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Intervista all’ergastolano GIANNI LENTINI

Intervista all’ergastolano GIANNI LENTINI

Gianni Lentini è un amico in carcere dall’ormai lontano 2005 condannato con sentenza passata in giudicato all’ergastolo ostativo. Ha trascorso molti anni nella sezione di Alta Sicurezza del carcere la Dozza di Bologna e recentemente è stato trasferito nel carcere di Opera a Milano. Gianni è una persona generosa, impegnata da anni nel denunciare le nefandezze e i soprusi che si consumano tra le alte mura di recinzione delle carceri e nelle aule di giustizia. Abbiamo voluto intervistarlo per farci raccontare da lui che cos’è il carcere ed è così che ve lo vogliamo proporre:

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Ciao Gianni,ci vuoi raccontare come sei finito in carcere?

Sì, diciamo che con la vita sfrenata, sregolata che conducevo sapevo che prima o poi mi sarei ritrovato in carcere…certo non mi sarei mai aspettato di trovarmi con una condanna all’ergastolo ostativo sulle spalle!

Bisogna dire che il mio arresto è stato il frutto di un lavoro sfiancante della direzione distrettuale antimafia di Bologna che all’epoca, cioè nel 2005, era capitanata dalla Dottoressa Lucia Musti. Infatti il processo per il quale sono stato condannato era stato più volte archiviato perché non vi erano gli elementi necessari per poter firmare l’ordine di custodia cautelare…Ma la dottoressa Musti, con la sua, tra virgolette, “professionalità”, ammettendo qualcosa a mio favore, estrapolando qualche frase intercettata e servendosi di qualche collaboratore di giustizia è riuscita a costruire una tesi accusatoria, che nemmeno i principi del foro italiano sono riusciti a demolire, riuscendo così ad ottenere la mia condanna perpetua…

Raccontaci attraverso la tua storia cosa ha significato per te entrare in carcere e in modo particolare alla Dozza, quali sono state le tue prime reazioni, pensieri, emozioni…

Beh, si può dire che il primo giorno di detenzione è uguale per tutti, dal libero professionista che si trova ad affrontare una triste avventura a lui sconosciuta, al comune delinquente che ha già vissuto questa esperienza: si trovano ad affrontare gli stessi problemi, e diventano entrambi numeri di matricola. L’impatto con la struttura carceraria è orrendo, fa paura. Il colpevole è angosciato dai sensi di colpa per quello che ha commesso, ma nello stesso tempo cerca di farsene una ragione, a differenza di chi si vede sbattuto in galera da innocente, sradicato dalla sua vita normale e catapultato in una realtà che non gli appartiene, incredulo di ciò che legge nell’ordine di cattura; si sente disorientato e impaurito per ciò che vive e per quello che deve affrontare, e diventa diffidente verso tutto ciò che lo circonda….Chi ha già vissuto questa esperienza, la rivive rabbrividendo nel pensare a ciò che lo aspetta nelle ore successive.

Qual’è l’iter dell’ingresso in carcere? Mi riferisco a quello che accade al detenuto nel momento di varcare la soglia del carcere, ce lo puoi descrivere?

Le prime persone che incontri sono gli agenti di polizia penitenziaria che purtroppo, facendo il loro lavoro, cominciano ad umiliarti da subito, cercando di annullare la tua personalità, impaurendoti con ordini perentori e violando ogni forma di privacy tipo; spogliati, fai le flessioni, dai muoviti…. tutto si muove a comandi! Vieni privato di qualsiasi oggetto personale che ti verrà sequestrato e riconsegnato al momento della scarcerazione. Dopo il rituale delle impronte digitali e delle fotografie vieni schedato e da quel momento sei un numero di matricola a tutti gli effetti; dopo questo arriva il medico di turno che comincia a farti mille domande, se soffri di qualche patologia, se fumi, se bevi, se ti droghi e altro ancora. Le risposte del paziente/detenuto spesso non sono vere, forse perché non riesci ad immaginare le conseguenze di quello che dirai, o per lo sconforto e la sfiducia che aumentano progressivamente, minuto per minuto: la realtà drammatica in cui sei stato catapultato ti induce a mentire.

