[torna alla home di Azi0ne][torna all'indice sul consenso]


Il mc nelle decisioni assembleari: consigli e riflessioni per applicarlo con successo.


(note per l'Assemblea Generale del Commercio Equo e Solidale)


Precondizioni.

L'assemblea (annuale, o biennale, ecc) è un momento speciale dove l'incontro diretto tra le persone, che spesso provengono da lontano, è tanto più profiquo quanto più è chiaro e conosciuto da tutti: a) nei suoi contenuti (cioè l'odg); b) nel metodo decisionale e di lavoro.


La preparazione dell'assemblea condiziona parecchio l'andamento e i risultati della stessa. Più c'è stata trasparenza e possibilità di "partecipazione di tutti" in fase preparatoria, maggiore sarà la qualità della partecipazione in termini di apporto ai contenuti e di efficacia decisionale. Che non vuol dire che i conflitti e le tensioni saranno assenti, ma certamente saranno gestibili in modo più costruttivo. (Un buon esempio secondo me è quello delle assemblee che hanno portato alla definizione della Carta dai Criteri).


Tutti i partecipanti devono sapere con sufficiente anticipo su cosa sono chiamati a confrontarsi e a decidere. Di più: devono essere stati messi con buon anticipo nella condizione di apportare modifiche e dare suggerimenti riguardo ai problemi che li riguardano. Soprattutto ci deve essere stata la possibilità di partecipare alla definizione dell'odg dell'assemblea (vedi per es. il caso pangea dell'ultima assemblea).


Il potere decisionale in assemblea: il delicato equilibrio tra gruppi di lavoro e plenarie.

Il mc si fonda sulla fiducia reciproca e sulla fiducia nel processo, sull'intelligenza, sull'organizzazione.

Se siamo in 50 e vogliamo decidere su molti argomenti va da sé che non è possibile discutere tutti di tutto. A meno che non si facciano due interventi a favore e due contro, e poi si voti. Metodo che in certe situazioni e a certe condizioni può anche funzionare benissimo, pur restando nella cornice del metodo del consenso, ma di certo non funziona come regola.

Allora se ci si divide in gruppi e si dice che questi hanno potere decisionale su determinati temi, vuol dire che si agisce in base ad una delega esplicita che implica una certa fiducia tra le parti e nel processo.


La divisione in gruppi di lavoro (commissioni) ha dei grandi vantaggi in termini di efficienza (in alcuni casi è semplicemente indispensabile), ma solleva due importanti problemi che purtroppo in genere non vengono sufficientemente presi in considerazione:


  • come garantire una buona qualità delle decisioni sia in termini di contenuto (cioè, per esempio, evitare che gruppi che lavorano in contemporanea prendano decisioni che si sovrappongono e/o interferiscono tra loro), sia in termini di processo (cioè che le decisioni vadano a favore di tutte le parti e non solo una o poche) 


  • In che misura ciò che viene deciso nei gruppi può essere messo in discussione dalla plenaria?


    Questi problemi si possono validamente affrontare. Ecco alcune idee già sperimentate.


    a1) Garantire la qualità sul piano dei contenuti.

    Il lavoro dei gruppi deve essere accuratamente preparato PRIMA DELL'ASSEMBLEA. A tale scopo ci deve essere un gruppo di servizio che prepara l'assemblea garantendo che tutte le questioni siano incluse nell'agenda dei lavori e opportunamente suddivise per temi (ciò porta alla definizione delle commissioni di lavoro con i rispettivi temi di competenza). Ciò non esclude il rischio di sovrapposizioni, ma di certo questo viene molto ridotto e, comunque, le parti di contenuto che potrebbero interferire si rendono meglio visibili a tutti consentendo di fare attenzione e di prendere le opportune precauzioni.


    a2) Sul piano del processo (metodo di lavoro che porta alle decisioni) la partecipazione alle commissioni dovrebbe essere adeguatamente regolata.



