RICCI RUCKER: THE GUNKHOLE EXPERIENCE di Cristian Adamo "Lo scopo è poter cogliere il semplice piacere dello scratch. Scratchare non significa necessariamente produrre suoni astrusi e complessi, perché ironicamente questo concetto stesso rappresenta un modo di pensare piuttosto complesso. Suonare semplici non significa per forza essere semplici o semplicistici. (...) Scratchare, come ogni altra cosa, è una forma di linguaggio e se solo poteste per un attimo immaginare quanto sarebbe irritante leggere queste righe senza gli spazi tra una parola e l'altra, allora potreste capire come mi sento io nei confronti di molto dello scratch che circola. (...) Adesso siamo ad una transizione e molti giocolieri stanno sfoderando i loro ultimi trucchi nel tentativo di rubare l'attenzione del pubblico da quello che sta succedendo. Tutto quello che posso dire io è: buona fortuna, la gente adesso si sta svegliando." Ricci Rucker, da "Scratch Tips" (www.asisphonics.net) Fino a poco tempo fa il turntablism era patrimonio quasi esclusivo dei battle dj. Grazie a progetti come Gunkhole e Bastard Language e ad una manciata di musicisti del giradischi come Ricci Rucker, D-Styles, Mike Boo, Dj Excess e Toadstyle il così detto turntablism si è aperto alla musica in senso più ampio. Virtuosismo, nichilismo tecnico e sfida, elementi caratteristici di molta musica suonata con i giradischi, hanno ceduto il passo ad un “non genere” le cui parole d’ordine sono, massima libertà espressiva. Non più solo “beattoni” e schematismi, ma anche melodie ed atmosfere supportate da un notevole controllo tecnico dello strumento aprono le porte a quello che forse sarà un nuovo concept musicale. Tra le figure di riferimento spicca Ricci Rucker, turntablist di San Jose (California), curatore di www.asisphonics.net, autore assieme a Mike Boo di chicche come “Scetchbook”, featuring e produzioni di pregio tra cui Ghostface Killah e Dj Greyboy. Lo  abbiamo incontrato a maggio, in occasione del tour dei Gunkhole. Il gunkhole è una sorta di ormeggio per barche, perché avete scelto questo nome? Com’è nato il progetto Gunkhole e quali sono gli obiettivi artistici che vi siete posti? Il gunkhole è un luogo in cui chi naviga e pesca può fermarsi per ormeggiare la propria imbarcazione. Questi posti non sono mai segnati sulle mappe, solitamente sono bellissimi e soprattutto si trovano inaspettatamente. Ho scelto questo nome per un paio di ragioni. La prima, la nostra musica non è presente su nessuna mappa e molte volte capita che la gente non sappia né cosa aspettarsi, né perché si trovi in quel posto. La seconda, che il nome suona come una cosa che in realtà non esiste, come il concept di quello che facciamo. Sulla carta potresti avere un idea di quello che sentirai, giradischi e batteria, ma quando poi ascolti, capisci che non potrai mai predirre quello che stiamo facendo. Poi la cosa più  buffa è  che Gunkhole assomiglia ad un nome di una qualche punk band o rock band alternativa. In maggio avete intrapreso un lungo tour in Europa, introducendo un nuovo concetto di musica dal vivo e di show basati sullo strumento giradischi. Come ha reagito il pubblico al vostro concerto? E’ stato fantastico, anche se abbiamo portato uno show che la gente non si aspettava… ma alla fine ha aprezzato. L’Inghilterra è stato l’unico paese in Europa dove il pubblico è stato piuttosto freddo. Negli States se fai qualcosa di inaspettato il pubblico certamente non gradisce, per questo credo che l’Inghilterra sia una sorta di versione europea degli Stati Uniti. Sono tutti molto attenti alle sfide ed amano moltissimo lo sport dj battle e tutte le sue cazzate annesse. Quello che abbiamo fatto con i giradischi è talmente avanti sia tecnicamente che musicalmente che in qualche modo si sono sentiti offesi. E’ come se con la nostra musica gli avessimo detto: “fanculo l’ovvio, andiamo in profondità delle cose”.  