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Ungheria: attaccare i nazisti è giusto!

Solidarietà agli antifascisti e alle antifasciste arrestati/e in Ungheria

Ogni anno a Budapest, intorno alla data dell’11 febbraio, si commemora il cosiddetto “giorno dell’onore” con uno dei maggiori raduni neonazisti in Europa. La commemorazione ricorda il sanguinoso assedio da parte dell’Armata rossa alla città di Budapest, difesa dalla Wehrmacht tedesca appoggiata dagli alleati ungheresi. L’11 febbraio 1945 venne dato alle truppe tedesche ordine di uscire dalla città e rompere l’accerchiamento nemico: fu una carneficina. Meno del 2 per cento dei soldati che presero parte all’azione riuscì a raggiungere le vicine linee tedesche.
A partire dagli anni Novanta, questo evento storico acquisisce un particolare valore tra i gruppi neonazisti e neofascisti e i soldati tedeschi coinvolti nell’assedio iniziano a essere celebrati come eroici difensori dell’Europa bianca dall’avanzata del Comunismo.
L’evento della durata di più giorni, all’interno dei quali si susseguono una grande marcia commemorativa, concerti “nazi-rock” e altre iniziative, richiama nella capitale ungherese migliaia di neonazisti da tutta Europa e dal mondo. Gruppi paramilitari, organizzazioni di estrema destra, delegazioni di partiti neofascisti e neonazisti che hanno in questa commemorazione occasione di incontro.
Quest’anno, in concomitanza del raduno, proprio nei giorni in cui migliaia di nazi passeggiavano sfrontatamente per Budapest, alcuni di loro hanno ricevuto il comitato di benvenuto che si meritavano: diversi militanti di estrema destra giunti in città sono stati infatti riconosciuti come neonazisti e picchiati da diversi gruppi di persone, uscendone decisamente malconci.
In seguito a questi attacchi, sabato 11 febbraio, la polizia ungherese ha arrestato nella capitale 6 persone ritenute dalle autorità coinvolte in questi fatti e quindi sottoposte ad indagini. 4 di queste sono state rilasciate dopo pochi giorni, mentre una compagna italiana di Milano, un compagno tedesco e una compagna ungherese, arrestata in un secondo momento, si trovano ancora in carcere a Budapest in attesa di sviluppi nelle indagini. Il reato di cui sono accusati è “aggressione a un membro della comunità”, accusa piuttosto grave nell’ordinamento ungherese che prevede condanne fino a otto anni di detenzione. I tre compagni si trovano ora rinchiusi in custodia cautelare per un periodo di 30 giorni che potrà essere prorogato ulteriormente.
L’ ideologia che le “vittime” di questi attacchi e i loro camerati portano avanti è carica d’odio nei confronti delle minoranze e si è sempre espressa nella pratica come braccio armato del padronato a difesa degli interessi capitalisti. Questi gruppi, più o meno organizzati, agiscono una sistematica violenza nei confronti di quelle comunità già marginalizzate e vessate dal resto della società. Sono centinaia le aggressioni e gli omicidi ai danni di migranti, membri della comunità Lgbtqia+ e militanti politici di sinistra ad opera dei neonazisti in tutta Europa negli ultimi decenni.
Pensiamo che fino a quando esisteranno gruppi e individui come quelli che si ritrovano a Budapest ogni anno intorno all’11 Febbraio, fino a quando questi infami neonazisti cammineranno a testa alta nelle nostre strade sfoggiando svastiche e tatuaggi, difenderci da loro e contrattaccarli sarà tanto giusto quanto necessario. Non crediamo al falso ritornello della non-violenza o all’idiota comparazione tra fascisti e antifascisti. I militanti di estrema destra che si organizzano nelle nostre città sono pericolosi e vanno affrontati come nemici. Arginare la loro diffusione e combatterli non significa ricercare uno scontro “corretto” e sportivo. Non si tratta di un gioco.
Non esiste nessuno “scontro tra gang” o “agguato a cittadini innocenti” (come recitano i giornali) ma soltanto la messa in pratica di quell’antifascismo militante che rimane per noi una necessità primaria.
Una necessità che va esercitata nei luoghi dove i camerati si riuniscono e si fortificano così come nei luoghi dove viviamo, che ogni giorno attraversiamo e che devono quindi rimanere liberi dalla presenza fascista e nazista.
È sotto gli occhi di tutti come negli ultimi decenni gruppi neofascisti e formazioni di estrema destra abbiano continuato a proliferare e ad agire, spesso violentemente, in molte città europee e nel nostro paese.
Questi gruppi approfittano dell’ascesa di vari governi nazionali di estrema destra (come nei casi dell’Ungheria, guidata dal fascista Victor Orban, e della recente vittoria di Giorgia Meloni alle elezioni nazionali in Italia) per ritrovare agibilità politica e una copertura istituzionale ancora più marcata. Ne sono un esempio i fatti accaduti in questi giorni a Firenze, dove all’ingresso di un liceo alcuni militanti di Azione Studentesca (movimento giovanile di estrema destra che fa riferimento a Fratelli d’Italia) hanno aggredito degli studenti del collettivo scolastico che cercavano di opporsi al loro volantinaggio.
Questi fatti non fanno altro che confermare la necessità di organizzarsi concretamente per contrastare i fascisti ad ogni latitudine.
Siamo solidali con le compagne e i compagni inquisiti per le azioni in Ungheria.
Esprimiamo forza e vicinanza alle compagne e al compagno che si trovano tutt’ora reclusi a Budapest.
Dalle poche informazioni che abbiamo non è possibile inviare loro telegrammi e lettere. Sarà necessario sostenere le spese legali che sono già molto alte.

