Ultime notizie
Home » Archivio » Approfondimenti » CAMICE DI FORZA CHIMICHE
CAMICE DI FORZA CHIMICHE

CAMICE DI FORZA CHIMICHE

pillole di salute

Dall’antichità gli esseri umani hanno usato le droghe come una forma di esplorare altri stati di coscienza e come un lubrificante per le relazioni sociali o come medicamenti per trattare distinte malattie. Questi bisogni culturali o questi impieghi curativi sono ben conosciuti dai poteri attuali (economici, politici, militari ecc.) ed è per questo che hanno convertito le droghe in prodotti e i consumatori in cavie creando canali di distribuzione a livello mondiale molto lucrativi. Questo mercato a volte si maschera di illegale altre volte di legale, però in entrambi i casi quelli che se ne beneficiano sono quelli che hanno la capacità di mantenere queste strutture commerciali. E chi ha questa capacità? Sono le grandi reti del narcotraffico internazionale controllato dalle mafie e le multinazionali farmaceutiche. Curiosamente, dietro ogni droga illegale diffusa sul mercato c’è l’impiego in qualche medicamento di laboratori farmaceutici. Questo significa che dopo essere state create in laboratorio le droghe vengono fatte entrare nel circuito del commercio illegale dalle stesse case farmaceutiche.

L’eroina è stata patentata dalla casa farmaceutica Bayer nel 1896 come rimedio per la tosse e i lievi dolori e come possibile trattamento per la dipendenza alla morfina. Solo che il rimedio si rivelò peggiore del male infatti l’eroina ha un potere di assuefazione e dipendenza molto più elevato della morfina. L’eroinomania divenne quindi rapidamente una emergenza sanitaria mondiale. Nel 1905 la città di New York consumava circa due tonnellate di eroina all’anno. In Cina invece l’eroina iniziò a sostituire l’oppio molto diffuso in queste regioni. In Egitto nel 1930 il fenomeno aveva assunto proporzioni gigantesche, pensate che su una popolazione di 14.000.000 di abitanti c’erano oltre 500.000 eroinomani.

Di fronte a questi fatti le autorità corsero in fretta ai ripari: il primo Stato furono gli Stati Uniti d’America, che vietarono produzione, importazione e uso di eroina nel 1925; nello stesso anno viene firmata a Ginevra la Convenzione internazionale dell’oppio, a cui aderirono molte nazioni.

Quando però fu illegalizzata l’eroina aveva già guadagnato una quantità enorme di utenti in tutte le parti del mondo e le mafie incominciarono a controllarne la distribuzione.

Nello stato italiano l’eroina entra massivamente negli anni 70. La generazione beat e il movimento hippy avevano influenzato una gioventù delusa e desiderosa di rompere con la moralità della vecchia società patriarcale e autoritaria in cui il sesso, le droghe e certe correnti musicali erano demonizzate. C’era nella droga un’illusione libertaria e di rottura con un passato di sacrifici e di ipersfruttamento dal postguerra in poi; un’esperienza di ribellione e di trasgressione unitamente a una scarsa informazione ed esperienza storica. Ma come si diffonde in realtà l’eroina?

Siamo a Roma, è il21 marzo 1970 – Il Nucleo Antidroga dei Carabinieri, diretto dal capitano Giancarlo Servolini, del SID (servizio informazioni difesa), irrompe in un “barcone” sul Tevere: 90 arresti. Motivo: la droga. “2.000 giovani si drogavano sul barcone” spara “Il Tempo,” quotidiano romano. È lo scandalo dell’anno: in sei mesi escono sui giornali nazionali, oltre diecimila articoli sulla “droga,” un quantitativo pari al totale de­gli articoli usciti nei sette anni precedenti.

In questa epoca le droghe provenivano principalmente dalle farmacie; un numero enorme di giovanissimi si familiarizza con lo psi­cofarmaco; nelle farmacie si trova di tutto; in casa, le madri cominciano a usare tranquillanti. Quando nasce lo stile definito “yé-yé,” il piacere proibito della maggior parte dei ragazzi è la sigaretta (di tabacco) e il whisky; cinque anni prima, in Francia, migliaia di giovani già si “divertivano” con le anfetamine. E anche gli “yé-yé,” con molto ritardo, scoprono che il whisky è “più buono” con la pasticca. Noan, Valium, Ansiolin, non sono stimolanti, ma con un bicchiere di whisky fanno un certo effetto, fanno sentire diversi; per i ragazzi, lo stato normale, il comportamento normale è una “rottura.” Nessuno pensa a drogarsi, alla droga: gli psicofarmaci sono solo “pasticche,” siringhe non se ne vedono. Nasce un linguaggio, un gergo. I prodotti preferiti sono i prodotti in quel momento lanciati dall’industria farmaceutica: non perché i ragazzi sono sensibili in modo particolare ai contenuti della pubblicità, ma perché vanno in farmacia e chiedono specialità che hanno sentito nominare. Oltre al cocktail tranquillanti-alcool, vanno a fiumi il Revonal e gli altri sonniferi a base di metaqualone; i barbiturici dell’industria sono famosissimi così come psicotonici, ricostituenti, ecc.; l’uso è comune anche per motivi di “produttività” (studio e lavoro) e la gente si abitua a familiarizzarsi col farmaco. Quando nel ’67 e nel ’68, comincia, soprattutto fra gli studenti e fra i primi gruppi di controcultura, a girare l’hascisc, ci si aspetterebbe una vasta diffusione fra le decine di migliaia di giovani consumatori di pasticche, se non altro per motivi banali, come provare una droga nuova. Ma non si fanno i conti con la logica di mercato: infatti la diffusione artigianale dell’hascisc (giovani che vengono da Istanbul o dal Marocco) non conta su protezioni mafiose o di polizia; e incontra subito una dura repressione, con pesanti condanne in Tribunale, soprattutto a Roma e Milano (nel 1968 si registrano oltre duecento arresti per consumo di hascisc).La domanda di massa di droga nel mercato viene soddisfatta solo dalle farmacie: si crea una separazione di fatto fra giovani proletari e giovani della nuova sinistra che “fumano”;

