E' possibile paragonare la follia che nel 1600 fece scattare la
caccia ai tulipani con la febbre per tutto ciò che ha vagamente a
che fare con Internet? La tentazione è forte. Quando un titolo
come Tiscali capitalizza in Borsa più della Fiat, inducendo
qualcuno nell'illusione che la società di Renato Soru possa
scalare il colosso torinese, quando la caccia ai titoli Internet
viene fatta senza neppure sapere cosa produce una società o quali
sono i suoi conti economici, quando si aprono ogni giorno
centinaia di portali sapendo che si mettono sul mercato scatole
vuote destinate a chiudere nel giro forse di una stagione, quando
un titolo come Basic-net, (azienda che porduce jeans), esplode in
Borsa per via del nome, quando ci sono risparmiatori disposti a
pagare un sovrapprezzo pur di ottenere un titolo Internet nella
fase del collocamento, c'è qualcosa di strano e forse di
preoccupante.
I sintomi di "follia" che fanno pensare all'epoca in cui il
prezzo di un bulbo veniva spinto a livelli incredibili solo per
la sua rarità, sono molti. E altrettanto forte è il timore che
come allora prima o poi la bolla speculativa esploda e irrompa
sui mercati mondiali con la violenza di un terremoto. Alan
Greenspan l'ha capito che i mercati azionari stanno seduti su una
polveriera per via della febbre Internet e con molta cautela
governa il mercato borsistico e quello dei tassi in modo da
raffreddare i titoli tecnologici ed evitare cadute devastanti.
Catastrofismo? Qualcuno arriccia il naso. C'è chi non è affatto
convinto che la febbre di Internet sia riducibile alla classica
bolla finanziaria. Anzi, i protagonisti della cosiddetta New
Economy parlano addirittura di nuova rivoluzione industriale e
qualcuno paragona la rete Internet alle ferrovie e al ruolo che
ebbero nell'espansione del capitalismo ottocentesco. Da qualche
tempo tra l'altro ci sono anche gli hackers, i moderni luddisti.
Più rivoluzione di così si muore.
Francesco Micheli, fondatore assieme a Silvio Scaglia di
E-Biscom, una società di telecomunicazioni che verrà quotata in
Borsa a Pasqua e che probabilmente farà un botto simile a quello
di Tiscali o Finmatica, è convinto che non si possa parlare in
alcun modo di bolla finanziaria o speculativa: "E' una grande
sciocchezza interpretare ciò che sta avvenendo con quelle
categorie interpretative. La verità è un'altra: quello che sta
avvenendendo è il frutto di dieci anni di investimenti nell'alta
tecnologia, fatti soprattutto dagli Stati Uniti. L'economia
mondiale sta mutando rapidamente e noi ce ne dobbiamo rendere
conto al più presto. L'Europa? Sta semplicemente imitando ciò che
è avvenuto negli Stati Uniti".
Eppure si ha la sensazione che ci sia poca corrispondenza tra la
capitalizzazione di Borsa e la consistenza reale di alcune
società. "Certo, in questa prima fase il mercato fa di tutta
l'erba un fascio. E poi ciò che crea valore è la scarsità dei
titoli Internet. Ma sarà lo stesso mercato a fare giustizia e a
selezionare le società buone da quelle cattive. E' già accaduto
nei paesi dove il fenomeno è più sviluppato". Il rischio tuttavia
rimane: fino ad ora le società del settore hanno succhiato
quattrini e investimenti. Prima o poi dovranno distribuire utili
e dividendi. Non le pare? "Io credo che le cose che fanno e che
faranno la differenza siano la presenza di asset, la clientela e
un management credibile sui mercati mondiali che sia quindi in
grado di mantenere le promesse sugli utili attesi e sui conti
economici. Senza questi tre requisiti è difficile restare sul
mercato".
Resta il fatto che in piazza Affari c'è la coda per le società
che vogliono quotarsi in Borsa. E' una coda lunghissima. Gli
apripista saranno I.Net, una società partecipata da British
Telecom e da Soros; E-Biscom, la società di Micheli e Scaglia in
partnership con l'Azienda Energetica di Milano; Freedomland, la
società di Virgilio De Giovanni che lavora nel settore
dell'Internet Television; Tin.it, il provider di Telecom Italia.
Ma questa pattuglia, composta per la gran parte da società solide
o comunque con un business plan definito, saranno seguite da un
esercito di operatori a volte ignoti che hanno come unico scopo
di quotarsi in Borsa, finanziarsi sul mercato e drenare capitali.
I più pericolosi sono gli operatori Internet che sperano in
questo modo di poter imboccare scorciatoie con pochi investimenti
e tanti capital gains.
Michael Mauboussin, numero uno della Credit Suisse First Boston
per gli investimenti negli Stati Uniti, sul Sole 24 ore
on line mette in guardia da facili entusiasmi senza tuttavia
demonizzare il fenomeno: "Anche per le società Internet e i
titoli tecnologici vale la stessa regola utile per valutare le
società tradizionali ai fini di un investimento: bilanci
soddisfacenti che mostrino prospettive di crescita. Oppure, per
le start-up, business plan con obiettivi di crescita ambiziosi ma
realistici. E' vero infatti che i mercati sono fortemente
influenzati dalle aspettative diffuse; ma queste dovrebbero
formarsi in base a conoscenze reali sulla società, non sul
sentito dire. L'irrazionalità causata da ignoranza può risultare
davvero dannosa. D'altronde - aggiunge Mauboussin - le aziende
tecnologiche sono basate sul valore della conoscenza e non dei
beni fisici. Il valore di Microsoft è nei suoi uomini non negli
asset. Nell'arena dei titoli tecnologici credo che quest'anno ci
saranno molti scossoni. Le aziende stanno spendendo molti soldi
per diventare leader del settore ma poche ci riusciranno. Diverse
chiuderanno, molte saranno acquisite e ci saranno parecchie
fusioni".
Correzioni, sostiene il manager, ce ne saranno. "Non è una
questione di se ma di quando". Nonostante ciò alcuni
economisti sono convinti che ormai Internet sia lo spartiacque
tra passato e futuro. "Da qui ai prossimi dieci anni - afferma il
premio Nobel per l'economia Gary Becker - i paesi che avranno
potuto godere della rivoluzione tecnologica che passa da Internet
saranno avanti, i paesi ancora legati alla vecchia economia
saranno indietro".