Invitiamo chi può a contribuire
Alice Zaffaroni e Martina Franchi

IBAN: LT523250062922492633
BIC: REVOLT21
CAUSALE: BENEFITBU

LIBERTÀ PER LE\GLI ANTIFASCISTE\I
LIBERTÀ PER TUTTI E TUTTE
alcuni e alcune antifascisti\e milanesi

ATTACKING THE NAZIS IS RIGHT!
SOLIDARITY WITH ANTI-FASCISTS ARRESTED IN HUNGARY

Every year in Budapest, around February 11th, the so-called “Day of honour” is commemorated with one of the greatest neo-Nazi rallies in Europe. The commemoration recalls the bloody siege of Budapest by the Red Army, city which was defended by the german Wehrmacht, supported by the Hungarian allies. On February 11th 1945, German troops were ordered to leave the city and break the enemy encirclement: it was a carnage. Less than 2 percent of the soldiers who took part in the action managed to reach the german lines nearby.

Since the Nineties this historical event acquired a particular value among neo-Nazi and neo-fascist group: the german soldiers involved in the siege began to be celebrated as heroic defenders of a white Europe, opposing the advance of Communism. The multi-day event, comprehends a great memorial march, “nazi-rock” concerts and other initiatives, draws in the Hungarian capital thousands of neo-Nazis from all over Europe and from all over the world. Paramilitary groups, far-right organisations, neo-fascist and neo-Nazi parties delegations see this commemoration as an opportunity to meet.

This year, when the gathering was and just in the days when thousands of nazis brazenly strolled around Budapest, some of them received the welcome committee they deserved: several far-right political activists were recognized as neo-nazis and beaten by groups of people: they ended up being pretty battered.

Following these attacks, on Saturday, February 11th, the Hungarian police arrested in the capital six people believed by the authorities to be involved in the beatings, and therefore they subjected them to investigations . Four of then were released after a few days, but an italian comrade from Milan, a German comrade and a Hungarian comrade arrested at a later time, are still in prison in Budapest, awaiting developments in the investigation. The crime they are accused of is “assault on a member of the community”, a rather serious charge in the Hungarian legal system: the sentence can be up to eight years. The three comrades are now imprisoned and in pre-trial detention for a period of 30 days, which can be further extended.

The idea that the “victims” of these attacks and their friends support is full of hatred against minorities and in practice it becomes the armed wing of capitalism. These groups, whether they are well or badly organized, use systematic violence against those communities already marginalized and oppressed by the rest of society. In the last decades there have been hundreds of attacks and murders against migrants, members of the LGBTQIA+ community and left-wing political activists made by neo-Nazis across Europe.

We think that as long as groups and individuals such as those who gather in Budapest every year around February 11th exist, as long as these infamous neo-nazis walk tall in our streets showing off swastikas and tattoos, defending ourselves against them and fighting them back will be as good as necessary.  We don’t believe in the false refrain of non-violence or in the idiotic comparison between fascists and anti-fascists. The far-right activists in our cities are dangerous and they must be faced as enemies.

