NDR: Pubblichiamo solo ora questo testo di Nikos Romanos, scritto pochi giorni dopo la chiamata per un “Dicembre Nero”.
 
Requiem per un viaggio di non ritorno
 
Oggi parlerò di quella che dovrebbe essere considerata come un’autentica testimonianza dell’anima alla memoria rivoluzionaria. La testimonianza della mia anima a proposito di un incidente che è diventato il detonatore per l’intensificarsi dell’attacco armato ai palazzi d’inverno del Potere; un incidente che ha contribuito in maniera decisiva a creare un punto di non ritorno per chi ha preso le armi e riempito le valigie di sogni e speranze per un mondo di libertà. Anche io ho preparato quella stessa valigia col mio odio, un po’ di vestiti e qualche souvenir, e ho lasciato per sempre casa mia [nell’aprile del 2010] un giorno prima che la polizia venisse a cercarmi, ammanettarmi e portarmi in tribunale per deporre al processo degli sbirri-assassini. Ho tagliato i ponti con la mia vita passata, e mi sono unito alle fila della lotta anarchica clandestina. Avevo sedici anni, ma ero pienamente consapevole delle mie azioni, e sebbene avessi una statura morale ben maggiore di quei/lle ridicol* smidollat* sedut* in aula, sapevo che il momento di dire tutto quello che andava detto non era ancora arrivato, non era il momento giusto, e non ero realmente pronto a liberarmi di un tale peso storico. Ecco perché ho preferito restare in silenzio e dedicarmi alla guerra contro il Potere, la stessa guerra in cui, sette anni dopo, mi ritrovo prigioniero, pur mantenendo la stessa posizione combattiva. Ora mi libero di questo peso storico, che ho temporaneamente evitato ma cui non ho mai rinunciato di occuparmi.
Il processo [in prima istanza] cui ho rifiutato di assistere, ma anche il processo di appello che seguirà, cerca di mettere fine – nella forma di una ratifica istituzionale – a un aspetto della storia sovversiva, un aspetto che disonora la democrazia rivelando l’odore di morte che trascina con sé. Questo aspetto specifico – parte integrante di una storia che continuerà a esistere finché gli/le oppress* si ergeranno contro i/le loro oppressor* – si è rivelato la sera del 6 dicembre 2008 all’incrocio di via Messolonghiou e via Tzavela, a Exarchia.
Quello che sto per dire non lo dico assolutamente per facilitare il meccanismo giudiziario a emettere un futuro verdetto equo. Non credo nelle leggi né nelle corti, né nelle prigioni che appaiono minacciose a disciplinare chi devia dall’ordine legale, seppellendol* vivi tra cemento e sbarre.
Ho il coraggio di credere nella forza degli essere umani liberi, nella possibilità della loro auto-determinazione in un mondo di subordinazione universale, nella prospettiva della rivoluzione anarchica e la pratica dell’insurrezione anarchica permanente.
Comincerò il mio racconto con la prospettiva di rivolgermi alla storia, restare degno davanti a lei, contribuire alla creazione di un’eredità incontaminata che non macchierà la memoria dei/lle nostr* mort*, e mandare un segnale di guerriglia a chi è interessato a diventare un attore che plasmerà il proprio sviluppo di conseguenza. Con lotta costante, con tutti i mezzi, con la passione per la libertà e odio per chi mantiene il nuovo ordine delle cose, dipinto col sangue di chi ha resistito alla sua onnipotenza.
Il canto del cigno per la mia amicizia con Alexandros inizia…
Alexandros e io ci siamo conosciuti a scuola, e abbiamo cominciato a passare un sacco di tempo insieme, dato che vivevamo relativamente vicini. Era una persona che detestava la rispettabilità e l’ipocrisia dominanti nel nostro ambiente scolastico. Era sempre alla ricerca di un modo per evadere da questa condizione, ed è così che ci siamo trovati. Ci siamo conosciuti meglio bigiando la scuola, per evadere dalla routine della noia scolastica, vagando per ore ed esplorando parti della città che ci erano sconosciute, parlando e discutendo tutti i giorni di tutte le cose che ci lasciavano perplessi. Man mano che il tempo passava, abbiamo continuato a camminare su sentieri di ricerche sempre più vaste e forti interrogativi sul mondo che ci circondava.