Sono certo che sul palco siamo apparsi pretenziosi, ma sicuramente noi non cambiamo la nostra musica per il pubblico. Non suoniamo affinchè le persone esclamino Oooh e Aaah su uno scratch che già sappiamo scatenerà determinate reazioni. Piuttosto cerchiamo quelle poche persone che urleranno ed apprezeranno quanto siamo andati avanti rispetto al passato. Vogliamo fare capire alle persone antiquate che sono rimaste indietro. Nel vostro concerto ho notato molte parti improvvisate. In che misura improvvisazione e composizione sono presenti? Come nasce la vostra musica? Partiamo da una melodia o da qualche piccola parte con la quale prendiamo familiarità, dopo di che ci improvvisiamo sopra fino a quando troviamo eventualmente una nuova melodia. Attualmente siamo in un periodo in cui la nostra musica è principalmente improvvisata. C’è solo un modo per allenarsi sull’improvvisazione: improvvisando dal vivo di fronte alle persone. E’ molto più facile suonare con una composizione in mano e dare alle persone facili scossoni. Noi invece crediamo sia molto più remunerativo, artisticamente parlando, creare dal vivo cose che neppure noi immaginiamo. Presto inizieremo a lavorare anche sull’aspetto compositivo, ma nell’ultimo tour in Europa e più recentemente negli show di questi ultimi mesi abbiamo suonato improvvisando totalmente. Come definiresti la musica dei Gunkhole? Scratch music non ti sembra un po’ troppo riduttivo? Vedo la nostra musica come un modello di vita. Sopravvivo grazie alla musica che mi circonda: è cibo. Immagina la ‘collage art’ ma in tempo reale, dal collage alla composizione, è ovunque ed è il salto per oltrepassare le regole. I generi musicali sono storicamente un’invenzione di marketing dell’industria discografica per dare un posizionamente preciso ai dischi e ai cd nei negozi. Il fatto che la vostra musica sia così difficile da definire pensi possa rappresentare un ostacolo alla sua diffusione? Credo che il vero obiettivo sia portare le persone al di fuori delle linee guida e delle regole. Proviamo ad essere l’idea musicale della libertà…. Qualche volta la libertà può essere scomoda, qualche volta dura, qualche volta pensi che sia una cosa diversa da quella che immaginavi. Personalmente mi sento di dire che sono musicalmente libero. Penso che l’aver deciso di fare musica non etichettabile sia la causa principale della mia poca popolarità. La mia abilità di marketing sta nell’affrontare la cosa. Come vendo la mia musica? Nella maniera più difficile, ma quando ci saranno dei cambiamenti, acquisirò sempre più supporter che cercheranno le cose che sto facendo… e lo faranno non perché sono un bravo produttore hip hop o jazz, ma perché sono libero ed in grado di fare musica che mi viene da dentro e per questo non etichettabile. Nell’ultimo tour europeo hai suonato in Italia con due musicisti del progetto Faze Liquide, Nik Negrini al contrabbasso ed Alessandro Meroli al flauto e al sax baritono. Com’è nata questa collaborazione? Che tipo di sensazioni hai suonando con strumentisti che non utilizzano il giradischi? Stavo facendo dei remix per i Faze Liquid, quando abbiamo saputo che saremmo venuti in Italia per dei concerti, ci siamo subito incuriositi immaginando come la nostra musica avrebbe suonato se tutti gli scratcher avessero avuto un ruolo solista e come Nik ed Alessandro avrebbero interagito con il nostro sound per apportare un miglioramento a quello che già stavamo facendo. Prima di tutto, bisogna capire che il giradischi è uno strumento molto complicato da utilizzare se usato per fare musica sonoramente ricca, specialmente per una formazione come la nostra con solo tre turntablist ed un batterista. Buona parte della musica è basata sul basso e la batteria. Noi però non abbiamo nella nostra formazione un bassista, pertanto ogni volta uno di noi deve eseguire con il giradischi la linea di basso. Quindi quello che proviamo a fare è trovare i tre elementi che ci permettono di lavorare evitando di perdere il groove e l’attenzione dell’ascoltatore. E per ascoltatore intendo noi stessi. A noi non basta fare un bel groove! La nostra sfida è trovare il perfetto bilanciamento del groove utilizzando