Curbing their spread and fighting them does not mean seeking a “correct” and sporting match. This is not a game. There is no “clash between gangs” or “innocent citizens ambushed” (as the newspapers say), just anti-fascism being put into practice, a primary necessity for us. A necessity that must be exercised in the places where fascists gather and fortify themselves as well as in the places where we live, where we walk every day, therefore places that must remain free from fascist and nazi presence.

It is clear for everyone that in the last few decades neo-fascist groups and far-right organisations have continued to proliferate and to act, often violently, in many European cities and in our country. These groups take advantage of the rise of various far-right national governments (as in the cases of Hungary, led by the fascist Viktor Orban, and Italy, where Giorgia Meloni recently won the national elections) to gain political feasibility and even more institutional coverage. An example can be what occurred some days ago in Florence, where in front of a high school entrance some Azione Studentesca (an extreme right-wing youth movement that refers to the Brothers of Italy) activists attacked some students from the school political group who were trying to oppose their leafleting.

These facts do nothing but confirm the need to organize concretely to oppose the fascists at everywhere. We stand in solidarity with the comrades under investigation for the actions in Hungary.
We express strength and closeness to the comrades who are still imprisoned in Budapest.
 AGAINST ALL KINDS OF FASCISM
  FREEDOM FOR THE ANTI-FASCISTS
  FREEDOM FOR EVERYONE
some milanese anti-fascists

DONATE TO COVER LEGAL EXPENSES

From the little information we have about the comrades arrested in Budapest, we learnt that is not possible to send them telegrams and letters. It will be necessary to cover the legal expenses which are already very high.
We invite those who can to contribute

Alice Zaffaroni e Martina Franchi

IBAN: LT523250062922492633
BIC: REVOLT21

CAUSALE: BENEFITBU
Martina.demichela@gmail.com

IL CAPITALISMO NUOCE GRAVEMENTE ALLA SALUTE

IL CAPITALISMO NUOCE GRAVEMENTE ALLA SALUTE

“Una buona salute mentale consente alle persone di lavorare in modo produttivo e di realizzare appieno il proprio potenziale. Al contrario, una cattiva salute mentale interferisce con la capacità di lavorare, studiare e apprendere nuove competenze. Essa ostacola i risultati scolastici dei bambini e può avere un impatto sulle prospettive occupazionali future.
I ricercatori stimano che solo a causa della depressione e dell’ansia si perdono ogni anno 12 miliardi di giorni lavorativi produttivi, per un costo di quasi 1.000 miliardi di dollari. Questo dato comprende i giorni persi per assenteismo, presenzialismo (quando si va al lavoro ma non si lavora) e turnover del personale.” (World mental Health report. Tranforming mental health for all; Cap. 4.3.2 Economic Benefits; OMS 2022).
Il 13 e 14 ottobre 2022 si terrà a Roma l’incontro internazionale promosso dall’OMS (Organizzazone Mondiale della Sanità) in cui si presenterà il World Mental Health Report. È in questa occasione che nasce la chiamata a scendere in piazza a Roma Giovedì 13 Ottobre.

OCCUPARSI DELLE CAUSE NON GENERA PROFITTO

La gestione sanitaria dell’emergenza pandemica ha evidenziato una totale assenza di interventi diretti ad approfondire le cause che l’hanno determinata, occupandosi esclusivamente dei sintomi. Focalizzare l’attenzione sulla ricerca delle cause avrebbe significato inevitabilmente attuare una radicale trasformazione delle politiche sociali, economiche, ambientali, sanitarie, relazionali.
Troppo costoso e quindi, poco produttivo. La psichiatria funziona con le stesse modalità: al presentarsi di una crisi non vengono prese in considerazione le cause che l’hanno determinata, la persona viene espropriata della possibilità di esprimere i propri significati e di autodeterminarsi attraverso un potere del tutto arbitrario il cui interesse non é affatto quello dichiarato della cura, ma piuttosto la progressiva medicalizzazione e cronicizzazione della crisi.
Lo Stato in questi due anni si è comportato allo stesso modo: in nome di una presunta irresponsabilità collettiva ha imposto le sue direttive dall’alto imponendosi come organo iper-razionale, una mente che ‘decide’ e sovradetermina il ‘corpo’ sociale, che in quanto ‘corpo’ è ad esso subordinato secondo un dualismo riduzionista para-psichiatrico appunto. Lo Stato e i suoi tecnici hanno valutato lo ‘stato di necessità’ secondo le leggi dell’economia, e gestito l’emergenza/crisi con la contenzione – l’esproprio della salute – esattamente come avviene in psichiatria. Allo stesso modo si è imposto un trattamento farmacologico col ricatto, impedendo alle persone di esprimere il proprio consenso, assicurando l’immediato introito per Big Pharma e lasciando solo chi ha subito le conseguenze sulla propria salute degli effetti collaterali del vaccino.