Verso i 14 anni ci siamo accorti per la prima volta degli anarchici; ci piaceva guardare in tv i filmati degli scontri fra i dimostranti e la polizia; alla nostra comprensione ancora immatura, che avevamo appena cominciato a formare, sembrava un modo di resistere all’ingiustizia quotidiana delle ineguaglianze sociali. Peraltro per noi che passavamo le giornate nei parchi e nelle piazze non era difficile detestare la polizia – anche istintivamente, potremmo dire. Avevamo visto gli sbirri umiliare dei/lle migranti nel centro di Atene; eravamo stati testimoni di quanto trattassero male tossicodipendenti e senza-tetto. Naturalmente sono cose che chiunque può vedere semplicemente passeggiando nel centro di Atene. La contraddizione che stavamo vivendo veniva fuori quando vedevamo gli sbirri chinarsi e leccare i piedi dei ricchi dove vivevamo [uno dei quartieri più agiati nella parte nord di Atene]. È stato allora che abbiamo davvero capito che razza di vermi ipocriti e vigliacchi fossero tutti quanti.
Così abbiamo deciso di andare insieme a una manifestazione [in centro] per vedere da vicino quello che fino a quel momento avevamo osservato da lontano e per cui avevamo sviluppato un vivo interesse. Ed è quello che abbiamo fatto. Ricordo che la prima marcia cui ci siamo uniti è stata quella del 17 novembre [manifestazione annuale che commemora la rivolta del Politecnico di Atene del 1973] del 2007, dove ci sono stati degli scontri con la polizia cui abbiamo partecipato anche noi. Naturalmente ai tempi eravamo un po’ esitanti, seguivamo e imitavamo semplicemente le persone che affrontavano la polizia. Abbiamo visto da vicino gli sbirri antisommossa della MAT picchiare selvaggiamente delle persone a caso, abbiamo sentito l’asfissia causata dai lacrimogeni, e abbiamo assistito per la prima volta alla repressione poliziesca delle manifestazioni. Finita la marcia siamo andati a Exarchia, siamo rimasti fino a tardi a discutere degli eventi con una sorta di entusiasmo per quello che era appena accaduto; l’entusiasmo che sentono tutte le persone quando cominciano a entrare in contatto con la parte autentica della vita.
Un punto di riferimento importante per entrambi fu la manifestazione antifascista che si è svolta il 2 febbraio 2008. Era il giorno in cui Alba Dorata aveva organizzato un raduno per Imia [commemorazione nazionalista del conflitto del 1996 tra Grecia e Turchia riguardo l’isolotto di Imia/Kardak nel Mar Egeo], e gli anarchici avevano convocato una contro-manifestazione per scontrarsi con i fascisti.
C’eravamo anche noi e abbiamo visto i fascisti avanzare da dietro le linee delle squadre antisommossa per accoltellare i compagni; abbiamo visto come quei porci della polizia coordinavano le loro cariche con i fascisti. Abbiamo visto compagni accoltellati, fascisti attaccati dai compagni con asce e bastoni di legno. E, non dimentichiamolo, quelli che erano in prima linea fra i fascisti ora fanno parte del parlamento greco – sto parlando di Elias Panagiotaros, Yannis Lagos ed Elias Kasidiaris, prima che rinnegassero il loro passato e invocassero legalità e democrazia.
Una volta finiti gli scontri coi fascisti e la polizia, ci siamo barricati all’interno del Rettorato [dell’Università di Atene ai Propilei, in via Panepistimiou] e abbiamo aspettato lì fino a tardi; poi abbiamo lasciato l’edificio tutti insieme in manifestazione. Manifestazione che è stata attaccata dalla polizia non appena siamo arrivati in strada, e ci sono stati fermi, arresti e feriti.