Ma il momento determinante nello sviluppo del modello delle tossicomanie, in Italia, è il “Barcone.”In seguito alla clamorosa operazione dei carabinieri romani, si scatena un’eccezionale repressione di massa: nel ’70, gli arresti hanno un boom e superano le 100 unità; retate di trenta-quaranta persone a volta; titoloni sulle prime pagine dei giornali. Simultaneamente negli anni dal 1971 al 1973 l’eroina viene lanciata sul mercato italiano delle droghe con una vera e propria operazione di marketing: vennero fatte sparire tutte le altre e fu offerta al loro posto eroina a prezzi molto bassi. Poco dopo, quando i consumatori erano passati alla nuova droga e ne erano divenuti dipendenti, il prezzo salì alle stelle. l’eroina compare in grosse quantità sul mercato illegale italiano e si comincia a creare il primo gruppo di consumatori di eroina che, fortemente politicizzato, esprime una cultura antagonista ai valori consumistici, la ricerca di un modo di vita migliore ed alternativo a quello esistente. Ma il significato di contrapposizione e lotta politica e idealista attribuito all’eroina dura poco e già all’inizio degli anni ’80 l’utilizzo di questa sostanza coinvolge anche altri gruppi per lo più appartenenti alle classi sociali più disagiate, allargandosi poi a giovani adolescenti , studenti, operai , impiegati e raggiungendo le proporzioni che si possono osservare oggi . Nasce in Italia la “psicosi” droga: per decine di milioni di italiani la droga diventa un “male oscuro,” per centinaia di migliaia di giovani, una tentazione proibita. Solo tre anni dopo, l’opinione pubblica viene a sapere, da un dossier di controinformazione di Stampa Alternativa (La droga nera) che la storia del “Barcone” era una truffa: i carabinieri avevano dichiarato ai giornali di aver reperito nel “Barcone” mezzo chilo di hascisc, siringhe, eccitanti, e decine di giovani in stato confusionale; in realtà, come risulta dagli atti dell’istruttoria, il corpo di reato era mezzo grammo di hascisc “trovato” in un cestino della spazzatura, e “nessun giovane fu incriminato per­ché agli esami medici nessuno risultò aver consumato stupefacenti.”
La colossale montatura, del “Tempo” e del SID, aveva scopi politici precisi: tenere le decine di migliaia di studenti medi, in un periodo particolarmente combattivo, sotto il mirino della repressione, coi poliziotti davanti alle scuole, e genitori, comitati e presidi mobilitati in funzione antidroga; e, sul versante droga, determinare il modello di sviluppo del mercato. È in questo momento quando appare l’associazione tra droga e delitto, quando molti consumatori entrano in carcere. Attualmente ci sono in carcere circa 15.000 tossicodipendenti e il 78% dei reclusi è stato segnalato per consumo di sostanze stupefacenti.

 buco

Metadone

Verso la metà degli anni 70 il presidente Nixon dichiara che una droga chiamata metadone, sintetizzata nel 1939 da medici dell’esercito tedesco di Hitler era una droga controrivoluzionaria, capace di curare gli eroinomani in linea con rapporti sanitari e agenzie di polizia che davano grande rilevanza ai fattori sociali ed economici relazionati con il consumo di eroina. Si sottolineava in questi documenti che grosse dosi giornaliere di metadone assunto per via orale facevano sparire l’ansia da eroina e bloccavano i suoi effetti euforici, per migliorare l’inserimento sociale della persona. D’altra parte si dice pure che per ogni euro speso in programmi di sostituzione con il metadone si risparmiano più di 3 euro in spese relazionate con attività delittive e processi giudiziari come conseguenza ovvia dell’illegalizzazione della sostanza. È evidente che c’è una chiara intenzionalità economica in tutto questo oltre a garantire una falsa pace sociale che si nasconde dietro questi programmi. Molti esperti evidenziano come il metadone, oltre a creare una forte dipendenza, maggiore di quella dell’eroina, non serve per disintossicare dall’eroina visto che la gente continua a consumarla e che inoltre sono pericolosissime le interazioni che il metadone può stabilire con altri farmaci quali gli antibiotici, medicinali antiretrovirali, farmaci per la tubercolosi, alcuni antiepilettici e altri depressori del sistema nervoso centrale. Si calcola che nel 2002 ci fossero nel mondo più di un milione e mezzo di consumatori di metadone e che l’aumento progressivo annuo è calcolato intorno all’11%.