PER LA LIBERTÀ DI SCELTA CONTRO L’OBBLIGO DI CURA

L’attuale prassi nelle istituzioni psichiatriche prevede l’assunzione obbligatoria di psicofarmaci che a lungo termine risultano il più delle volte essere dannosi e invalidanti. La progressiva cronicizzazione della sofferenza è funzionale da un lato alla presa in carico a vita dall’altro al profitto delle multinazionali del farmaco.
La parola della persona non viene presa in considerazione o addirittura giudicata come sintomo della malattia, mentre vivere in una società fondata sulla prestazione e l’individualismo, la solitudine e l’assenza di una dimensione comunitaria sembra cosa del tutto normale. Si interviene sui sintomi categorizzandoli come espressione di “malattia mentale” ricorrendo ai TSO, alla contenzione fisica, meccanica e farmacologica. Nei CIM i colloqui sono troppo brevi e non c’è nessuna possibilità di essere ascoltatз o di esprimere dubbi e difficoltà.
Crediamo che rivendicare il diritto ad avere parola e ad autodeterminarsi significhi anche riappropriarsi delle proprie esperienze, delle difficoltà, della sofferenza e della molteplicità di modi per affrontarla. Siamo convintз che ci siano persone, tra coloro che operano all’interno delle strutture sanitarie, che si rifiutano di essere complici di questo sistema di oppressione e che preferiscono slegare piuttosto che contenere, ascoltare piuttosto che mettere a tacere con i farmaci, essere solidali con chi si sottrae alle logiche di competizione. Sono loro che vorremmo al nostro fianco.

TECNOLOGIE E DIGITALIZZAZIONE: LA RELAZIONE NEGATA

Si parla di “salute mentale digitale”, un processo che strumentalizza le retoriche dell’innovazione, dell’accessibilità e dell’inclusione, introducendo invece forme sempre più specializzate di controllo, disciplinamento ed esclusione. Una “salute” sempre più delegata al dispositivo tecnico, costruita intorno alle esigenze del mercato dell’industria tecnologica e all’inesorabile sottrazione di reali spazi di soggettivazione, autodeterminazione e solidarietà dal basso.

CONTRO IL PROIBIZIONISMO PER LA RIDUZIONE DEL DANNO

C’è un’evidente contraddizione nei proclami dell’OMS, da un lato si promuove il consumo di sostanze “psicotrope” legali con effetti disastrosi, dall’altro si criminalizza l’autoconsumo di sostanze psicoattive. Al mondo un detenuto su cinque è in carcere per violazioni delle leggi sulle droghe. In Italia circa un terzo della popolazione detenuta è in carcere per questo motivo. Il proibizionismo non solo ha fallito, ma è esclusivamente funzionale al controllo sociale e a finanziare narco-mafie e narco-stati utili al riciclo e alla riproduzione del Capitale. E’ fondamentale dare voce allз consumatorз, attivando politiche dal basso improntate alla riduzione del danno e al consumo consapevole.

PER L’ABOLIZIONE DELLA CONTENZIONE E DELL’ELETTROSHOCK

Nonostante le belle parole dell’OMS nei reparti psichiatrici si continua a morire legati nei letti di contenzione. Continuano ad essere praticati dispositivi manicomiali e coercitivi come l’uso dell’elettroshock, l’obbligo di cura, la contenzione farmacologica, le porte chiuse, le grate alle finestre, le limitazioni e il controllo della libertà personale.
Non c’è salute nei CPR, nelle carceri, negli SPDC, luoghi di tortura e annientamento delle persone. Non c’è salute dove c’è violenza e discriminazione di genere, senza diritto effettivo all’aborto e supporto alla genitorialità. Non c’è salute nelle politiche economiche che finanziano armamenti e guerre, sottraendo risorse alla collettività e ai bisogni delle persone.
La salute che vogliamo si basa su percorsi di solidarietà, autogestione e mutualismo dal basso. E’ il frutto dell’interdipendenza tra corpi, condizioni sociali e ambientali.
Non si può garantire salute per tuttз, senza lavoro, scuola e università, spazi comuni e di socialità liberati dalle logiche del profitto neoliberista. Crediamo che non ci sia bisogno di uno Stato né di un’organizzazione Mondiale che si proponga di riorganizzare e che sovradetermini la nostra salute e le nostre vite. Siamo convintз che ritrovarsi, ricostruire delle relazioni e delle comunità, riprendersi strade e spazi, possa essere un primo passo per aprire un orizzonte nel quale dar vita a luoghi liberi dalle dinamiche individualistiche, di sfruttamento e mercificazione.