Da quel giorno siamo andati a Exarchia quasi tutti i giorni e abbiamo cominciato a prendere contatto con altri che frequentavano il quartiere. Abbiamo cominciato a leggere riviste e volantini anarchici, a dare un’occhiata ai siti di contro-informazione, frequentare squat come quello di Villa Amalias [ora sgomberato] e di Prapopoulou. Nello stesso periodo abbiamo partecipato a tutte le manifestazioni a proposito delle riforme previdenziali e alle proteste degli studenti universitari contro la famosa Legge Quadro [per l’educazione superiore], motivati unicamente della prospettiva degli scontri e dei disordini nelle strade, cui ci univamo ogni volta più volentieri e più determinati.
E allo stesso tempo, con altr* student*, avevamo creato un collettivo anarchico chiamato «attacco anarchico degli studenti» e abbiamo tenuto delle assemblee sulla scuola e il ruolo dell’educazione in riferimento al funzionamento della macchina sociale.
Mi ricordo anche che, qualche giorno prima del 17 novembre 2008, avevamo partecipato a un attacco contro la Gioventù del PASOK, che quel tempo aveva gli uffici a Exarchia. Lo scontro durò un buon momento, perché i membri del PASP [sezione studentesca del PASOK] avevano assunto un gruppo di buttafuori per proteggersi – esattamente come avevano fatto gli anni precedenti durante le manifestazioni del 17 novembre, in cui i loro sgherri avevano in realtà attaccato i blocchi anarchici. Quindi in sostanza il confronto non era con la Gioventù del PASOK ma con i buttafuori che sorvegliavano i loro uffici. Alla fine siamo riusciti ad arrivare agli uffici, e quelli che non si erano chiusi dentro hanno avuto quello che si meritavano. Di conseguenza, uno studente del PASP che teneva la bandiera [nazionale insanguinata] del Politecnico ha un braccio rotto in tutte le foto che hanno decorato le prime pagine dei quotidiani il giorno dopo.
Un altro incidente che ripesco tra i miei ricordi è un presidio di solidarietà al tribunale di Evelpidon [nel luglio 2008] per gli anarchici allora in carcere [Marios] Tsourapas e [Chrysostomos] Kontorevythakis, processati per un attacco incendiario [di una pattuglia] alla sede della polizia municipale. Finita la seduta, i/le solidali* che avevano assistito all’udienza si sono incamminat* a piedi verso Exarchia. All’altezza del parco Pedion tou Areos, è scoppiata una rissa con due sbirri dell’unità motorizzata Z, e sono stati presi i caschi che avevano lasciato sulle moto. Durante la rissa gli sbirri avevano estratto le pistole e sparato diversi colpi non solo in aria ma anche sulla folla per costringerci a scappare.
Fotogramma successivo nella narrazione è quella maledetta sera del 6 dicembre. Ero seduto con Alexandros e altri ragazzi nella via pedonale di Messolonghiou, come quasi ogni giorno.
Dopo un po’ è arrivato un compagno che ha suggerito di andare in via Charilaou Trikoupi ad aspettare che passasse una pattuglia per gettare le pietre che aveva raccolto. Siamo andati con lui e abbiamo aspettato mentre Alexandros era rimasto un po’ indietro. Poco dopo è passata una pattuglia, con Korkoneas e Saraliotis all’interno.
Allora non sapevo che la pienezza del tempo era venuta per tutti noi; era il momento che avrebbe cambiato tutto. La clessidra della vita è stata girata nel momento in cui una pietra ha colpito la vettura di Korkoneas. Siamo tornati indietro a sederci nella via pedonale con gli altri, mentre Korkoneas e Saraliotis sono passati con la pattuglia da via Zoodochou Pigis per vedere chi li aveva attaccati; a quel punto abbiamo gettato qualche oggetto alla pattuglia; dopo averci gettato un’occhiata, si sono allontanati, hanno parcheggiato la vettura accanto alla squadra antisommossa delle MAT che sorveglia gli uffici del PASOK, e sono tornati a piedi all’incrocio fra Tzavela e Zoodochou Pigis.