elementi che possono andare in diverse direzioni. Alcune volte può capitare di avere un groove senza il basso; quando questo accade, già sappiamo che non andremo nella direzione sonora che noi desideriamo intraprendere, semplicemente perché le nostre mani sono già impegnate. Aggiungere una linea di basso significherebbe interrompere il flusso sonoro che abbiamo creato fino ad ora. Siccome abbiamo percepito questo limite, eravamo molto interessati a suonare con i ragazzi. A Bologna, per la prima volta, ognuno si sentiva molto più rilassato sul palco. Avevamo il contrabbasso, la batteria e il flauto che tenevano su il tutto, mentre noi tre pazientemente cercavamo il suono di cui avevamo bisogno per continuare la musica così com’era iniziata, con un suono ancora più drammatico e pieno. Con Nik e Alessandro non ci dovevamo più concentrare sulla completezza sonora della musica: potevamo finalmente esprimerci più liberamente. E’ stato sicuramente il miglior show del tour. Inizieremo un tour in America nel 2005 per promuovere il dvd del Gunkhole 2004 European Tour e ci piacerebbe molto portare Nik ed Alessandro qui in America con noi. Amo lavorare con musicisti capaci ed aperti. E’ una cosa che m’ispira molto. Certamente non è la prima volta che dei musicisti suonano con turntablist, vedi una qualche differenza tra gli altri ensamble che utilizzano i giradischi ed i Gunkhole? La differenza sostanziale è che tutti noi siamo produttori, non solo scratcher con un’idea forte da proporre! Il secondo fattore è che tutta la band è guidata dagli scratch e non ci sono altre band con questo organico. La maggior parte delle band utilizzano lo scratcher come “il ragazzo degli effetti sonori” o comunque gli ritagliano solo un piccolo spazio. Anche se uno scratcher dovesse avere un ruolo importante, in ogni caso non conduce la musica. Quando invece è un turntablist a condurre, il risultato è totalmente differente. Le musiche create con il giradischi solitamente sono associate ai tipici suoni Aaargh, Fresh, ai cosidetti dissing o comunque ai tipici suoni hip-hop o electro. Voi fuggite da questa gabbia introducendo un approccio totalmente nuovo, che sfrutta suoni presi da differenti musiche e strumenti come chitarre, basso, synth. Qual è stato il percorso che vi ha spinto ad evolvere le sonorità della scratch music? Recentemente ho finito una nuova canzone. E’ un pezzo hip hop per Ghostface Killah. Ti dico la verità non mi sento molto vicino all’hip hop in questo periodo, ma ho voluto fare una scratch song e farla ascoltare al tipico hiphoppettaro medio. Invece di realizzare un beat che finisce ed inizia allo stesso modo, ho fatto un finale di due minuti basato sul brano, a cui però ho aggiunto altre quindici tracce manipolate da vinili, dischi a caso, e dai miei tools ‘Utility Phonograph 2 e 3’. Lavorando su questo tipo di composizione mi sono accorto che gli scratch e i suoni che stavo utilizzando nella canzone, diventavano un unico coro di persone che canta assieme. Lo avevo già fatto altre volte, ma per questa traccia mi è venuto spontaneo lavorare in modo inusuale per un pezzo di genere hip hop. Penso che questo spieghi quello che voglio dire. Credo che il modo in cui monto  gli scratch, come un artista che mette assieme immagini a random, possa creare un mondo completamente nuovo, difficile anche da comprendere nella sua realizzazione tecnica. La musica che campiono può essere trascritta, la tromba suona questa parte e la chitarra suona quest’altra parte etc… ma quando fai musica con gli scratch, se lo fai con un buon orecchio ed hai una struttura complessa, sarà praticamente impossibile distinguere le parti scratchate da quelle sovrapposte. Inizia a diventare come un colore che ancora non ha un nome. Chiamo questa cosa ‘Big Band Minimalism’, come nella traccia di Ghostface, dove si hanno quindici suoni sovrapposti, uno sopra l’altro, ed ognuno estramente semplice nella sua composizione. Questa idea realizzata con lo scratch è una cosa totalmente nuova. Dopo l’età dell’oro