PRESIDIO COMUNICATIVO
Giovedì 13 ottobre alle ore 11.00 – Piazza del Risorgimento – Roma
INVITIAMO TUTT3 A PARTECIPARE!

Assemblea Antipsichiatrica

GENOVA 2001-PARIGI 2022

 

GENOVA 2001-PARIGI 2022

A PIÙ DI VENT’ANNI DAL G8 DI GENOVA 2001, SI DECIDONO A PARIGI  LE SORTI DI VINCENZO VECCHI

RICERCATO IN ITALIA PER AVER MANIFESTATO LA SUA OPPOSIZIONE AI GRANDI DELLA TERRA

CONDANNATO NEL 2012 AD UNA PENA TANTO PESANTE QUANTO ASSURDA, COME È STATO PER TUTTI I CONDANNATI PER GENOVA 2001

CATTURATO IN FRANCIA NELL’AGOSTO 2019 DOPO DIECI ANNI DI PROCESSI E QUASI ALTRETTANTI DI LATITANZA

VINCENZO SI TROVA ATTUALMENTE LIBERO GRAZIE ALLA MOBILITAZIONE SOLIDALE CRESCIUTA IN FRANCIA AL MOMENTO DEL SUO ARRESTO

DOPO ALCUNE SENTENZE POSITIVE DEI TRIBUNALI FRANCESI, CHE HANNO RIGETTATO IL REATO DI DEVASTAZIONE E SACCHEGGIO UTILIZZATO DAI GIUDICI ITALIANI, UNA SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA RISCHIA ORA DI RIBALTARE LA DECISIONE FRANCESE DI NON ESTRADARE VINCENZO

PER QUESTO LA SUA LIBERTÀ È DI NUOVO IN PERICOLO E  I COMITATI DI SOLIDARIETÀ SONO TORNATI PER LE STRADE

IL PROSSIMO 11 OTTOBRE LA CORTE DI CASSAZIONE DI PARIGI PRENDERÀ UNA DECISIONE CHE POTREBBE ESSERE QUELLA DEFINITIVA

COME FAMILIARI, AMICI E COMPAGNI DI VINCENZO INVITIAMO CHIUNQUE POSSA E VOGLIA FARLO A MOBILITARSI ANCHE IN ITALIA

DAL PROSSIMO 1º OTTOBRE

IN OGNI MANIERA, ANCHE SOLO CON UN PRESIDIO, UN VOLANTINAGGIO, UNO STRISCIONE, UN DISEGNO O UNA SCRITTA SU UN MURO
(se puoi, comunicaci quanto hai intenzione di fare e, se possibile, inviaci immagini da condividere con i comitati francesi, a questo contatto: info@sosteniamovincenzo.org)

IN VISTA DI UN CORTEO A MILANO SABATO 8 OTTOBRE
ORE 15,00 P.ta GENOVA

PER  SOSTENERE CHE LE RAGIONI DI CHI ALLORA SCESE PER LE STRADE DI GENOVA SONO OGGI ANCORA PIÙ GIUSTE ED URGENTI

PER RIBADIRE CHE I GOVERNANTI NON VANNO LASCIATI TRANQUILLI MENTRE DEVASTANO E SACCHEGGIANO IL PIANETA SU CUI VIVIAMO

PER PROTESTARE CONTRO UNA GIUSTIZIA EUROPEA OSTAGGIO DEGLI INTERESSI COMMERCIALI E MILITARI

PER RICORDARE CHE IL CARCERE NON È UNA SOLUZIONE MA UN PROBLEMA

NESSUNA ESTRADIZIONE, NESSUNA PRIGIONE!
VINCENZO LIBERO, LIBERI/E TUTTI/E!