Quando abbiamo visto avvicinarsi gli sbirri ci siamo alzati per andar via, perché pensavamo che con loro ci fosse la squadra antisommossa, come capita di solito. In quel momento i due sbirri hanno cominciato a insultarci ed è allora che ci siamo accorti che erano venuti da soli, senza rinforzi. Quindi alcuni di noi sono avanzati verso di loro, e Alexandros, che era davanti, ha lanciato qualche bottiglia di birra che stavamo bevendo. Dopo pochi secondi, Korkoneas ha estratto la pistola e concluso con le pallottole lo scontro che era iniziato solo poco prima.
Una pallottola nel cuore di Alexandros per chiudere il cerchio dell’onnipotenza della macchina statale. Una macchia di sangue nella via pedonale Messolonghiou per aprire il cerchio di ribellione che ha distrutto l’ordine legale e seminato caos e anarchia in tutte le città greche.
Logicamente gli avvocati della difesa hanno cercato, e cercheranno, di sostenere che è stato un caso sfortunato, una pallottola di rimbalzo, un incidente isolato. Dal mio punto di vista, per quanto possa suonare contraddittorio, fa comodo anche a me – ovviamente sul piano giudiziario più che politico. Non credo nell’istituzione del carcere, lo considero uno degli strumenti dell’orrore, democraticamente amministrato in dosi, che la dominazione ha a sua disposizione per assicurarsi una tranquilla riproduzione.
Credo nel diritto rivoluzionario di prendere la legge nelle proprie mani e nello sforzo di tutti di regolare i propri conti da soli, lontano dalla mediazione di sbirri, giudici, leggi, prigioni, la repressione scientificamente pianificata, la bruttezza tecnocratica che macchia la bellezza dell’istinto selvaggio e della libera volontà. Di conseguenza per me gli sbirri-assassini meritano la probabilità caotica della prospettiva che venga fatta vendetta per tutte le anime perdute che cercano la propria salvezza violenta. Questa è l’unica giustizia nel mio sistema di valori.
Inoltre noi non torturiamo le persone come fa sistematicamente la civilizzazione autoritaria contemporanea – la più grande mostruosità nella storia del genere umano, che è persino riuscita a normalizzare la morte e mette le parole e i significati al servizio della propria dominazione attraverso i meccanismi di propaganda dei centri d’informazione globale sempre imparziali.
Perché tutti noi, nemici del Potere, possiamo accettare la prigione o persino la morte come possibile eventualità, ma non abbiamo mai accettato l’esistenza della morte come una nuova storia nella realtà virtuale con cui veniamo bombardati.
La cosa più ridicola è il fatto che i meccanismi di propaganda della dominazione cercano di ritrarre gli omicidi commessi dagli sbirri come incidenti isolati causati da personalità disturbate, come incidenti che accadono sempre a causa di negligenza.
Gli omicidi della polizia non sono né casi isolati, né un fenomeno greco. Sono la manifestazione estrema dell’imposizione democratica sui margini sociali, i poveri diavoli, i delinquenti, i disobbedienti, i migranti. Inoltre, gli omicidi commessi dalla polizia confermano che la guerra di liberazione esiste, ogni volta che prendono di mira i ribelli che prendono le armi e combattono la dominazione con le fiamme della libertà che ardono nei loro cuori.
Questi omicidi sono la logica conseguenza della percezione che gli sbirri hanno del loro ruolo, percezione con cui questi individui vengono indottrinati per far parte della macchina repressiva che protegge il buon funzionamento della macchina sociale.
Le armi da fuoco della polizia non sparano con intenzioni omicide solo in Grecia; uccidono dei 15enni in Turchia perché partecipavano a delle manifestazioni contro il governo, uccidono dei 16enni in Italia perché non si sono fermati a un blocco stradale della polizia, assassina madri e figli in Palestina, assassinano decine di afro-americani negli Stati Uniti per motivi puramente razzisti, uccidono migranti nelle periferie svedesi, uccidono dei giovani nei quartieri più poveri del Regno Unito; uccidono ripetutamente e in serie in tutti gli angoli del pianeta per imporre la pace sociale.
E se gli esempi che ho citato sono conosciuti perché collegati a rivolte su piccola o grande scala in reazione agli omicidi di stato, non smettono per questo di essere una semplice goccia nell’oceano in confronto alla tempesta di giri di vite assassini lanciati dai corpi di sicurezza in difesa della dominazione capitalista.
