Alcuni giorni fa il tribunale di Genova ha condannato a 14 mesi un anarchico di quella città reo di aver diffuso attraverso internet un testo critico nei confronti di chi, all’indomani della rivendicazione da parte della Federazione Anarchica Informale della gambizzazione di un tecnocrate, aveva messo i puntini sulle i delle parole idiozia, codardia, politica e dissociazione. Quattordici mesi di carcere per aver espresso un’idea. Decisamente nessuno potrà più vantarsi di vivere in un paese dove chiunque è libero di esprimere il proprio pensiero, quale esso sia, basta non passare ai fatti. No, certe idee sono pericolose perché incitano di per sé all’azione. Possono essere magari formulate sui libri che nessuno più distribuisce e nessuno più legge, ma non devono serpeggiare senza freni nella rete alla portata di tutti gli occhi. Lo Stato sta quindi cominciando a mettere bene in chiaro le cose: da ora in poi, davanti agli atti di rivolta, o il silenzio o la condanna. Altrimenti…

Va bene, non ci lasciano scelta. Di scomunicare ribelli non se ne parla nemmeno, ovviamente. E quindi noi stiamo zitti. Stiamo zitti, sì, perché l’abbiamo capita.
In mezzo ad una società paralizzata da uno sciopero generale, come quella francese del maggio 68, potrà essere solo qualche emulo del “Gruppo di liberazione surrealista” a lanciare appelli quali: «Disperati, morti di noia, cessate di agire contro voi stessi. Volgete la vostra collera contro i responsabili della sorte che vi viene riservata. Bruciate le chiese, le caserme, i commissariati! Saccheggiate i grandi magazzini! Dinamitate la Borsa! Abbattete i magistrati, i padroni, i potentati sindacali, i poliziotti, i capi zelanti! Vendicatevi alfine di quelli che si vendicano su di voi della loro impotenza e del loro servilismo». Ma noi no.
 
All’indomani di un tiro a segno sull’ingresso del Parlamento potrà essere solo uno scrittore e giornalista quale Gilbert Keith Chesterton a ricordare che: «dicevo giustamente l’altro giorno che ciò di cui la maggior parte della gente ha bisogno è di essere un po’ assassinata; soprattutto quelli che hanno una situazione di responsabilità politica». Ma noi no.
Di fronte ad un mondo sottomesso al potere e al denaro, dove lo scontro fra chi possiede tutto e chi non ha niente rischia di assumere i contorni della guerra civile, potrà essere solo un artista maledetto come Antonin Artaud ad osservare che «l’attuale stato sociale è iniquo e va distrutto. Se è compito del teatro preoccuparsene, lo è ancor più della mitragliatrice». Ma noi no.
Davanti al Partito delle Persone Oneste, a questa minoranza che comanda sempre in maniera sbraitante e democratica, a questa maggioranza che obbedisce sempre in maniera silenziosa e compiaciuta, a questa bella gente che vorrebbe farci trascorrere l’esistenza scodinzolando fra selfie e massacri, potrà essere solo un Guy Debord nella sua giovinezza lettrista a sostenere che «ciò che manca a questi signori, è il Terrore». Ma noi no.
Noi stiamo zitti perché l’abbiamo capita.