Assemblea di sostegno a Vincenzo, 18 settembre, Milano (prossimi appuntamenti: www.sosteniamovincenzo.org)

APPELLO_MOBILITAZIONI

Dalla Liberazione al Lavoro, una settimana speciale del palinsesto di Radio Città Fujiko

No alla guerra, no allo sfruttamento, sì alla pace, alla dignità e ai diritti. È da questi presupposti che parte “Dalla Liberazione al Lavoro”, una sorta di festival onair per approfondire, tra musica, cultura interviste, tavole rotonde e rubriche, il tema del lavoro, ma anche quello della pace.
Dal 25 aprile all’1 maggio il palinsesto di Radio Città Fujiko sarà dunque un palinsesto tematico, che si aprirà e si chiuderà con due dirette esterne in coincidenza delle due date in rosso sul calendario.

In particolare, la settimana speciale di “Dalla Liberazione al Lavoro” si aprirà ufficialmente alle ore 11.00 di lunedì 25 aprile, quando cominceremo la diretta da Pratello R’Esiste, la festa di strada per celebrare la Liberazione dal nazifascismo in via del Lavoro. Una diretta che proseguirà fino alle 19.00 e che di fatto inaugurerà una settimana molto intensa.
A concluderla, invece, sarà la diretta del concerto del 1° maggio in piazza Maggiore, la versione bolognese del tradizionale concertone per la Festa dei Lavoratori, “Al lavoro per la pace”.

Il programma di “Dalla Liberazione al Lavoro” su Radio Città Fujiko

SABATO 23 APRILE – Preview
14.30 – Fujiko on the road/Widescreen: “Sorry, we missed you”

LUNEDÌ 25 APRILE
11.00/19.00 – Diretta da Pratello R’Esiste
19.00 – Coxo Spaziale: “I lavoratori dell’arte”

MARTEDÌ 26 APRILE
08.50 – L’edipeo enciclopedico: “Curiosità sul lavoro”
10.00 – Il Pioniere: “Lavori di ieri e di oggi nei fumetti”
12.30 – Focus On: “La pandemia di genere: l’impatto sulle donne”
13.30 – Il pane e le rose
15.00 – Ukulele: “Il lavoro invisibile nel mondo della musica e della cultura”
17.00 – L’Indigesto: “Lavoratrici e lavoratori contro la guerra” – Porti e aeroporti chiusi all’invio di armi.

MERCOLEDÌ 27 APRILE
08.50 – L’edipeo enciclopedico: “Curiosità sul lavoro”
10.00 – Corrispondenze: “Lettere storiche contro lo sfruttamento”
12.30 – Focus On: “Un sindacato dentro Amazon: la storia di ALU”
15.00 – Ukulele: “Femministe ed indipendenti: etichette discografiche e case editrici”
17.00 – L’Indigesto: “Le lotte, il salario, i diritti” – La dignità del lavoro dopo la pandemia.
19.00 – Panta 80: “Working class heroes in the eighties”
20.00 – Bluestrain: “Il lavoro ai tempi degli schiavi”

GIOVEDÌ 28 APRILE
08.50 – L’edipeo enciclopedico: “Curiosità sul lavoro”
10.00 – Carne di Porko: “Il lavoro milita l’uomo”
10.30 – Rock n’ roll radio: “Working class hero”
12.30 – Focus on: “Alternanza scuola lavoro: sfruttamento in tenera età”
14.00 – Signore e signori il welfare è sparito: “Liberare il lavoro sociale”
13.30 – Intolerance: “Cinema al lavoro”
15.00 – Ukulele: “Musica contro il lavoro” + ActBo: il lavoro dello spettacolo
17.00 – L’Indigesto: “La giungla della logistica” – Lo sfruttamento nella gig economy.

VENERDÌ 29 APRILE
08.50 – L’edipeo enciclopedico: “Curiosità sul lavoro”
10.00 – Nanga Parbat: “Lavori in valigia”
12.30 – Focus On: “Sospesi dal lavoro: il caso dei lavoratori senza Green Pass”
13.30 – A qualcuno piace altro: “Il lavoro degli ultimi” – I percorsi di inserimento lavorativo delle categorie più fragili.
17.00 – L’Indigesto: “Delocalizzazioni ed esternalizzazioni” – L’usa e getta del capitale.
18.00 – All you need is ska: “Lavoro in levare”
21.00 – Basso Profilo: “Liberi di lavorare”

SABATO 30 APRILE
08.00 – Radio Arengo: “L’Inno dei Lavoratori”
08.30 – Donne fuori dall’angolo: “Le donne ucraine”
10.30 – Il Polverone Magico: “Il sogno di Claudia”
14.00 – Vanloon: “La settimana rossa: contro le compagnie di disciplina, per i morti del 7 giugno, per la rivoluzione!”
16.15 – Afternoon Tunes: “Music for the working class”
18.00 – Mezz’ora d’aria: “Dall’esercito industriale di riserva al controllo sociale diffuso”.
18.30 – If the kids are united: “Working class Kidz”