Se chiudiamo occhi e orecchie al flusso incessante della propaganda dominante, saremo in grado di sentire le migliaia di morti anonime nelle stazioni di polizia, le zone di frontiera marittima e terrestre, i campi di concentramento, le istituzioni psichiatriche e le prigioni, le zone di guerra in Medio Oriente, le fabbriche sfruttatrici che sterminano gli schiavi dei nostri tempi. Chiunque può udire le grida delle persone che vengono torturate nelle celle della polizia, che si suicidano per disperazione in una struttura di reclusione, che vengono affondati dagli sbirri della guardia costiera e annegati nelle gelide acque del Mediterraneo, che mutilano il proprio corpo sulle macchine di produzione delle multinazionali nei paesi del Terzo mondo, che vengono seppelliti sotto le macerie dai bombardamenti aerei condotti alla cieca dagli imperi capitalisti.
Di conseguenza, tutti i discorsi politici che attualmente ruotano attorno al valore della vita umana sono, di fondo, ipocriti e profondamente offensivi.
Da parte nostra, abbiamo un approccio molto diverso su quello che è normalmente accettabile e sul valore della vita umana, in confronto a come questi concetti sono definiti dalla norma dominante.
Non crediamo che sia normale accettare che le persone nelle società occidentali mangino apatici davanti alla TV, guardando operazioni di guerra in cui i territori del terzo mondo sono bombardati alla cieca. Crediamo invece che sia normalmente accettabile trasporre questa guerra all’interno dei centri urbani, provocando un costo politico agli interventi assassini dei superpoteri dominanti.
Non crediamo che sia normalmente accettabile che dei civili vengano bombardati come strategia di guerra degli stati per abbattere il morale dei popoli in resistenza come quello della Palestina. Crediamo invece che sia normalmente accettabile colpire con ogni mezzo quei soldati, più o meno esperti, che vengono impiegati nelle operazioni militare contro i civili.
Non riteniamo che sia normalmente accettabile che tutto questo venga presentato come un intervento umanitario dei superpoteri dominanti per assicurare la pace. Non troviamo che sia normalmente accettabile che l’intero mondo civilizzato pianga lacrime di coccodrillo per i morti in Francia, mentre quegli stessi stati e i loro servizi segreti – che con i loro interventi annegano nel sangue intere popolazioni – hanno chiaramente istruito, armato e finanziato il mostro chiamato Islamofascismo per servire i loro interessi; mostro che, come è già capitato spesso in passato, è diventato autonomo e si rivolta contro i propri benefattori una volta acquisito il potere.
Non pensiamo che sia normalmente accettabile che gli avvoltoi delle lobby finanziarie saccheggino le ricchezze in risorse naturali di paesi destabilizzati in nome della pace e della crescita.
Ma pensiamo che sia normalmente accettabile attaccare con ogni mezzo possibile i padroni, i funzionari di stato, i banchieri, chi detiene posizioni di potere politico ed economico, chi si arma per proteggere la pace sociale assassina, i rappresentanti della magistratura, i dirigenti delle multinazionali, tutte le persone e le infrastrutture che mantengono e riproducono un sistema responsabile per tutta la bruttezza che esiste su questa terra.
Queste sono differenze che non possono essere superate ma che possono soltanto scontrarsi fino alla fine; costituiscono l’evoluzione dell’insurrezione e della controinsurrezione, così come le dialettiche avanzate sviluppate in ognuno dei due campi.
Per quanto ci riguarda, questo crea uno spazio vuoto tra gli ambiti in cui il controllo sociale è organizzato e sbocciano i fiori insanguinati dell’apatia, un vuoto pericoloso che mira a schiacciare l’oppressione organizzata e la violenza del Potere, il fattore imprevedibile, l’errore statistico nei diagrammi dei tecnocrati, l’ospite non invitato sotto forma di nemico interno che si organizza e si arma per colpire i nemici della libertà.