Prima ancora di sentirti imprigionato nella struttura carceraria, ti senti rinchiuso nel tuo stesso corpo, non sei più libero di muoverti, il tuo corpo è proprietà dello stato. Poi, dopo essere stato schedato e visitato dal medico, ti viene consegnata la fornitura standard: lenzuola, coperta, dentifricio, spazzolino da denti, piatti in ferro e posate, dopodiché vieni portato in cella di isolamento. Non appena varchi la soglia hai la sensazione di essere entrato in un contenitore di immondizia, per il cattivo odore e per la sporcizia che c’è, spesso la trovi con i muri sporchi di sangue ed escrementi. Ti senti svuotato nell’anima, annichilito.

Che cosa vuoi dire?

Nessuno si preoccupa se sei in grado di sopportare la situazione: sono momenti in cui facilmente la disperazione può sfociare in tentativi di suicidio o in gesti di autolesionismo, con il cervello che subisce danni non indifferenti. Fortunatamente la mente umana riesce a rimuovere questi momenti drammatici, e li nasconde in un angolo oscuro, ma nonostante questo, purtroppo, sono incubi che riemergono, facendo rivivere la sofferenza di quel maledetto giorno.

Quindi dicevamo che dopo aver cercato per quanto possibile, di rendere un po’ vivibile l’ambiente, cerchi di sistemare il letto per cercare di riposare, ma, appena ti distendi, i pensieri ti assillano, ti riportano alla vita da libero che qualche ora prima possedevi, ai tuoi cari, al distacco drastico che hai avuto da loro e dalla vita normale.

E’ così forte il senso di vuoto che hai intorno e all’interno di te stesso, che senti un’oppressione insostenibile, viene voglia di morire, di piangere…..Ogni minuto che passa ti rendi conto che non sei più nessuno, sei senza forze, inerme, non puoi fare niente se non aspettare.

Intanto fuori i tuoi famigliari e gli avvocati cercano di capire cosa è successo, inoltrano richieste per essere autorizzati a farti visita, ma non è possibile finché non sarai interrogato dal magistrato. Ecco che cosa accade il primo giorno di detenzione

 aresti fare un viaggio visivo all’interno del carcere la Dozza?

Certo…anzi, se fosse per me lo inserirei nel programma didattico di ogni scuola…ma non farei fare le solite visite guidate; non farei vedere soltanto le aree pedagogiche o i pochissimi spazi verdi che ci sono…porterei gli studenti nelle camere detentive, nelle sezioni, dove viviamo 20 ore al giorno…dove la sofferenza e la tristezza si respirano nell’aria. Sapete perché vorrei far toccare con mano o meglio vedere con gli occhi lo squallore dei posti in cui viviamo? Vi spiego: quando frequentavo la scuola elementare, di tanto in tanto la mia maestra ci portava a visitare i vecchietti rinchiusi negli ospizi o case di cura, e ogni volta rimanevo esterrefatto dall’odore acre dell’urina che c’era in quei posti…Così giurai a me stesso che mai e poi mai avrei confinato i miei cari in un posto come quello…Forse far visitare le carceri in età adolescenziale potrebbe servire a disincentivare il delitto. Dico forse…

Com’è la tua cella?

Volete che vi descriva come sono le celle? Beh…provate ad immaginare una cantina, la più brutta che avete visto, senza pavimento cioè con il cemento grezzo tipo un solaio appena fatto, con le pareti ammuffite, con uno o più letti in ferro, pieni di ruggine, qualche armadietto senza sportelli; in un angolo c’è un water e un lavandino separati da una parete divisoria, un rubinetto da dove esce solo acqua gelida, una finestra dove entrano spifferi e da dove non riesci a vedere nulla a causa delle grate che ci sono, tutto ciò nel ristretto spazio di 9 metri quadri…rendo l’idea?

Ah, dimenticavo, in questi spazi ristrettissimi non devi solo dormirci ma anche cucinare, mangiare, fare i bisogni fisiologici e soprattutto devi convivere e sopportare il proprio compagno di sventura…insomma…sei costretto a condividere questi spazi con gente sconosciuta 20 ore al giorno e per mesi interi se non addirittura per anni…Riuscite a capire quanto e come può essere duro per la psiche umana?

Come se non bastasse nelle celle della Dozza non esiste neanche un campanello per chiamare l’agente; devi urlare per sentirti rispondere che devi aspettare e magari ti becchi anche un rapporto perché hai urlato troppo.

Che cosa ci dici invece della sezione in cui ti trovi?