DOMENICA 1 MAGGIO
11.00 – Psicoradio: “Lavoro e salute mentale”
16.30 – Diretta dal concerto “Al lavoro per la pace” di piazza Maggiore

Solidarietà con i detenuti di Oristano

A Oristano, nel carcere di Massama, alcuni detenuti hanno annunciato una serie di proteste pacifiche se non saranno ascoltati. In 160 hanno firmato un appello indirizzato al Presidente della Repubblica e alla Ministra della Giustizia. Difficile vivibilità nel carcere costruito nel 2012 ma con già le problematiche di un edificio di 50’anni: infiltrazioni d’acqua piovana nelle celle, citofoni che non funzionano mettendo a repentaglio la salute dei detenuti in caso di emergenza, sovraffollamento, carenze trattamentali, muffa, umidità. “Siamo stanchi di subire, ingiustamente, restrizioni e privazioni di ogni tipo in modo del tutto gratuito. Sia ben chiaro, non chiediamo niente di straordinario. Chiediamo solo di vivere i giorni, o anni che siano, in modo dignitoso e con il rispetto della persona!”
Questo è il contenuto della lettera dei prigionieri in Alta Sorveglianza che sono disposti ad arrivare fino allo sciopero della fame e della sete pur di veder esaudite le loro richieste. Una situazione incompatibile con le minime tutele in materia di dignità umana, situazione resa ancora più difficile con le temperature che questa estate hanno reso l’aria irrespirabile. Le proteste dovrebbero iniziare il prossimo 10 novembre.

Naufragio delle coscienze

A luglio un peschereccio con 62 migranti a bordo s’inabissa a 500 metri dall’isola di Lampedusa. 46 i naufraghi salvati dalla Guardia Costiera. Per 16 migranti non c’è stato, però, nulla da fare: 7 i corpi ripescati immediatamente, tutte donne di cui una in stato di gravidanza. Gli altri nove hanno seguito l’imbarcazione a 80 metri di profondità, 2 bambini accanto a quelle che potrebbero esser forse le loro madri, altre tre donne e l’unico corpo maschile tra i 16 morti, quello dello scafista intrappolato sul ponte di comando. I drammi tra i flutti sono sempre quelli: se non arrivano immediati i soccorsi sul luogo di un naufragio i primi a morire sono i bambini, seguiti dalle loro madri e dalle donne.
50.000 euro il prezzo per ripescarli con i mezzi della Marina Militare, ma il governo non li ha stanziati. 50.000 euro è il prezzo che devi pagare se sei un migrante che muore in mare. Molto meno costa il funerale di qualsiasi italiano. Allora si è mossa la solidarietà delle persone e delle associazioni ma non basta: la Marina Militare non può ricevere fondi da privati quindi ha le mani legate. L’opzione di recuperare i corpi resta quella di reclutare società private ma i costi salirebbero alle stelle e i 50.000 euro non sarebbero più sufficienti. Soluzione: restano in fondo al mare finché ci dimenticheremo di loro.
Ad oggi non è stato possibile ripescare quei corpi che da più di due mesi giacciono in fondo al mare, in fondo alle nostre coscienze, giacciono sotto una frontiera e sotto la politica di accoglienza europea.

Sull’ergastolo ostativo

Novità per chi è condannato all’ergastolo ostativo: la Prima sezione Penale, con sentenza n. 3374, ha affermato che per l’ammissibilità della domanda del permesso premio avanzata dal detenuto non collaborante, dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 253 del 2019, è sufficiente sia dimostrare di non aver avuto più rapporti con l’organizzazione criminale per la quale era stata motivata la condanna per reati associativi, sia dimostrare di non essere più un soggetto pericoloso. Ma come funzionava prima? Per legge a un detenuto condannato all’ergastolo ostativo, cioè non collaborante, non potevano essere riconosciti permessi premio, il Tribunale di sorveglianza aveva queste direttive: nessuno può uscire, in contrasto con le direttive della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. In parole povere, mentre prima si determinava l’inammissibilità di una domanda, ora si prende in considerazione la finalità rieducativa e non vessativa della detenzione, esautorando l’autorità giudiziaria e mettendo tutto nelle mani di un giudice che esaminerà il percorso riabilitativo del detenuto richiedente. Un piccolo passo verso la possibilità di veder riconosciuti i legami familiari e affettivi di diritto per tutti gli esseri umani.