Questa è l’insurrezione anarchica permanente, e la sua filosofia contagia il tessuto autoritario, diffondendo l’anarchia nelle metropoli del capitalismo.Ed è evidente che non si arrende e non batte in ritirata, ma è solo dispiegata altrove per attaccare ripetutamente. Perché rischiare il tutto per tutto non è una frase inoffensiva dipinta su un muro, ma il significato che riassume le vite di quei/lle compagn*, di questi e altri tempi, che sono cadut* combattendo contro il nemico. Ecco perché l’insurrezione anarchica continua continuerà a prendere d’assalto il dominio finché l’ultimo autoritario non verrà impiccato con le budella dell’ultimo burocrate.
Quindi torniamo al punto in cui le minoranze combattive rovesciano la produzione di massa di conclusioni deterministiche, in cui tutto è possibile, in cui le intrusioni non annunciate nel territorio occupato dal Potere affliggono la sua supremazia militare e politica.
Perché parlare di anarchia non è abbastanza se non ci si assicura della sua sopravvivenza attraverso azioni contro lo stato, il capitale, la società e la sua civilizzazione; perché l’anarchia sarà sempre una guerra senza limiti contro la probabilità dettata dagli “esperti”.
Per me, questo è sempre stato la posta in gioco in questo conflitto; era, è e sarà l’unica fonte solida per l’analisi della storia.
Alexandros è ormai parte integrante di questa storia; non posso dire quello che sarebbe diventato se le cose fossero andate diversamente; “e se invece” non è nient’altro che il demone interiore del ferito. Ma posso dire chi era Alexandros finché non è caduto ucciso dalle pallottole di quello sbirro. Nella sua breve ma avventurosa vita ha vissuto in maniera autentica; era un giovane ribelle, affascinato dall’idea dell’anarchia, come chi occupa in questi giorni le stradine della città, lancia molotov agli sbirri, e incendia le pattuglie; era indisciplinato e testardo; una persona sincera con un animo gentile e altruista in qualunque cosa facesse. Era una persona che viveva intensamente passioni e frustrazioni.
Ha amato ed è stato amato da molti compagni, e sarà sempre un punto di riferimento per molte persone, la maggior parte delle quali sono ora detenute nelle prigioni della democrazia. E può non essere più con noi, ma so che continua a progettare ribellioni su piccola e grande scala con i nostri morti , Mauricio [Morales], Carlo [Giuliani], Sebastián [Oversluij], Michalis [Kaltezas], Lambros [Foundas], Christos [Tsoutsouvis] e dozzine di altre persone meravigliose che sono partite lasciando i loro sogni irrealizzati.
Alla domanda che potrebbe essere giustamente posta – perché tutto questo doveva essere detto proprio ora – la risposta è semplice.
Nel contesto attuale, in cui la velocità del tempo storico è deragliata, in cui i fatti vengono facilmente slegati dalle circostanze che li hanno visti nascere, in cui la realtà viene alterata dalle lenti deformanti di addetti stampa di ogni tipo, in cui la vita di tutti i giorni è plasmata secondo l’immagine che ricade sulle teste della gente dal mondo digitale, mantenere viva la memoria rivoluzionaria, rendere noti tutti i suoi aspetti senza abbandonare niente all’oblio, cosa che può soltanto favorirne l’alterazione, è una necessità.
Con l’apertura di nuovi circoli di esperienze radicali, non c’è un modo migliore di riprendere l’insurrezione anarchica che collegarla con il punto in cui è stata ravvivata. Perché è una supposizione comune che una parte della generazione di anarchici, con i loro piccoli e grandi disaccordi, che si sono armati dopo la rivolta del dicembre 2008, e sono ora rinchiusi nelle celle delle prigioni greche, ha come punto di partenza le notti in cui i ribelli erano dietro le barricate e l’anarchia ha respirato tra i simboli danneggiati del Potere.
Dato che le nostre esperienze sovversive si allontanano dall’ambito dei nostri eventi personali nella routine della nostra prigionia, cerchiamo di creare un punto di contatto e, allo stesso tempo, il punto di partenza di un nuovo viaggio. Un punto di contatto con le nostre origini storice e politiche, un nuovo punto da cui partire in cui i ribelli si incontreranno fra loro, e non prenderanno le strade di tanto in tanto, ma contribuiranno piuttosto alla creazione di una piattaforma informale di coordinamento e azione all’interno dell’anarchia; in cui la strategia chiami alla permanenza della rabbia, in cui la dialettica rivoluzionaria chiami a un impegno appassionato nei confronti della lotta di liberazione.