Somministrare farmaci appare una risposta sintomatica, preconfezionata al pullulare di ‘sindromi’; eppure a modo suo indubbiamente è un rimedio che lenisce (nasconde?) i sintomi e, ancora più in profondità, le cause dello star male. Non è uno scherzo, se vediamo da una ricerca recente che il 43%

dei detenuti assume psicofarmaci: questo ricorso massiccio è comodo perché spegne gli spiriti pensanti, critici, sofferenti di chi è dentro. Troviamo frequenti denunce del ‘farmaco facile’ elargito dal personale medico. Il rimedio usato correntemente è la prescrizione di psicofarmaci, distribuiti con eccessiva leggerezza tanto da alimentare un fiorente scambio con il vino e le sigarette. Da segnalare anche la consuetudine di consentire l’acquisto diretto di vino a quanti sono in terapia farmacologica, sebbene l’uso delle due sostanze sia incompatibile: evidentemente le ragioni economiche prevalgono su quelle sanitarie. In definitiva, quasi ovunque nelle carceri l’importante è che il paziente – detenuto se ne stia tranquillo e tutto ciò che contribuisce a mantenerlo tale viene tollerato.

Succede anche che il farmaco finisce per essere cercato dagli stessi detenuti. L’infermiere si affaccia allo spioncino e chiede: ‘Serve qualcosa – tranquillanti?’ Passa più volte in poche ore. Gli sembra strano che un ‘nuovo aggiunto’ possa rispondere: ‘no’. Per resistere e dimenticare la prigione fisica cercano scampo nella prigione chimica.

Il consumo di psicofarmaci nelle prigioni è un fatto più recente ma in crescita esponenziale e si consumano in proporzione maggiore che nella popolazione generale ( circa il 31% dei detenuti ha prescritto in terapia qualche tipo di psicofarmaco per assunzione abituale ma questo dato non comprende tutti quei casi in cui gli psicofarmaci si usano coattivamente come metodo di contenzione). I trattamenti per i presunti disturbi dei reclusi si basano principalmente nella somministrazione di neurolettici, antidepressivi, ansiolitici o tranquillanti la cui assunzione diventa obbligatoria dal momento in cui esiste una prescrizione medica. Sono sufficienti piccoli segni di tensione, ansia o agitazione per motivare la prescrizione della corrispondente dose di droga legale. Inoltre si etichetta il detenuto con questo o quel disturbo tipo schizofrenia, disturbi della personalità, disturbo antisociale ecc. e gli si cuce addosso lo stigma di malato. La funzione di questi farmaci somministrati in carcere è quella di contenzione, di certo non terapeutica, dato che non esistono casi in cui lo psicofarmaco abbia “curato” dalla presunta malattia. In verità sono strumenti al servizio dell’istituzione, infatti il risultato più evidente è che le persone non sono più sé stesse, sono annullate e quindi l’ordine interno è assicurato contemporaneamente all’arricchimento delle case farmaceutiche.

Quasi tutti questi farmaci provocano seri effetti secondari che, casualmente, spesso coincidono con i sintomi del disturbo che pretendono curare. Il caso dei neurolettici è in questo casa abbastanza esplicativo, infatti la loro assunzione cronicizza i sintomi di apatia, mancanza di volontà per relazionarsi agli altri e anaffettività . Inoltre, come qualsiasi droga genera dipendenza. Quindi gli psicofarmaci sono il nuovo contributo della psichiatria al sistema carcerario.

Per riassumere, tutte le droghe, legali e illegali, agiscono come una camicia di forza chimica che annulla la volontà e la capacità di azione e risposta di fronte agli abusi che si soffrono in carcere, garantiscono il mantenimento dell’ordine interno e generano individui sottomessi. D’altra parte servono come strumenti di devastazione del tessuto sociale infatti sono causa di aspri conflitti tra bande per il controllo del mercato, implementano relazioni di tipo utilitaristico dove l’amicizia si dissolve nell’interesse personale, dove si esprime la gerarchia tra consumatori e spacciatori, e poi tra spacciatori e grandi distributori. In questo modo si dà alla emarginazione un ruolo dentro delle relazioni economiche e di potere, recuperandola verso indirizzi utili alla riproduzione dello stesso carcere e legittimando la repressione messa in scena dai menestrelli del sistema giudiziario, usando piccoli trafficanti e consumatori di droghe come capri espiatori. Mentre i veri trafficanti e cioè le banche, le ditte farmaceutiche, i carcerieri, la polizia si riempiono le tasche sull’annientamento della nostra salute e della nostra forza di ribellione.

Inserisci un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Required fields are marked *

*

Antispam * Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Scroll To Top