News da Modena

Sembra che finalmente nel consiglio comunale di Modena si sia capito che per un carcere cosi complesso come il Sant’Anna sia necessaria la figura del Garante per i detenuti anche nel territorio modenese, quindi il partito di maggioranza presenterà a breve un ordine del giorno per poterlo istituire. Dopo un 2020 da dimenticare con una rivolta sedata nel sangue, con detenuti massacrati di botte e ben 9 morti, per 8 di loro – ricordiamo – la procura cittadina ha chiuso frettolosamente e senza vergogna il capitolo addebitando il decesso a overdose di metadone, senza curarsi dei ritardi nei soccorsi e il fatto che alcuni di loro sono stati lasciati morire dopo il trasferimento in altri istituti. Dopo un anno e mezzo è ora che il territorio modenese si doti di una figura necessaria per monitorare la situazione detentiva e le sue criticità. Speriamo bene….

News da Piacenza

A fine agosto si è aperto un processo per lesioni commesse nel carcere cittadino delle Novate di Piacenza, stavolta sotto indagine un ispettore capo della Polizia Penitenziaria, che tra l’altro si trova già a processo con un altro agente per un episodio simile, ma di un anno prima e sempre nello stesso istituto piacentino. Il Gip del tribunale, Luca Milani, ha voluto vederci chiaro e ha ordinato nuove indagini per il pestaggio subito da un detenuto tunisino il 20 luglio 2017. Nonostante la procura abbia richiesto l’archiviazione del fascicolo, il Gip ha accolto l’opposizione del legale del prigioniero che lamentava alcune contraddizioni nelle dichiarazioni rilasciate dall’agente. Il giorno prima del pestaggio ci sarebbe stata una protesta nella sezione del carcere che vide protagonista il detenuto tunisino. Successivamente sarebbe avvenuto il raid punitivo da parte di alcuni agenti dove la vittima riconobbe proprio l’ispettore capo ora sotto processo per lesioni.

News da Ferrara

Si tratta di una delle prime condanne in Italia per tortura. Gli accusati sono agenti penitenziari del carcere di Ferrara e un’infermiera; La vittima è Antonio Colopi, detenuto condannato per omicidio, oggi si trova nel carcere di Reggio Emilia. Nel dettaglio la sua testimonianza: “Mi accusavano di essere stato io ad aggredire. Così ho deciso di denunciarli”. “Mi hanno fatto spogliare e mettere in ginocchio. Poi mi hanno attaccato con le manette al letto. Mi hanno colpito con calci allo stomaco e colpi in faccia e in testa, anche con il ferro di battitura”. I fatti risalgono al settembre del 2017 quando a seguito di una perquisizione della cella inizia il calvario per il prigioniero. Per Pietro Licari, 51 anni, agente della polizia penitenziaria del carcere di Ferrara, la condanna a 3 anni per reato di tortura è già stata emessa in rito abbreviato con le aggravanti di crudeltà e violenza grave. Per lo stesso reato sono a processo ordinario altri due agenti: il sovrintendente Geremia Casullo e l’assistente capo Massimo Vertuani. Secondo la ricostruzione, mentre uno di loro faceva il palo in corridoio, gli altri due infierivano sul prigioniero. Il sovrintendente si guadagnò una testata da parte del detenuto che si difendeva dal pestaggio che in risposta subì ulteriori violenze. Anche un’infermiera del carcere ferrarese, Eva Tonini, è accusata di favoreggiamento e falso poichè, sembra per coprire gli agenti, dichiarò di aver visto il detenuto sbattere la testa contro il portone blindato della cella. Di falso e calunnia ora potrebbero essere chiamati a rispondere anche gli agenti che hanno dichiarato nel rapporto di essersi difesi da un’aggressione.
Il 1° settembre, sempre all’Arginone di Ferrara, muore suicida un 29’enne arrestato a Cento per detenzione di stupefacenti e di un’arma, una pistola semi-automatica, risultata rubata. Ora la Procura estense mette al vaglio la posizione di una decina di persone a vario livello nel carcere, che hanno avuto un ruolo nella carcerazione del ragazzo. Si vuole capire se ci siano responsabilità e mancanze in una morte che poteva essere evitata.

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