    - I gruppi di lavoro non dovrebbero superare i venti partecipanti (è vero che tale numero dipende dal tempo a disposizione e se si può contare sull'aiuto di un facilitatore, ma in genere il numero non può essere più alto di così se si vuole veramente la partecipazione effettiva ed efficace di tutti: è un fatto matematico e di fisiologia umana).


    - La composizione delle commissioni è il fattore chiave: per garantire la pluralità dovrebbero essere presenti nella commissione tutte le parti interessate e in special modo quelle che portano proposte e punti di vista molto diversi e in dichiarata contrapposizione. Più in generale tutta l'assemblea dovrebbe essere convocata tenendo presente il criterio dell'equilibrio: un numero di rappresentanti uguale per ogni "realtà" che formalmente ha diritto a partecipare all'assemblea e, quindi, di condizionare la qualità delle decisioni finali secondo il metodo del consenso.


    a3) A questo punto sorge un altro problema: se non si vota, che senso ha parlare di "rappresentanza"? E poi, ogni realtà viene rappresentata paritariamente o può "valere" più di un'altra?


    - A parte il fatto che può accadere di votare (e dunque la rappresentanza conta), il problema della rappresentanza c'è, e anzi forse è più rilevante che col metodo a votazione. Infatti col mc è più facile per chiunque intervenire e condizionare la decisione finale, soprattutto nelle commissioni. Dunque, pur non volendo escludere apporti "esterni", dovrebbe essere chiaro a tutti CHI SONO I SOGGETTI CHE HANNO DIRITTO A PARTECIPARE AL PROCESSO DECISIONALE.


    - In proposito bisogna tener conto che il processo decisionale è fatto di tre momenti: 1) la preparazione dell'assemblea con tutte le sue fasi istruttorie; 2) le diverse fasi di discussione delle questioni all'odg che portano a definire le scelte finali; 3) la verifica del consenso sulla formulazione finale della proposta. Si può per es. consentire a certi soggetti di partecipare ai primi due momenti, ma non al terzo. Però non è mai possibile partecipare al terzo momento senza aver partecipato ai primi due, e obbligatoriamente al secondo (per es. con i metodi della votazione, chi ha diritto di voto può presentarsi all'ultimo momento, quando si alza il braccio o il cartellino, senza aver seguito minimamente i lavori precedenti: questo non è nemmeno pensabile col mc dove la 'costruzione del consenso sulle decisioni' avviene appunto attraverso un processo di partecipazione attiva, di ascolto, di incontro, nella relazione con gli altri).


    - Infine per quanto concerne il "peso" della rappresentanza (pensiamo al classico esempio di uno che parla a nome di un piccolo gruppo locale e un altro che parla a nome di un gruppo nazionale o addirittura di un coordinamento nazionale di gruppi), in genere col mc non c'è una regola che stabilisce la differenza di peso, per cui ogni partecipante è, almeno teoricamente, alla pari. Tuttavia, proprio per il modo in cui si arriva a prendere le decisioni (in cui si cerca di valorizzare al massimo le differenze e di tener conto delle "minoranze"), ci deve essere LA CONSAPEVOLEZZA DEL PESO che effettivamente giocherà il disaccordo portato dai diversi soggetti. Dunque si lavora con questa consapevolezza e sensibilità, che in alcuni casi può portare a DISTINGUERE I LIVELLI DI COMPETENZA e quindi a definire diversi LUOGHI DECISIONALI. Questa è l'idea dei cosiddetti “cerchi equivalenti” (vedi per es. metodo sociocratico) cioè luoghi decisionali in cui tutti i partecipanti sono alla pari, con potere equivalente, anche se rappresentano realtà molto diverse. 





  • In che misura ciò che viene deciso nei gruppi può essere messo in discussione dalla plenaria?


    - La limitazione del potere della plenaria è una naturale conseguenza dell'impostazione sopra descritta.

    Su quello che in una commissione è stato deciso consensualmente il potere dell'assemblea è veramente molto ridotto. Però qui è molto importante avere il tempo per poter spiegare a tutti i partecipanti cosa c'è dietro una determinata decisione consensuale magari riassunta in una semplice frase (ma che spesso è il risultato di ore di discussione).  In plenaria partecipare vuol dire soprattutto "poter capire".