Perché Dicembre Nero non è la messa in scena di una ripetizione di gesti insurrezionali passati, ma piuttosto un circolo di lotta che unisce il passato al presente, alla ricerca di un futuro in cui la nostra vita di tutti i giorni sarà sommersa di atti di attacco e ribellione contro il Potere.
Perché, nonostante i nostri corpi siano incarcerati tra mura e sbarre, le nostre anime si trovano in ogni parte del pianeta in cui vengono innalzate le bandiere della resistenza per un mondo di libertà. Perché i nostri cuori continuano ostinatamente a battere al ritmo della libertà selvaggia, accanto ai compagni del Movimento Insorto Anarchico in Brasile, che, a loro volta, hanno lanciato l’appello al Dicembre Nero dopo aver appiccato il fuoco a delle filiali di banche, accanto alle cellule della FAI e i gruppi di compagni guerriglieri che vanno all’offensiva, accanto ai combattenti per la libertà che combattono l’Islamofascismo nel territorio del Rojava, accanto ai compagni anarchici che rischiano le loro vite con abnegazione per aiutare alla ricostruzione di Kobane, accanto ai rivoltosi in Gran Bretagna la cui rabbia si manifesta violentemente, spezzando il controllo sociale soffocante, accanto agli anarchici spagnoli colpiti dalle operazioni anti-anarchiche dello stato spagnolo, nelle strade del Cile, in cui i ribelli si scontrano con gli sbirri e fanno saltare le stazioni di polizia, nelle piazza turche, in cui i nostri compagni hanno pagato con le loro vite il conflitto con lo stato-mafia di Erdoğan, accanto ai compagni in Belgio che appiccano fuochi di distruzione nelle strade di Bruxelles. Nonostante le distanze la nostra lotta è comune, e condividiamo la stessa gioia e gli stessi dolori con tutte le persone che diffondono il veleno della libertà nel tessuto sociale autoritario.
Ed è qui che metto fine a questo racconto.
Questo era Alexandros e questo sono io. Non mi pento di niente e credo ancora che l’unica scelta dignitosa al giorno d’oggi sia quella della lotta sovversiva multiforme per l’anarchia. Per tutte le ragioni del mondo, il confronto tra il mondo della libertà e il mondo dell’asservimento continuerà fino alla fine.
Onore eterno a chi è stat* ucciso nella lotta per la liberazione!
Per un Dicembre Nero!
Per l’offensiva anarchica contro il mondo del Potere!
Solidarietà e forza a tutt* i/le prigionier* anarchic*!
Lunga vita all’Anarchia!
Nikos Romanos
 
PS. Per mettere fine alla presa in giro di questi ultimi giorni a proposito di un emendamento sui permessi educativi, la cui bozza sarebbe stata presumibilmente presentata dalla banda di pagliacci di SYRIZA per “avvantaggiarmi personalmente”, lasciatemi giusto chiarire che per i tre anni in cui mi sono ritrovato in prigione non ho mai messo piede all’esterno, e non sembra probabile che accada, visto che è evidente che non mi sarà concesso alcun permesso da nessun pubblico ministero, che si chiami Nikopoulos o Perimeni. Quindi i trucchi della comunicazione di SYRIZA sono ben studiati per coltivare  un’impressione positiva tra i votanti di sinistra che rimangono loro, senza rischiare, dato che il processo del caso in cui appaio come accusato [cioè in attesa di sentenza; che per le autorità è la “giustificazione speciale” per respingere tutte le richieste di permessi educativi] si concluderà comunque fra un mese; ma l’amministrazione carcerale mi ha fatto chiaramente capire che continuerò a ricevere decisioni negative finché continuerò a rilasciare dei testi e “disturbare” dall’interno – cosa che continuerò a fare, perché non intendo fare alcuna concessione sulle mie posizioni.