dei grandi turntablist ensembles come gli  Invisible Skratch Piklz, i Beat Junkies o gli X-men, le dj band non sono più state in grado di sviluppare musiche e concetti nuovi. Penso che i Gunkhole, così come Bastard Language o i Ned Hoddings, abbiano riportato alla ribalta il concetto di turntablist band in maniera solida e creativa. Ti senti di stare continuando il percorso intrapreso dalle prime dj crew? No, assolutamente no. Loro si concentravano principalmente sulla tecnica, stavano ancora sperimentando nuovi scratch. Tutti sapevano che erano tecnicamente bravi ed in grado di fare qualsiasi cosa, ma proviamo ad immaginare se oltre a dimostrare la loro abilità avessero privilegiato anche altre direzioni? Per poter camminare hai bisogno di apprendere la tecnica che ti permette di muovere un passo dopo l’altro. Una volta però che hai imparato a camminare non sarà la tecnica a guidare il tuo cammino bensì la tua anima. Sono entrambi importanti ma una su tutti comanda, l’anima. Q-Bert ad esempio a distanza di anni non mi pare abbia avuto alcuna evoluzione creativa sostanziale; questo mi fa presumere che non ci sia mai stato un vero cambiamento di direzione nel suo percorso creativo. Q-Bert è come tutti gli altri, pensano tutti solo ed esclusivamente alla tecnica; cosa che può essere anche ok, ma dopo cinque anni questa roba sembra proprio datata. Come musicista, penso che la melodia sia tutto, le percussioni fanno il ritmo, ma le sensazioni vengono con la melodia, e veramente nessuno a quei tempi l’ha mai utilizzata. A metà degli anni Novanta fare una melodia era limitato a qualche stab (ndr. una tecnica di scratch) con i fiati  di James Brown su uno scratch drumming ed uno scratch solista. Insomma quello che ti voglio dire è che io non sto provando a fare nuova scratch music. La mia intenzione è quella di creare un nuovo momento musicale perché le potenzialità del giradischi non sono ancora state capite! La gente comincerà a meravigliarsi su come sia possibile ottenere certi suoni, impossibili da realizzarsi con il computer, il campionatore o il sequencer, quando ascolterà ‘Fuga Da Voi’, la traccia di Ghostface ed un altro po’ di altre cose. Il suono che si può ottenere con il giradischi è totalmente unico. Forse perché la scratch music è divenuta col tempo sempre più autoreferenziale o forse perché non può considerarsi un vero e proprio genere musicale ma piuttosto un approccio alla musica; sta di fatto che l'industria musicale, a parte qualche rara accezione, non si è ancora accorta dell’esistenza dei musicisti del giradischi. Che idea hai in proposito? Perché la musica suonata con il giradischi viene considerata molto poco? Non credo che la scratch music sia un genere musicale. Piuttosto, come mi suggerivi, un approccio alla musica. Personalmente non sto cercando di rivolgermi agli scratcher, e soprattutto non sto facendo nuova scratch music. Sento di fare nuova musica, utilizzando un nuovo linguaggio musicale praticamente inesplorato. Nessuno lo ha mai fatto prima perché è un investimento piuttosto rischioso. Puoi passare quindici anni scratchando senza arrivare a niente. Ho imparato che le persone non rispettano ciò che non conoscono e se i numeri mostrano che al giorno d’oggi solamente 5-10 persone al mondo possono fare quello che stiamo facendo noi, certamente nessuno farà attenzione al nostro lavoro. Internet è stato uno strumento fondamentale nella diffusione della scratch music, divenendo allo stesso tempo una specie di ghetto. Non senti la necessità di uscire e di essere conosciuto anche al di fuori della scena? Certamente, ma questo succede solamente con la distribuzione della musica, con i tour… Ci vorrà qualche tempo, ma quando questo accadrà continuerò comunque  a scrivere online. Ah ah! Quali sono i prossimi obiettivi e i nuovi progetti dei Gunkhole? Avete  intenzione di tornare in Europa per un altro tour? Sì, penso di tornare presto in Europa comunque il miglior modo per sapere quello che sto facendo è visitare il mio sito www.asisphonics.net .