    Più le persone capiscono e meglio è. Capire non vuol dire alla fine essere d'accordo, ma mentre un disaccordo chiaro è la base per costruire il consenso, un disaccordo che resta inespresso o senza sufficiente confronto (per es. quando la decisione di un gruppo viene semplicemente comunicata alla plenaria), porterà le persone a dare un consenso formale (cioè forzato dal contesto), ma non sostanziale (molto probabilmente in seguito non ci sarà il necessario sostegno alle decisioni prese).


    - D'altra parte il confronto con la plenaria può a volte portate all'emersione di critiche talmente importanti da poter in varia misura modificare o invalidare le decisioni prese dalla commissione. In genere ciò accade naturalmente e si vede chiaramente dalle reazioni dell'assemblea. Per es. può darsi che la commissione, per varie ragioni, non sia riuscita a valutare tutte le implicazioni di una decisione, che invece risultano evidenti dagli interventi in plenaria. Oppure alcune parti rappresentate in assemblea si sentono danneggiate o in forte difficoltà per una decisione presa e perciò si oppongono.

    Tutto ciò può essere prevenuto bilanciando le presenze dei partecipanti nelle diverse commissioni, ma a volte per varie ragioni non è possibile avere più di un rappresentante (che quindi può seguire solo un gruppo di lavoro). E allora certi nodi emergeranno, giustamente, solo in plenaria.

    -

    In linea di massima per poter modificare o bloccare in plenaria una decisione consensuale della commissione è necessario che:

  • risulti chiaramente e largamente (e senza controreazioni) che la decisione deve essere modificata o sospesa, e gli stessi membri della commissione che ha deciso (anche se non tutti e non in egual misura) riconoscono la validità delle critiche sollevate e le accettano (consenso); 
  • vi sia un contrasto fra le parti rappresentate in assemblea talmente forte da poter compromettere il cammino comune (per es. quello che accade nella seconda assemblea per la carta dei criteri, che portò a definire uno specifico incontro per la gestione del conflitto sull'art 16).

    - Riguardo al potere della plenaria di modificare decisioni consensuali di una commissione, ricordiamo che però in plenaria, proprio grazie alla flessibilità del mc, sono possibili altre importanti opzioni

    .

    Per es. forme di disaccordo anche abbastanza forte possono essere creativamente gestite e incluse nel quadro del consenso (cioè la decisione resta quella e si consente alle parti in disaccordo di formulare le loro riserve e/o raccomandazioni che vengono messe agli atti. Su come possono essere gestite in pratica queste situazioni rimando al mio testo sul 'mc in teoria'). Invece per quei punti su cui le commissioni stesse non hanno raggiunto il consenso

    , la plenaria ha nella migliore delle ipotesi (dipende dal tempo a disposizione e dal clima psicologico) la possibilità di ascoltare (e capire!) le argomentazioni che determinano sul momento l'impossibilità del consenso, e quindi di stabilire gli orientamenti o criteri di massima per affrontare in futuro tali punti.

    - Infine un aspetto molto importante del MC riguarda il consenso implicito.

    Se la fase preparatoria è stata condotta in modo sufficientemente trasparente ed esauriente è possibile che alcune proposte oggetto di decisione, non essendo pervenute osservazioni di alcun genere durante la fase preassembleare, siano direttamente date direttamente per acquisite (consenso implicito), oppure sottoposte alla plenaria per una verifica/ratifica formale del consenso. La scelta di portare in plenaria o alle commissioni tali proposte su cui "apparentemente" c'è un consenso, dipende da vari fattori che vanno attentamente valutati. È questa una modalità economica e intelligente per sveltire il lavoro decisionale, ma richiede una fase preparatoria accurata e leale, e una fase di verifica assembleare altrettanto accurata e leale. Altrimenti è probabile che le decisioni non troveranno l'adeguato impegno da parte di coloro che devono attuarle.




  • [torna alla home di Azi0ne ][torna all'indice sul consenso]