per necessità di difesa sociale, quando i numeri li smentiscono sotto ogni profilo. Dall’Unione Europea che ritiene l’Italia uno dei Paesi più sicuri d’Europa, dai reati calati vertiginosamente e negli ultimi centocinquanta anni non ci sono mai stati così pochi reati. Nel decennio 1930-40 il numero di omicidi era di 2500, nel decennio 1970-80 scende a 1500, nell’ultimo decennio 2000-2010 arriva a 600 omicidi. Se pensiamo che in carcere, nello stesso periodo, i morti sono stati circa 2000, tra suicidi, malattia e vecchiaia possiamo concludere che uccide più lo Stato che la criminalità.
Si leggono articoli di scribacchini della paura che le mafie sono più forti di venti anni fa, viene spontaneo chiedersi cosa ne hanno fatto delle decine di miliardi spesi per combattere la mafia in tutti questi anni. Inoltre perché continuano a infliggere sofferenze ai detenuti seppellendoli vivi nei 41 bis e allontanandoli a centinaia di chilometri dalle famiglie con danni e dolore a donne e bambini per fargli visita, se non serve a nulla, anzi la rafforza…
L’ex giudice Ayala dichiarò che continuano a tenere nel 4l bis persone sulla base delle dichiarazioni dei carabinieri di un paese dal quale mancano da trenta anni; lui da sottosegretario prorogava tale regime per dovere istituzionale. Con il dovere si vuole giustificare sempre tutto, ma principalmente dissimulare la disumanizzazione, la tortura di tale regime, che è deliberata.
Non c’è da stupirsi che la Commissione europea per la prevenzione della tortura tiene sotto controllo l’Italia, la Cecenia e la Romania.
Siamo l’unico Paese europeo a non avere il reato di tortura, e non cambiano il codice Rocco perché è più funzionale per una repressione più feroce e fuori controllo.
L’apparato della repressione è diventato un maestro insuperabile nel trovarti una colpa, riproducendo quella forma autoritaria di controllo sociale che dicono di combattere.
Non si paga il reato ma quello che si vuol far rappresentare e migliaia di innocenti negli ultimi venti anni resteranno sempre colpevoli nella loro innocenza.
Una giustizia razzista e iniqua che alimenta sfiducia nella gente nei confronti delle istituzioni, spesso è il fondamento della devianza di intere collettività.
L’invenzione del concetto di pericolosità sociale è una grande menzogna delle politiche ultra repressive, una gestione penale della povertà nel Meridione, per avere un controllo sociale e poliziesco sugli indigeni della colonia.
Il processo di Norimberga affermò il principio della responsabilità personale come stabilisce la nostra Costituzione, ma nel Meridione non è così, la responsabilità è collettiva. Succede un evento criminoso a Marsala, pago anch’io che sono di Salerno, però non pagano mai persone di Trento, Torino o Firenze.
Nel Meridione si è liberi di essere servi mai cittadini uguali agli altri italiani del resto della penisola.
Il ruolo che ci è stato assegnato e accettiamo, genera i nostri comportamenti e reagiamo di conseguenza.
Il terrorismo di Stato spinge a delinquere ed è responsabile dei tormenti inflitti a migliaia di meridionali la cui unica colpa è quella di appartenere a una cultura oppressa e derubata dal sistema imperante.
Il compianto cardinale Martini diceva che “chi è orfano della casa dei diritti difficilmente sarà figlio della casa dei doveri”.
Fino a quando il Meridione sarà considerato un problema di ordine pubblico, incolpando del sottosviluppo la criminalità, per depistare le colpe della politica, che assolve se stessa, e alimentare come valore morale il giustizialismo, sarà difficile che cambino le cose.
La ferita inferta dal Nord al Sud non potrà mai sanarsi finché durerà la pessima immagine che il Nord ha divulgato del Sud: terra di violenza di brigantaggio e di mafia.
A questo Paese manca un processo di pacificazione come ci ha insegnato Nelson Mandela: liberare le popolazioni meridionali dalla servitù imposta da uno Stato con leggi infettate dal razzismo lombrosiano, con la finalità esclusiva di una repressione permanente. Spiemontesizzare il Paese dal metodo repressivo coloniale, dalle leggi razziste, terroriste e civilizzare il sistema penitenziario.
Un uomo diventa quello che le circostanze gli consentono di essere. Non lo si migliora terrorizzandolo con la paura dell’inferno, ma lo si migliora educandolo a contemplare la bellezza del paradiso.
La storia ci insegna che uomini e sistemi politici in nome del bene hanno istituzionalizzato il male.
Pianosa è stata una ferita inferta alla civiltà di questo Paese, nel ricordo di tutti quelli che ebbero a subire disumani oltraggi, un solo grido: mai più simili crudeltà!

Catanzaro, settembre 2013

Pasquale De Feo

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