 

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 La mia sezione? Un corridoio lungo con 12 celle da un lato e 12 dall’altro e      alla fine del corridoio un vano con all’interno 2 lavabi e 3 docce fatiscentie     maleodoranti…poi devi lavarti con le ciabatte ai piedi e i boxer o mutande   poste…non hai neanche un angolo di privacy…devi condividere tutto con    tutti…

 

…e i passeggi?

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I passeggi? Provate ad immaginare delle vasche di cemento, tipo delle grandi piscine senza acqua dentro…Così è l’aria, con la gente che va avanti e indietro come dei pazzi in un manicomio.

Come sono i rapporti tra detenuti e come comunicate tra le celle?

I rapporti fra noi detenuti non sono sempre amorevoli, anche se c’è molta solidarietà; non si può certo non dire che a volte si creano dei dissidi per cose sciocche, vane…C’è tanta ipocrisia, invidia…ripeto, la convivenza forzata in cattività, a lungo andare crea disagio…Fra di noi a volte parliamo senza guardarci in faccia, poiché i cancelli delle celle lo impediscono.

Come passi il tuo tempo?

In realtà il tempo in carcere è fermo, immobile…ogni giorno è il replay del giorno precedente. Si aspetta con ansia il giorno del colloquio e la misera telefonata settimanale…In attesa di questi lieti eventi, studio, leggo, cucino, mantengo rapporti epistolari con il mondo esterno…Ho partecipato insieme ad altri ergastolani ristretti in altri istituti alla stesura di tre libri: uno è Urla dal silenzio che lo ha curato Alfredo Cosco che si occupa anche dell’omonimo blog e la prefazione è stata fatta da Don Gallo; l’altro è Urla a bassa voce che lo ha curato Francesca De Carolis, una giornalista della RAI con la prefazione di Don Luigi Ciotti e il terzo Cucinare in massima sicurezza che lo ha curato l’amico Matteo Guidi.

Inoltre sono in contatto con la redazione di ristretti orizzonti di Padova con cui abbiamo intrapreso un percorso per far conoscere al mondo esterno l’efferatezza dell’ergastolo ostativo.

Cosa significa per te trovarti nel carcere di Bologna o in quello di Milano? Cosa ha significato per la tua famiglia?

A Bologna ci sono stato più di 6 anni, mi ero creato i miei spazi, avevo la possibilità di usare il mio PC, potevo dipingere icone, ero riuscito a ristrutturarmi la cella dipingendola e quindi rendendola più vivibile, avevo intrapreso un percorso spirituale con un prete che veniva a trovarmi due volte alla settimana e con cui ho instaurato un rapporto di vera amicizia tant’è che anche dopo il mio trasferimento a Opera viene a farmi visita puntualmente ogni mese. Milano invece è una realtà diversa; a differenza di Bologna è un istituto immenso e per certi versi molto più organizzato e più funzionale di quello di Bologna. Ma non posso nascondere che il trasferimento in quel di Opera mi ha causato parecchi problemi…in particolar modo la cosa che mi ha fatto più male è la lontananza dai miei cari…infatti a Bologna svolgevo regolarmente i colloqui ogni settimana poiché i miei familiari vivono a Riccione e quindi avevano la possibilità di raggiungermi con più facilità. Arrivare fino a Milano è faticoso e costoso quindi vedo i miei due volte al mese…questo, ripeto, è stato ed è un dramma che si aggiunge al dramma.

Che cosa pensi del carcere?

Credo in tutta onestà che è un fallimento dello Stato, uno spreco di risorse economiche e umane…un luogo asettico, sterile che può solo peggiorare la mente umana e quindi un danno per l’intera società civile.

Pensate che solo nel carcere di Bologna e solo per i pasti quotidiani, vale a dire colazione, pranzo e cena, lo Stato spende € 100.000 al mese, ripeto, solo per il mangiare…Senza contare il resto e cioè gli stipendi della Polizia Penitenziaria, educatori, dottori, medicinali, Direttori eccetera eccetera. Vi rendete conto?

Il carcere è un luogo senza amore, senza tempo…Avete presente le sale d’attesa di una stazione ferroviaria dove il tempo sembra non trascorrere mai? dove aspettate impazienti l’arrivo del vostro treno e cercate di impegnare quegli interminabili minuti vuoti come meglio potete? Beh, in carcere aspetti quel treno che però non arriva mai…il tempo è morto!

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